Mantenimento in ballo, assegno ridotto. Decisione illegittima se fondata sull’invito alla donna a lavorare ‘in nero’

Lunga diatriba sulla cifra da riconoscere alla moglie, originaria dell’Europa dell’Est. Ma la motivazione addotta in Appello per limitare l’onere è non accettabile non si può conteggiare l’ipotesi del lavoro sommerso per valutare la potenzialità reddituale.

‘Montagne russe’ per l’assegno di mantenimento, assegnato, poi ridotto, poi ampliato, poi di nuovo ridotto Sullo sfondo, ovviamente, le differenti potenzialità economiche dei coniugi, in regime di separazione consensuale. Ma nessun peso può essere dato – chiarisce la Cassazione, con sentenza n. 4312, sezione Prima Civile, depositata oggi – alla ipotesi che la donna,originaria dell’Europa dell’Est, e rimasta senza lavoro, possa riciclarsi come badante e guadagnare ‘in nero’. Gioco di cifre. Nulla quaestio sulla separazione consensuale, ciò che, invece, scatena la bagarre giudiziaria è l’assegno di mantenimento alla moglie, ‘caricato’ sulle spalle del marito. Così, si parte dai 450 euro mensili e si arriva ai 200 euro mensili a influire diversi fattori, tra cui il presunto peggioramento delle condizioni economiche dell’uomo, l’occupazione lavorativa della donna, l’improvviso licenziamento di quest’ultima In ultima battuta, la Corte d’Appello cristallizza a 200 euro mensili la misura dell’assegno a favore della moglie, accogliendo, però, le ragioni del marito, che aveva puntato, sin dall’inizio, a un contenimento dell’obbligazione economica. Possibilità limitate? A contestare ulteriormente la decisione è la donna, che presenta ricorso in Cassazione, mirando ad un ampliamento dell’assegno a suo favore. Per sostenere questa tesi, comunque, la donna richiama le erronee – a suo avviso – valutazioni compiute in Appello, valutazioni che non avevano tenuto in debito conto le sue limitatissime possibilità di lavoro e di reddito . Erronea, poi, sempre secondo la donna, la considerazione, da parte dei giudici, che il suo licenziamento era un comportamento fraudolento, inteso a ricostituire i presupposti per il ripristino della precedente misura dell’assegno di mantenimento . Nessun ‘nero’. Ebbene, la tesi sostenuta dalla donna viene condivisa dai giudici della Cassazione, che considerano assolutamente non fondata la pronuncia emessa in Appello. Due i coni d’ombra innanzitutto, la presunta strumentalità del licenziamento della donna poi, la differente potenzialità reddituale fra i coniugi. Sul primo punto, il fatto che il licenziamento della donna sia avvenuto poco tempo dopo il provvedimento della Corte d’Appello non può essere considerata, secondo i giudici di Cassazione, una ragione giustificativa, oggettiva e plausibile, di un comportamento fraudolento e strumentale ai danni dell’uomo, soprattutto tenendo presente il danno economico che ne è derivato alla donna. Sul secondo punto, infine, viene considerato incomprensibile il richiamo, compiuto in Appello, alla possibilità della donna di procurarsi da guadagnare ricorrendo al mercato del lavoro domestico ‘in nero’ . È evidente che non si può chiedere alla donna di violare la normativa fiscale e previdenziale o, in alternativa, di vedere ridotta la misura dell’assegno di mantenimento per aver voluto continuare a operare nella legalità. Complessivamente, quindi, la decisione pronunciata in secondo grado va rimessa in discussione così, i giudici, accogliendo il ricorso della donna, riaffidano ai giudici dell’Appello la quantificazione dell’assegno di mantenimento.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 22 febbraio – 19 marzo 2012, n. 4312 Presidente Carnevale – Relatore Bisogni Svolgimento del processo S.B.C e L.D. vivono in regime di separazione consensuale, omologata con decreto del Tribunale di Lanciano del 14 novembre 2005, in base al quale il Cerulli è tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento alla moglie nella misura di 450 euro mensili. In data 11 giugno 2007 il Tribunale ha respinto il ricorso del Cerulli diretto a far eliminare o, quanto meno, ridurre l’assegno di mantenimento. La Corte di appello de L’Aquila, ha invece accolto, con provvedimento del 19 febbraio 2008, il reclamo del C. fissando in 200 euro mensili la misura dell’assegno sul presupposto del peggioramento delle condizioni economiche del reclamante e della stabile occupazione lavorativa della D. Quest’ultima ha chiesto, a sua volta, con ricorso del 9 giugno 2008 al Tribunale di Lanciano, la revisione delle condizioni economiche della separazione con determinazione in almeno 500 euro mensili dell’assegno di mantenimento in suo favore a seguito della perdita del posto di lavoro. Il Tribunale ha accolto il ricorso con provvedimento del 29 settembre 2008 rideterminando in 450 euro mensili la misura dell’assegno di mantenimento dovuto dal C. La Corte di appello de L’Aquila, accogliendo il reclamo del C., ha rideterminato nuovamente la misura dell’assegno in 200 euro mensili, con decorrenza dal 19 febbraio 2008. Ricorre per cassazione L.D. deducendo a violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all’articolo 156 del codice civile b violazione dell’articolo 360 n. 5 c.p.c. per motivazione insufficiente, contraddittoria e perplessa su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Si difende con controricorso S.B.C. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la Corte abbia violato l’art. 156 del codice civile non tenendo in considerazione le sue limitatissime possibilità di lavoro e di reddito a fronte di un reddito mensile del marito, derivante da lavoro subordinato e quindi stabile, pari ad euro 1.260. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia l’insufficienza, illogicità e perplessità della motivazione laddove essa riconduce, senza alcuna dimostrazione, il suo licenziamento a un comportamento fraudolento inteso a ricostituire i presupposti per il ripristino della precedente misura dell’assegno di mantenimento. I due motivi, di ricorso che debbono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione sono fondati. Infatti la Corte di appello ha addotto a sostegno della sua decisione una motivazione che è da considerare meramente assertiva relativamente all’affermazione della strumentalità del licenziamento della D. La circostanza per cui il licenziamento della D. sia avvenuto poco tempo dopo il provvedimento della Corte di appello del 19 febbraio 2008 non può di certo essere considerata una ragione giustificativa, oggettiva e plausibile, di un comportamento fraudolento e strumentale orchestrato dalla D. in danno del C. senza fornire alcun riscontro probatorio esterno e senza alcuna considerazione per il danno economico che la stessa ricorrente si sarebbe volontariamente procurato con un tale comportamento. La motivazione della Corte si presenta quindi insufficiente, illogica e in definitiva apparente. Per altro verso la comparazione dei redditi e delle potenzialità di reddito delle parti, al fine della determinazione dell’assegno di mantenimento, non può utilizzare l’argomento per cui la D. potrebbe comunque procurarsi da guadagnare ricorrendo al mercato del lavoro domestico in nero il che presuppone che la ricorrente sarebbe tenuta, secondo la valutazione del decreto impugnato, a violare la normativa fiscale e previdenziale o ad assumersi la responsabilità di tale più che legittimo rifiuto e vedere ridotta la misura dell’assegno di mantenimento. Il ricorso va conseguentemente accolto con cassazione del decreto impugnato e rinvio alla Corte di appello de L’Aquila che in diversa composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La. Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia ad altra sezione della Corte di appello de L’Aquila che deciderà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione. Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 del d.lgs n. 196/2003.