L’usucapione del coerede si consolida senza interversione del titolo di possesso

Ove il coerede comproprietario abbia esercitato sui beni del compendio ereditario assegnatigli, in virtù di una divisione amichevole dei cespiti, un possesso autonomo in contrasto con la posizione di nudo proprietario, questi può usucapire il bene toccatogli in base alla divisione bonaria, solo fornendo la prova di aver esercitato, per il tempo occorrente, un possesso corrispondente al diritto reale rivendicato. Non occorre quindi che chi sostenga l’usucapione dimostri l’intenzione di aver estromesso gli altri dal possesso mediante il compimento di atti di interversione.

Il caso affrontato dalla Cassazione nell’annotata sentenza tratta la questione relativa al possesso utile ai fini dell’usucapione, nell’ipotesi di comproprietario coerede. Per cui, appare utile distinguere due possibili differenti situazioni. La prima contempla quella del comproprietario coerede che può usucapire la quota degli altri comproprietari estendendo la propria signoria di fatto sulla res communis in termini di esclusività a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano limitati ad astenersi dall'uso della cosa, occorrendo, per converso, che il comproprietario in usucapione ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, in modo tale, cioè, da evidenziarne una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus . La seconda si concretizza invece ove, come nel caso affrontato nella sentenza in commento, il comproprietario - coerede sia stato, a seguito di amichevole divisione del compendio ereditario, immesso nel possesso di un bene in assenza di un contestuale atto di mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi in tale contesto egli prende, per tale via, a possedere anche ai fini dell'usucapione pubblicamente ed a titolo esclusivo il bene assegnatogli de facto , senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un'interversione di fatto, una mutazione, cioè, negli atti di estrinsecazione del possesso medesimo tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi. Il fatto. Il fratello citava in giudizio sua sorella deducendo di aver ereditato dal padre alcuni beni immobili per i quali avevamo proceduto ad una divisione bonaria a partire da quel momento ciascuno dei consanguinei cominciava a possedere gli immobili assegnatigli in via esclusiva. Riferiva ancora l’attore che la sorella, intendendo trasferire una quota degli immobili assegnatigli a suo figlio, lo aveva invitato a sottoscrivere il relativo atto di compravendita. L’attore aveva aderito, in quell’occasione la sorella, con la sottoscrizione di una scrittura privata, si era impegnata a fare altrettanto per il trasferimento al fratello della quota degli immobili di cui essa risultava ancora formalmente proprietaria a seguito della divisione bonaria. Ciononostante la sorella non rispettava l’impegno preso. Per questo motivo il fratello la conveniva dinanzi al Tribunale al fine di sentire accertare l’avvenuta usucapione degli immobili attribuitigli con la divisione bonaria, essendo la vendita soltanto uno strumento ideato per facilitare il trasferimento formale della proprietà già acquisita per usucapione. Riferiva ancora l’attore che, in caso contrario, si sarebbe dovuta ritenere valida la scrittura privata con cui la sorella s’impegnava al trasferimento e, conseguentemente procedere con il trasferimento della proprietà in suo favore ex art. 2932 c.c. Costituitasi in giudizio la convenuta respingeva le pretese dell’attore richiedendo, in riconvenzionale, la divisione ereditaria dei beni ancora in comunione. In primo grado la domanda dell’attore veniva respinta. Impugnata la sentenza la Corte d’Appello, in riforma della prima pronuncia, aveva stabilito l’avvenuta acquisizione in proprietà per usucapione dei beni immobili attribuiti al fratello con la divisione bonaria. I giudici di seconde cure, infatti, chiarivano che ove il proprietario coerede, a seguito di divisione bonaria, sia stato immesso nel possesso dei beni senza mandato ad amministrare da parte dei restanti coeredi, egli possiede i beni de facto in maniera esclusiva, senza una formale interversione del titolo che ne escluda il pari godimento degli altri. Avverso tale pronuncia la sorella proponeva ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Chi sostiene l’usucapione non deve dimostrare l’intenzione di aver estromesso gli altri dal possesso con il compimento di atti di interversione. Le ragioni di gravame che in questa sede preme analizzare sono quelle relative alla errata applicazione degli artt. 714, 1102 e 2697 c.c. unitamente a quella inerente la violazione dell’art. 112 c.p.c Nel ricorso la deducente riteneva che i giudici dell’appello non abbiano considerato adeguatamente la circostanza secondo cui l’erede non abbia posseduto uti dominus per il tempo necessario all’usucapione, poiché sino alla morte della madre i due fratelli erano soltanto nudi proprietari degli immobili in contesa, pertanto, la divisione non potrebbe che riferirsi alla nuda proprietà. Alla luce di tali rilievi la ricorrente chiedeva al giudice di legittimità di chiarire se potesse affermarsi il possesso esclusivo sulla base di una divisione di fatto intervenuta tra soggetti titolari di un diritto di nuda proprietà e se l’assegnazione effettuata su tale presupposto, in presenza di un diritto di usufrutto, possa dar luogo ad un possesso idoneo a legittimare l’usucapione. L’ulteriore quesito posto consisteva nel chiedere se possa essere dichiarata l’usucapione del nudo proprietario in assenza di pronuncia in ordine alla prescrizione del diritto di usufrutto della madre di questi. Gli ermellini, nel respingere il ricorso, hanno evidenziato come l’istruttoria avesse dimostrato l’esercizio di un possesso autonomo da parte del fratello, in contrasto netto con la posizione del nudo proprietario. Inoltre, giudici di nomofilachia hanno precisato che in ordine alla asserita mancata richiesta di prescrizione del diritto di usufrutto della madre la stessa sia assolutamente inconferente ai fini del giudizio nella caso di specie, infatti, non si discorre dell’acquisto del diritto da parte del nudo proprietario nei confronti dell’usufruttuario per estinzione dello stesso, bensì della situazione di fatto utile per la configurazione di un possesso ai fini dell’usucapione. Può quindi dirsi in estrema sintesi che il coerede, il quale a seguito di amichevole divisione tra i coeredi del compendio ereditario, sia stato immesso nel possesso di un bene senza un mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, prende per tale via a possedere pubblicamente a titolo esclusivo e può quindi usucapire il cespite senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso o un'interversione di fatto, cioè una mutazione negli atti di estrinsecazione del possesso tale da escluderne un pari godimento da parte degli altri coeredi.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 21 dicembre 2011 - 4 ottobre 2012, n. 16896 Presidente Schettino – Relatore San Giorgio Svolgimento del processo 1. - Con atto di citazione notificato il 17 luglio 2000 P.S. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Spoleto la sorella A. esponendo che essi nel 1962 avevano ereditato dal padre alcuni beni immobili siti in omissis , avevano proceduto ad una divisione bonaria e da allora avevano cominciato a possedere in via esclusiva l'attore - i beni siti in località Prato e località omissis , e la convenuta i terreni siti in omissis . Successivamente la convenuta, intendendo trasferire parte della quota di sua proprietà, ma ancora contestata anche all'attore, al figlio, aveva invitato il fratello a sottoscrivere l'atto di compravendita. Egli aveva aderito ma contestualmente avevano stipulato una scrittura il 2 marzo 1994, con la quale a sua volta A P. si impegnava a fare altrettanto per il trasferimento della quota della quale essa risultava ancora formalmente proprietaria sui beni attribuiti con la divisione bonaria all'attore. La sorella non aveva però rispettato l'impegno assunto. Ciò premesso, l'attore dedusse di aver usucapito i beni attribuitigli con la divisione bonaria, essendo stata ideata la vendita solo per facilitare la formale intestazione della proprietà già acquisita per usucapione. Diversamente, si sarebbe dovuto ritenere valido l'impegno assunto dalla sorella con la scrittura privata del 2 marzo 1994 e si sarebbe dovuta emettere una pronuncia di trasferimento della proprietà in suo favore ex art. 2932 cod.civ La convenuta, costituitasi in giudizio, contestò la pretesa dell'attore e chiese, in via riconvenzionale, che si procedesse alla divisione dei beni ancora in comunione. 2. - Il Tribunale adito respinse le domande attoree, e dispose la prosecuzione della causa al fine di provvedere in merito alla richiesta divisione. Avverso tale sentenza propose appello il P. . 3. - La Corte d'appello di Perugia, con sentenza depositata il 28 giugno 2007, in riforma della impugnata sentenza, dichiarò che il P. era proprietario in virtù di usucapione dei beni attribuitigli con la divisione. La Corte di merito rilevò una erronea valutazione da parte del primo giudice delle risultanze probatorie, richiamando l'orientamento giurisprudenziale secondo il quale, qualora, come nella specie, il comproprietario coerede sia stato, a seguito di amichevole divisione del compendio ereditario, immesso nel possesso di un bene in assenza di un contestuale mandato ad amministrare da parte degli altri coeredi, egli prende in tal modo a possedere a titolo esclusivo il bene assegnatogli de facto, senza che sia necessaria una formale interversione del titolo del possesso tale da escluderne il pari godimento da parte degli altri coeredi. 4. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre la P. sulla base di cinque motivi, illustrati anche da successiva memoria. Motivi della decisione 1.1. - Con il primo motivo si deduce violazione ed errata applicazione degli artt. 714, 1102 e 2697 cod.civ. La Corte territoriale, a supporto della affermata usucapione, avrebbe desunto elementi di giudizio da fatti inidonei o comunque avrebbe ritenuto sussistenti situazioni di fatto, di cui difetterebbe la prova, né avrebbe tenuto conto che il coerede che invochi l'usucapione deve aver goduto il bene in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una sua volontà di possedere uti dominus e non uti condominus, senza opposizione e per il tempo necessario ad usucapire ciò che nella specie non si sarebbe verificato, in quanto P.A. e S. erano, fino alla morte della madre M M. , solo nudi proprietari degli immobili oggetto di contenzioso, sicché, quand'anche si volesse accreditare la dedotta divisione di fatto, si tratterebbe comunque di divisione riferita alla sola nuda proprietà. 1.2. - La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto Si chiede alla Suprema Corte se, in relazione agli artt. 714, 1102 e 2697 cod.civ., possa essere affermato il possesso esclusivo sulla base di una divisione di fatto tra due soggetti titolari di diritti di nuda proprietà e se l'assegnazione effettuata su tale presupposto - in presenza di diritto di usufrutto - possa dar luogo ad un possesso pubblico ed a titolo esclusivo idoneo a legittimare la pronunzia di usucapione”. 2.1. - Con il quarto motivo, che, per ragioni di connessione, va esaminato congiuntamente al primo, si deduce violazione e/o errata applicazione dell'art. 112 cod.proc.civ. per mancata rispondenza tra chiesto e pronunciato, nonché violazione ed errata applicazione dell'art. 1014 cod.civ. Avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere compatibile la sussistenza di un diritto di usufrutto in capo a M M. con l'asserita divisione bonaria, mentre avrebbe dovuto, se mai, dichiarare la prescrizione del diritto dell'usufruttuaria per non uso dei beni nel ventennio - in relazione alla quale peraltro mancava ogni domanda per poi emettere la consequenziale pronuncia sull'usucapione. 2.2. - La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto Si chiede alla Suprema Corte se, in relazione al combinato disposto di cui agli artt. 1014 cod.civ. e 112 cod.proc.civ., possa essere dichiarata la usucapione del nudo proprietario in assenza di pronunzia in ordine alla prescrizione del diritto di usufrutto e se comunque possa essere emessa una pronunzia con cui si dia atto che il possesso del nudo proprietario deve ritenersi utile ai fini della usucapione nei confronti della madre usufruttuaria, in assenza della relativa domanda”. 3.1. - Le censure sono infondate. 3.2. - La sentenza impugnata ha accertato che, indipendentemente dalla esistenza dell'usufrutto a favore della madre, l'attore aveva esercitato sui beni a lui assegnati un possesso autonomo in contrasto con la posizione di nudo proprietario. Quanto al riferimento alla mancata richiesta di declaratoria di prescrizione del diritto di usufrutto di cui era titolare la madre dell'attore, esso risulta inconferente, poiché nella specie non si discuteva dell'acquisto del diritto da parte del nudo proprietario nei confronti dell'usufruttuario per estinzione dello stesso, ma della situazione di fatto, in relazione alla quale andava verificata, come la Corte di merito ha fatto, la configurabilità di un possesso utile ad usucapionem. 4.1. - Con il secondo motivo si deduce violazione e/o errata applicazione degli artt. 714, 1102 e 2697 cod.civ., nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. La Corte di merito avrebbe affermato la sussistenza di una divisione bonaria dei beni tra P.S. e A. - da cui sarebbe derivato per il primo il possesso esclusivo dei beni immobili di cui è stato riconosciuto il diritto di proprietà in capo allo stesso per intervenuta usucapione - senza individuare i beni oggetto della divisione. Inoltre, l'affermata divisione di fatto sarebbe in contrasto con il riconoscimento in capo al P. della proprietà per intervenuta usucapione di tutti i beni. 4.2. - La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto Si chiede alla Suprema Corte se, in relazione agli artt. 714,1102 e 267 c.c. possa essere affermato il godimento separato di un bene sulla base di una divisione di fatto tra coeredi senza individuare quali siano stati i beni che avrebbero composto l'asse oggetto di divisione e quale sia stata, in concreto, l'attribuzione effettuata in favore di ciascuna parte”. 5. - Il motivo è inammissibile, trattandosi di questione nuova, non risultando dalla sentenza impugnata che fosse controverso quali erano stati i beni assegnati con la divisione amichevole. 6.1. - Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o errata applicazione degli art. 1158 e 2697 cod.civ., nonché omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione. Le deposizioni testimoniali acquisite non confermerebbero, a differenza di quanto ritenuto dalla Corte di merito, la sussistenza di una informale divisione dalla quale sarebbe derivata l'immissione in possesso da parte del P. dei beni immobili per i quali è stata poi dichiarata l'usucapione. Inoltre nella sentenza impugnata mancherebbe alcuna motivazione con riferimento al decorso del ventennio necessario ad usucapire. 6.2. - La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto Si chiede alla Suprema Corte se, in relazione agli artt. 1158 e 2697 cod.civ., possa essere pronunziata la usucapione in assenza e/o insufficienza di prove in ordine al decorso del ventennio necessario ad usucapire e se il mero godimento da parte del coerede del bene comune, anche in assenza di richiesta di rendiconto, possa legittimare una pronunzia di usucapione”. 7. - La censura non può trovare ingresso nel presente giudizio, risolvendosi sostanzialmente in una richiesta di nuovo apprezzamento delle risultanze istruttorie, inibito in sede di legittimità a fronte di una congrua e plausibile ricostruzione delle stesse operata dal giudice di merito. 8.1. - Con il quinto motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione del disposto di cui all'art. 1158 cod.civ. in presenza di contestuale ed alternativa domanda finalizzata al trasferimento del bene immobile in forza di atto unilaterale del 2 marzo 1994, formulata ex art. 2932 cod.civ., nonché omessa pronuncia su di un punto decisivo. Nella specie difettavano, secondo la ricorrente, i presupposti per la pronunzia di usucapione, essendo la proposizione da parte del P. della domanda ex art. 2932 cod.civ. - fondata sulla sussistenza di un preliminare di vendita asseritamente sottoscritto il 2 marzo 1994 - incompatibile con la contestuale domanda di usucapione. 8.2. - La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione del seguente quesito di diritto Si chiede alla Suprema Corte se, in relazione agli art. 1158 e 2932 cod.civ., possa essere pronunziata l'usucapione in presenza di contestuale domanda diretta ad ottenere sentenza in luogo di contratto non concluso sulla base di atto negoziale avente contenuto obbligatorio. Più in particolare, se la dedotta sussistenza di un titolo negoziale non sia idonea ad escludere l'animus possidendi quanto meno fino alla data apparente della scrittura”. 9.1- - La censura è infondata. 9.2. - La domanda proposta ai sensi dell'art. 2932 cod.civ. dal P. era stata formulata in via subordinata per il caso in cui non si fosse ritenuto di accogliere la domanda di usucapione. Del resto, la scrittura in questione conferma il possesso ad usucapionem, in quanto con essa le parti si erano impegnate a formalizzare reciprocamente in favore del coerede l'intestazione di quei beni dei quali egli veniva così riconosciuto proprietario. 10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Non v'è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non essendo stata svolta attività difensiva dall'intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.