Disoccupata perché depressa, non più giovane e residente in periferia: il marito le deve l’assegno

Lo stato depressivo dell’ex moglie, la situazione del mercato, l’età e le condizioni della stessa, residente in zona periferica non ben servita dai mezzi pubblici, giustificano lo stato di disoccupazione della donna l’ex marito deve pertanto versarle l’assegno.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 22752/12, depositata il 12 dicembre, confermando così quanto stabilito dai giudici di appello. Il caso. A seguito della declaratoria di cessazione degli effetti civili, il Tribunale dispone l’obbligo per l’ex marito di corrispondere un assegno divorzile alla ex moglie. La decisione è confermata dai giudici di appello, che rilevano la condizione di assoluta indigenza della donna, la quale non risulterebbe in grado di procurarsi mezzi di sussistenza. L’uomo propone allora ricorso per cassazione. Il parametro di assegnazione è corretto? Con un primo motivo il ricorrente contesta che l’assegno sarebbe stato disposto sulla base dell’asserita indisponibilità di mezzi adeguati alla sopravvivenza, quando invece il parametro di assegnazione dell’assegno sarebbe il tenore di vita pregresso. A giudizio degli Ermellini, però la questione prospettata è inammissibile per la sua palese genericità. Bisogna esaminare tutti i fatti. L’uomo lamenta poi omessa motivazione in ordine all’impossibilità della controparte di procurarsi mezzi adeguati per vivere sulla base di ragioni oggettive, che non sarebbero state esplicitate secondo la S.C., al contrario, la Corte di merito ha esaminato tutti i fatti a cui si riferisce la censura, sottoponendoli a vaglio critico in chiave concreta. Con esauriente motivazione i giudici di merito hanno pertanto constatato l’impossibilità di reperimento di un’attività lavorativa, tenuto conto dello stato depressivo della donna, della situazione del mercato, dell’età e delle condizioni della stessa, residente in zona periferica non ben servita dai mezzi pubblici. La censura è pertanto inammissibile, così come le successive doglianze riguardanti le opportunità di lavoro rifiutate dalla donna e la sua cancellazione dalle liste di collocamento la formulazione dei motivi rende palese l’intento di sollecitare una revisione del merito della questione. Per questi motivi la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 ottobre – 12 dicembre 2012, n. 22752 Presidente Fioretti – Relatore Cultrera Svolgimento del processo Con ricorso del 23.2.2004 F C. ha chiesto al Tribunale di Alba di pronunciare la sua separazione dal coniuge G.A.M.T. , con cui aveva contratto matrimonio il 29 ottobre 1972, e l'affidamento a suo favore della figlia minore. Radicatosi il contraddittorio, la convenuta ha chiesto a sua volta l'addebito della separazione a carico del marito, con obbligo dello stesso di contribuire al suo mantenimento. Il Tribunale adito, con sentenza n. 176/1998, ha pronunciato la separazione con reciproco addebito, respingendo la domanda di mantenimento proposta dalla G. . Il medesimo Tribunale, adito per la declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio fra le parti, provvedendo a riguardo, ha altresì disposto l'obbligo per il C. di corrispondere alla G. l'assegno divorzile in Euro 400,00 mensili. La decisione è stata impugnata innanzi alla Corte d'appello di Torino dal C. che ne ha chiesto la riforma per ottenere il rigetto della domanda di controparte di attribuzione dell'assegno di mantenimento, di cui in subordine ha chiesto la riduzione. Con sentenza n. 1137 depositata il 31 luglio 2008, la Corte territoriale ha respinto l'appello. Ha ritenuto determinante, ai fini del sorgere del diritto la condizione d'assoluta indigenza della G. , che non risultava in grado di procurarsi mezzi di sussistenza, ed ai fini del quantum debeatur, che la misura dell'assegno in mancanza di altri redditi risulta appena idonea a superare uno stato di bisogno. Quest'ultima decisione è stata infine impugnata innanzi a questa Corte da F C. con ricorso articolato in quattro motivi resistiti con controricorso dall'intimata ed ulteriormente illustrati con memoria difensiva depositata ai sensi dell'art. 378 c.p.c Il P.G. ha rassegnato le sue conclusioni chiedendo l'accoglimento del primo motivo ed assorbimento delle restanti censure con affermazione del principio di diritto. Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata. Motivi della decisione Col primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 5 legge n. 898/1970. L'errore, ascritto alla Corte di merito in ordine alla statuita attribuzione dell'assegno di mantenimento a favore della G. , risiederebbe nell'affermata rilevanza della non disponibilità da parte della predetta di mezzi adeguati rispetto alla soglia di sopravvivenza e non già del tenore di vita pregresso, che rappresenta parametro apprezzabile in senso esclusivo, travisato nel contenuto dal giudice d'appello che lo avrebbe equiparato, in senso diverso e fallace, ad un tenore di vita autonomo e dignitoso. Omessa la doverosa indagine sul tenore di vita della coppia all'epoca del matrimonio, la Corte di merito avrebbe provveduto nei sensi criticati confondendo per l'effetto l'assegno divorzile con quello alimentare, che neppure era stato peraltro fatto segno di espressa domanda. Il quesito di diritto chiede se può un assegno divorzile essere riconosciuto non già sulla base dei presupposto previsti dall'art. 5 legge n. 898/1970 ma in base agli artt. 433 e ss cod. civ. peraltro in assenza di domanda. Trattasi di extrapetizione? È compatibile il riconoscimento dell'assegno in argomento anche quando il coniuge richiedente abbia vissuto per un lungo periodo di tempo senza il sostegno dell'altro coniuge? La resistente chiede il rigetto della censura. Il quesito di diritto, che conclude la censura argomentata mediante corretto richiamo ad enunciato consolidato in ordine al parametro valutabile in materia d'attribuzione dell'assegno divorzile non omologabile allo stato di bisogno, ribadito con sentenza di questa S.C. n 4021/2006, devesi nondimeno dichiarare inammissibile attesa la sua palese genericità, che lo rende inidoneo alla funzione predicata dall'art. 366 bis c.p.c., risolvendosi in astratta affermazione di principio. A lume di consolidato orientamento nel caso in cui il quesito sia inerente ad una censura in diritto dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale, non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo da ultimo e per tutte Cass. n. 3530/2012 . Col secondo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione su punto decisivo della controversia rappresentato dall'impossibilità di controparte di procurarsi i mezzi adeguati per ragioni oggettive, che non sarebbero state esplicate a fronte delle puntuali contestazioni esposte nell'atto d'appello in ordine alle circostanziate condizioni ritenute sintomatiche dal primo giudice, e di cui la stessa sentenza impugnata da atto nella sintesi narrativa. Aggiunge che la Corte territoriale fonderebbe il rigetto del motivo d'appello su stringata motivazione, senza considerare l’irrilevanza della sindrome depressiva sulla capacità lavorative della G. e la sua volontaria cancellazione dalle liste collocamento, entrambi dedotti ed adeguatamente documentati in atti. La sintesi conclusiva illustra il fatto decisivo controverso cui si riferirebbe il deficit di motivazione rappresentato sia dal controverso effetto invalidante dello stato depressivo, indimostrato, sia dalla volontaria cancellazione della predetta dalle indicate liste. La resistente deduce l'inammissibilità della censura. Il motivo è inammissibile. La Corte del merito ha esaminato le circostanze dedotte in giudizio, compresi i fatti cui si riferisce la censura, nel coacervo delle complessive evenienze istruttorie. Ha infatti preso in considerazione le contestazioni circa l’impossibilità oggettiva di reperimento di attività lavorativa ascrivibile ad inerzia della G. , la non incidenza della sua mancata qualificazione professionale, l'influenza della sindrome depressiva riscontrata sulla sua capacità lavorativa, e le ha quindi sottoposto a vaglio critico in chiave concreta, tenendo conto della situazione del mercato, dell'età e della condizione della stessa, residente in zona periferica non ben servita da mezzi pubblici. L'apprezzamento di queste circostanze, valutate nel loro complesso e non atomisticamente, risulta puntualmente argomentato e la sintesi ricostruttiva tratta all'esito è illustrata con esauriente tessuto motivazionale. Il mezzo in esame induce alla rivisitazione di questo percorso critico che, attesa la riscontrata puntualità del tessuto motivazionale sottostante, è preclusa a questa Corte. Analoga sorte meritano il terzo e quarto motivo con cui il ricorrente deduce violazione dell'art. 5 della legge n. 897/1970 ed ancora vizio d'insufficiente motivazione sia in ordine alle opportunità di lavoro rifiutate dalla G. , che ha cessato la sua attività all'età di 34 anni e ben poteva, così come ha fatto nel periodo in cui ha lavorato, raggiungere il posto di lavoro essendo munita di patente di guida, sia in ordine alle asserite ma immotivate considerazioni circa le opportunità che offre il mercato del lavoro, sia infine in relazione all'asserita oggettiva impossibilità di procurarsi mezzi adeguati nel caso considerato. La sintesi conclusiva del terzo motivo si riferisce alla superficiale motivazione assunta in ordine alle contestazioni argomentate sull'impossibilità di reperimento di occasioni di lavoro da parte della G. , e sulla decisività del suo stato psichico il quesito di diritto che conclude il quarto mezzo chiede se è ravvisabile l'impossibilità oggettiva di reperire mezzi adeguati, in relazione all'assegno divorzile, in caso di volontaria cancellazione del richiedente dalle liste di collocamento e in caso di mancato vaglio dell'incidenza sulla capacità lavorativa di una situazione di sindrome depressiva, e se è compatibile l'affermazione relativa alla possibilità di reperimento di una qualche attività lavorativa saltuaria col concetto d'impossibilità oggettiva di procurarsi mezzi adeguati ai sensi del citato art. 5 l. 898/19780. La resistente chiede il rigetto delle censure. La stessa formulazione delle censure rende palese il sottostante intento del ricorrente di sollecitare lo scrutinio sul merito della questione controversa. Il tessuto argomentativo in cui si articolano i motivi in esame induce infatti ancora una volta alla rilettura delle circostanze dedotte, del cui vaglio critico e della conseguente sintesi, come rilevato, la decisione impugnata rende conto con puntuale ed esaustiva motivazione. Giova pertanto ribadire che in questa sede di legittimità il rinnovato apprezzamento delle circostanze poste a fondamento della conclusione di merito fondante la decisione impugnata non può trovare assolutamente ingresso. Tutto ciò premesso, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della resistente liquidandole in complessivi Euro 1.200,00 di cui Euro 1000,00 per il compenso, oltre accessori di legge.