Esclusivo riferimento alla capacità reddituale attuale dell’obbligato? La quantificazione va bene così

La Corte territoriale ha correttamente quantificato l’assegno in base all’attuale capacità reddituale dell’obbligato.

A confermare la decisione dei giudici territoriali è stata la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con la sentenza n. 21988, depositata il 6 dicembre. Il caso. Un uomo riusciva ad ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario dal Tribunale che, però, lo condannava a corrispondere un assegno di mantenimento, pari a 1.200 euro, nei confronti dell’ex coniuge. Importo dell’assegno abbassato di 400 euro. Successivamente, i giudici di appello abbassavano a 800 euro l’importo dell’assegno, stabilendone la decorrenza a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, nonché il conguaglio con quanto l’ex moglie aveva ricevuto in più per effetto dei maggiori versamenti effettuati dall’uomo. Vicenda chiusa? Assolutamente no. Adesso è la donna a non essere soddisfatta, che si rivolge alla Corte di Cassazione. Determinazione dell’assegno di mantenimento in base al reddito dei coniugi. La S.C., ritenendo infondate le doglianze della ricorrente, precisa che la Corte territoriale ha correttamente fornito l’indicazione del parametro adottato per la determinazione dell’assegno, commisurata all’attuale capacità reddituale dell’obbligato. L’importo è pari ad una somma fra un terzo ed un quarto del reddito percepito dall’uomo. Il criterio adottato – conclude la Cassazione – è sufficientemente determinato ed è espressione di valutazione di merito , come tale, dunque, non sindacabile in sede di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 17 ottobre – 6 dicembre 2012, n. 21988 Presidente Fioretti – Relatore Piccininni Svolgimento del processo Con ricorso del 4.10.2005 G F. sollecitava declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato con R V. . Pronunciato il divorzio dal Tribunale di Bolzano adito, il giudizio proseguiva con riferimento alla richiesta del riconoscimento di assegno di mantenimento avanzata dalla V. , richiesta che veniva accolta con la condanna del F. a corrispondere alla ex coniuge un assegno di mantenimento quantificato nella misura di Euro 1.200. La decisione, impugnata dall'originario ricorrente, veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, che riduceva l'importo dell'assegno di mantenimento a Euro 800 mensili, stabilendone la decorrenza a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza non definitiva di divorzio, nonché il conguaglio con quanto la V. aveva ricevuto in più, per effetto dei maggiori versamenti effettuati dal F. , in adempimento degli obblighi originariamente posti a suo carico. Avverso la detta sentenza V. proponeva ricorso per cassazione affidato a sei motivi di cui il terzo articolato in due profili , cui resisteva F. con controricorso. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 17.10.2012. Motivi della decisione Con i motivi di impugnazione V. ha rispettivamente denunciato 1 violazione dell'art. 5 l. 898/70 con riferimento alla misura dell'assegno divorzile, per la cui quantificazione a torto si sarebbe fatto esclusivo riferimento alla capacità reddituale attuale dell'obbligato 2 vizio di motivazione in ordine alla detta quantificazione 3 analogo vizio in relazione alla medesima statuizione, rispetto alla quale a non si sarebbe tenuto conto del patrimonio, e segnatamente del TFR b si era ritenuta non dimostrata la situazione patrimoniale 4 vizio di motivazione laddove la Corte territoriale aveva assunto come importo di riferimento, ai fini della quantificazione dell'assegno di mantenimento,- il reddito netto anziché quello lordo 5 Violazione di legge per aver la Corte di Appello pronunciato secondo equità 6 vizio di motivazione sul punto relativo alla rivalutazione dell'assegno in questione, erroneamente calcolata sulla base degli indici ISTAT, anziché su quelli della provincia di Bolzano. Il ricorso è infondato. Ed infatti, per quanto concerne i primi cinque motivi di impugnazione la doglianza risulta sostanzialmente incentrata sulla pretesa erroneità della decisione, nella parte relativa alla quantificazione dell'assegno divorzile. Tuttavia al riguardo va osservato che la Corte territoriale ha fornito l'indicazione del parametro adottato commisurazione alla capacità reddituale dell'obbligato , il detto parametro non contrasta con la normativa vigente segnatamente art. 570/898, che per l'appunto indica fra gli altri il reddito dei coniugi quale piattaforma di commisurazione per la determinazione dell'assegno in questione , sicché non è configurabile alcuna violazione di legge. Inoltre il criterio adottato un riconoscimento pari ad una somma compresa fra un terzo ed un quarto del reddito percepito dal F. è sufficientemente determinato ed è espressione di valutazione di merito in tal senso, contrariamente a quanto sostenuto, va inteso il contestato riferimento all'equità da parte della Corte di Appello, che all'evidenza intendeva operare un bilanciamento fra le posizioni reddituali dei due coniugi , come tale non sindacabile in questa sede di legittimità. Resta infine il sesto motivo di impugnazione, in relazione al quale è sufficiente rilevare che la rivalutazione del credito si determina sulla base degli indici ISTAT, che in quanto tali trovano applicazione su tutto il territorio nazionale circostanza che rende inconsistente la doglianza prospettata sul punto e che comunque, anche a voler ipoteticamente accedere alla tesi sostenuta dalla ricorrente, la pretesa residenza della V. nella provincia di Bolzano è semplicemente affermata, mentre un'eventuale delibazione al riguardo presupporrebbe accertamenti in fatto non compatibili con il giudizio di legittimità. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per compenso, oltre agli accessori di legge.