Effetti giuridici del giudicato interno estesi ai giudizi di appello e di legittimità

La sentenza definitiva di prime cure e la sentenza definitiva emanata dalla Corte di Appello devono fedelmente osservare il giudicato interno discendente dalla sentenza non definitiva di primo grado.

La Seconda sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione mediante l’emanazione della sentenza n. 2494 del 21 febbraio 2012, fondando la propria elucubrazione su una lettura estensiva dell’art. 2909 c.c., ha autorevolmente statuito che il contenuto della sentenza di prime cure non definitiva, sulla quale si è formato il giudicato interno per effetto della sua mancata impugnazione, deve essere analizzato dal giudice di appello avanti al quale sia stato proposto gravame avverso la sentenza definitiva di prime cure anche qualora la anzidetta sentenza non definitiva non abbia formato oggetto di specifica impugnativa, a pena di nullità della sentenza della Corte di Appello per omessa pronuncia ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., con la conseguente configurazione del vizio di infrapetizione . Il caso. Nel corso di un giudizio di prime cure concernente lo scioglimento della comunione ereditaria promosso da uno dei coeredi, il Tribunale di Roma mediante la emanazione di un sentenza non definitiva aveva dichiarato l’apertura della successione legittima, disponendo il relativo riparto delle quote ereditarie tra i coeredi, statuendo che i beni che avevano formato oggetto delle donazioni fatte dal de cuius qualora era in vita a favore di alcuni dei coeredi dovevano ritenersi definitivamente acquisiti ai donatari, senza possibilità di tenere conto della loro esistenza ovvero del loro valore ai fini della determinazione della massa ereditaria e della corretta individuazione delle quote ereditarie. Il Tribunale di Roma mediante l’emanazione della sentenza definitiva aveva disposto lo scioglimento della comunione ereditaria. Uno dei coeredi proponeva gravame avanti alla Corte di Appello di Roma avverso la sentenza definitiva emanata dal Tribunale di Roma, fondando il proprio atto di citazione in appello sulla circostanza a tenore della quale il giudice di prime cure, nel formare il proprio convincimento al fine dell’emanazione della sentenza definitiva, non aveva apprestato considerazione alcuna a quanto giudizialmente statuito all’interno della sentenza non definitiva di primo grado. La Corte di Appello di Roma respingeva l’impugnazione motivando il proprio decisum facendo leva sulla mancata impugnazione da parte dell’appellante della sentenza non definitiva di prime cure, sulla quale si era formato il giudicato interno. L’anzidetto coerede presentava ricorso per cassazione avverso la sentenza emanata dalla Corte di Appello di Roma, sulla base delle seguenti considerazioni a i giudici di appello non avevano preso in considerazione, al fine della emanazione del proprio decisum , quanto autorevolmente statuito dal Tribunale di Roma all’interno della sentenza non definitiva, la quale non aveva formato oggetto di impugnazione ed aveva formato oggetto di giudicato interno b la Corte territoriale aveva omesso di pronunziarsi su una domanda proposta dall’odierno ricorrente c la Corte di Appello di Roma aveva violato il principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato” contenuto all’interno dell’art. 112 c.p.c È sufficiente impugnare la sentenza definitiva di prime cure . Quando la decisione in merito a tale gravame imponga necessariamente l’analisi di quanto contenuto all’interno della sentenza non definitiva di primo grado è sufficiente impugnare la sentenza definitiva di prime cure. Dato sostanziale normativo di riferimento ai fini della corretta risoluzione del caso in esame è l’art. 2909 c.c., rubricato cosa giudicata , ai sensi del quale l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa . Nel caso di pronunzia di sentenza non definitiva, il giudice si spoglia della potestas iudicandi relativa alle questioni decise, delle quali gli resta precluso il riesame – sia in ordine alle questioni definite che in ordine a quelle da esse dipendenti – salvo che detta sentenza non venga riformata con pronunzia passata in giudicato a seguito di impugnazione immediata. Ne consegue che tale giudice non può risolvere le medesime questioni in senso diverso con la sentenza definitiva e, ove lo faccia, il giudice del gravame, anche di legittimità, può rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva , a nulla rilevando che la violazione non abbia costituito oggetto di specifica impugnazione Cass. civ., sez. III, agosto 2009, n. 18898/2009 . Nel caso di pronuncia non definitiva ai sensi dell'art. 279, commi 2 e 4 c.p.c., e di prosecuzione del giudizio per l'ulteriore istruzione della controversia, il frazionamento della decisione comporta l'esaurimento dei poteri decisori per la parte della controversia definita con la sentenza interlocutoria, con la conseguenza che la prosecuzione del giudizio non può riguardare altro che le questioni non coperte dalla prima pronuncia. Pertanto, il giudice che ha emesso la sentenza non definitiva, anche se non passata in giudicato, resta da questa vincolato agli effetti della prosecuzione del giudizio davanti a sé in ordine sia alle questioni definite sia a quelle da queste dipendenti che debbono essere esaminate e decise sulla base dell'intervenuta pronuncia. Pertanto ove il giudice, nonostante l'esaurimento della potestas decidendi al riguardo, abbia risolto quelle questioni in senso diverso con la sentenza definitiva , il giudice dell'impugnazione e quindi la Corte di Cassazione devono rilevare d'ufficio la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva , che non sia stata immediatamente impugnata né fatta oggetto di riserva d'impugnazione differita Cass. civ., sez. II, n. 13253/2009 . Facendo leva sugli anzidetti orientamenti della giurisprudenza di legittimità, la Suprema Corte di Cassazione, mediante la emanazione della sentenza della quale si discetta, ha statuito che il giudice di prime cure, a seguito della emanazione di una sentenza non definitiva non può emanare una sentenza definitiva il cui contenuto dispositivo sia contrastante con quello della sentenza non definitiva, nonostante quest’ultima non abbia formato oggetto di specifica impugnativa. Da quanto suesposto emerge che qualora il giudice di prime cure abbia emanato una sentenza definitiva il cui contenuto dispositivo è contrastante con quello della sentenza non definitiva di primo grado, sia la Corte territoriale che la Suprema Corte di Cassazione possono ex officio rilevare la violazione del giudicato interno originante dalla sentenza non definitiva, che non sia stata tempestivamente fatta oggetto di gravame ovvero di riserva di impugnazione differita. Alla luce del contenuto del decisum oggetto della presente analisi ermeneutica, emerge che la Corte di Cassazione ha opinato a favore di una lettura estensiva dell’anzidetto art. 2909 c.c., sussumendo nel suo ambito non solo le sentenze definitive ma anche quelle non definitive. Nullità della sentenza emanata dalla Corte di Appello per il vizio di infrapetizione . La Corte di Cassazione ha statuito che qualora la Corte di Appello non si pronunzi in merito a quanto espressamente richiesto dall’appellante, ne consegue la configurazione del vizio di infrapetizione , con la conseguente nullità della sentenza oggetto di gravame ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 del codice di rito. Violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ? Secondo i giudici della Suprema Corte di Cassazione allorquando la Corte territoriale ometta di pronunziarsi in merito all’intera domanda proposta dalla parte è configurabile la nullità della sentenza di appello ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per la sussistenza della violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 del codice di rito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 2 – 21 febbraio 2012, n. 2494 Presidente Felicetti – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un giudizio di scioglimento di comunione ereditaria promosso da G D.S. e A B. , rispettivamente figlia e moglie di F D.S. , deceduto ab intestato a omissis , nei confronti di D.S.A. , figlio del defunto F. , il Tribunale di Roma, con sentenza non definitiva del 23 febbraio 2000, così provvedeva dichiara aperta la successione legittima di F S. . dichiara che l'eredità, composta dei beni descritti in premessa, si è devoluta per legge, in ragione di un terzo ciascuno, a favore del coniuge A B. e dei figli D.S.G. e A. dichiara che i due appartamenti ubicati in omissis , compreso il terreno circostante, appartengono per 5/6 a G D.S. e per il sesto residuo ad A D.S. dichiara che sulla quota di D.S.G. , fino alla concorrenza dei 4/6 acquistati da B.A. , quest'ultima è titolare del diritto di usufrutto provvede come da separata ordinanza per la prosecuzione del giudizio rinvia la pronuncia sulle spese alla sentenza definitiva . Nella motivazione di detta sentenza il Tribunale dava atto che nel patrimonio ereditario erano compresi la metà indivisa di due appartamenti con terreno circostante in omissis , dei quali il de cuius era comproprietario insieme al coniuge precisava che i beni oggetto delle donazioni fatte dal defunto a ciascuno dei figli dovevano ritenersi definitivamente acquisiti ai donatari senza possibilità di tener conto della loro esistenza o del loro valore ai fini della massa e della determinazione delle quote rigettava la domanda di simulazione nonché le altre domande avanzate dal convenuto ed aventi ad oggetto frutti civili e la presenza di danaro nell'asse ereditario. Con sentenza definitiva depositata il 18 novembre 2002, il Tribunale di Roma disponeva lo scioglimento della comunione relativa agli appartamenti ubicati in omissis , con terreno circostante, il tutto gravato da usufrutto per 4/6 in favore della B. , attribuendo i predetti immobili a G D.S. , con obbligo per quest'ultima di pagare al fratello A. la somma di Euro 23.927,89, a titolo di conguaglio. 2. - Proposto gravame avverso detta sentenza definitiva da parte di A D.S. , la Corte d'appello di Roma, con sentenza del 6 ottobre 2009, ha respinto l'impugnazione. La Corte territoriale - in via assorbente rispetto ad altre pur fondate argomentazioni di contrasto opposte dalle appellate - ha riconosciuto evidente consistenza alla segnalata preclusione della pretesa ancora avanzata dall'appellante in conseguenza dell'ormai irre-trattabile reiezione della stessa già nel precedente grado di giudizio per effetto del giudicato interno promanante dalla indicata sentenza non definitiva del 23 febbraio 2000 del medesimo Tribunale, richiamata dalla decisione attualmente impugnata e divenuta irrevocabile per mancata impugnazione . 3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello D.S.A. ha proposto ricorso, con atto notificato il 27 marzo 2010, sulla base di cinque motivi. L'intimata G D.S. , in proprio e nella qualità di erede di A B. , ha resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa. Considerato in diritto 1. - Con il primo motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ. con riferimento ai cri-teri ermeneutici applicabili alle sentenze, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla ritenuta preclusione effetto del giudicato interno, nonché nullità della sentenza per violazione del giudicato interno, ex art. art. 360, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ. si sostiene che dal terreno circostante caduto in successione debbano essere esclusi i beni personali del ricorrente. Con l'espressione terreno circostante , contenuta nel dispositivo della sentenza non definitiva, il Tribunale - si sostiene - intendeva il solo terreno circostante caduto in successione, non anche gli spazi già di proprietà privata dei fratelli A. e G. in forza di donazione del 24 aprile 1978 anteriore alla successione. Ad avviso del ricorrente, la sentenza del 2002, in contrasto con il precedente giudicato interno, avrebbe attribuito l'intero terreno circostante a G D.S. , omettendo di considerare che su detto terreno esistevano beni di proprietà esclusiva delle parti in forza di precedente acquisto inter vivos , che dunque, correttamente, la sentenza parziale aveva escluso dalla massa ereditaria. Con il secondo mezzo violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 cod. civ. con riguardo ai criteri ermeneutici applicabili alle sentenze, ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento alla ritenuta preclusione effetto del giudicato interno, in relazione all'art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. si lamenta che la Corte d'appello abbia male interpretato l'esistenza ed il contenuto del giudicato interno, ritenendo erroneamente che la sentenza parziale del 2000 avesse già definitivamente rigettato le pretese avanzate dall'appellante. Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza per omessa pronuncia, sul rilievo che, poiché nessun giudicato interno può essersi formato sulla comprensione nella massa ereditaria anche dei beni pervenuti al ricorrente per atto tra vivi, la Corte d'appello avrebbe dovuto pronunciare sul secondo motivo di gravame con cui era stato richiesto di precisare che nell'asse ereditario non potevano essere ricompresi i beni di proprietà esclusiva delle parti. Il quarto mezzo denuncia nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nella parte in cui essa, respingendo l'appello, ha confermato l'attribuzione ad uno dei coeredi dell'intero terreno circostante. Con il quinto mezzo si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione con riguardo alla mancata indicazione delle altre argomentazioni , diverse dalla preclusione del giudicato, in forza delle quali è stato rigettato l'appello. 2. - In ordine logico, è prioritario l'esame del terzo motivo. Esso è fondato. Pronunciando sull'impugnazione interposta da D.S.A. avverso la sentenza definitiva del Tribunale, la Corte d'appello - nel ritenere preclusa ogni indagine per effetto del giudicato interno formatosi per effetto della mancata impugnazione della sentenza non definitiva - ha avuto riguardo, esclusivamente, al primo motivo di gravame, con il quale si denunciava l'omessa valutazione dei frutti derivanti dal possesso dei beni immobili. Ciò risulta, per tabulas, dal testo della sentenza oggetto del presente ricorso per cassazione, nella quale, nella parte dedicata allo Svolgimento del processo, si precisa che con il proposto gravame l'appellante ha contestato, in particolare, il mancato riconoscimento, in proprio favore, della porzione dei frutti prodotti dai beni ereditari sempre rimasti nel possesso dei congiunti coeredi sin dall'epoca dell'apertura della successione . Ora, non è contestato - ne da atto lo stesso ricorrente per cassazione - che con la sentenza non definitiva del 23 febbraio 2000 non oggetto di impugnazione il Tribunale di Roma avesse rigettato la domanda avanzata dal convenuto A D.S. avente ad oggetto frutti civili ricavati dai beni comuni sicché bene ha pronunciato la Corte d'appello là dove ha ritenuto coperta dal giudicato interno la pretesa - riguardante, appunto, la porzione dei frutti prodotti dai beni ereditari - veicolata con il primo motivo di gravame. Sennonché, l'atto di appello conteneva - come esattamente rileva il ricorrente - un secondo motivo di impugnazione, con cui si mirava ad ottenere la parziale riforma della sentenza definitiva, nella parte in cui aveva proceduto all'integrale divisione del terreno circostante , censurandosi che esso fosse stato tutto compreso nella comunione ereditaria, senza considerare che parte del terreno doveva ritenersi pervenuto ad A D.S. per atto tra vivi, come riconosciuto dalla stessa motivazione della sentenza non definitiva. Su questo motivo di appello è mancata la pronuncia della Corte territoriale, sicché sussiste il lamentato vizio di infrapetizione. 3. - Anche il quinto motivo è fondato. La Corte d'appello ha rigettato l'appello anche per un'altra ragione, sia pure indicata in via subordinata rispetto a quella del giudicato interno, ritenuta assorbente ossia per essere fondate [le] argomentazioni di contrasto opposte dalle appellate . Sotto questo ulteriore profilo, la motivazione che sostiene il rigetto - ove riferita al secondo motivo di appello - è meramente apparente, perché non da assolutamente conto né delle difese di controparte né delle ragioni per cui esse dovessero essere accolte. Il giudice del gravame, pertanto, non ha per nulla esplicitato il procedimento logico seguito nel respingere il secondo motivo dell'appello. 4. - L'accoglimento del terzo motivo di ricorso determina l'assorbimento tanto del quarto mezzo meramente iterativo del terzo quanto del primo e del secondo, i quali si riferiscono al merito di una pronuncia che è mancata, se si eccettua il riferimento alle fondate [le] argomentazioni di contrasto opposte dalle appellate . Sarà infatti compito del giudice del rinvio pronunciare sul secondo motivo di gravame, ossia sulla pretesa di riduzione dell'ambito del terreno circostante oggetto di divisione, ricostruendo a tal fine la portata precettiva della pronuncia giurisdizionale contenuta nella sentenza non definitiva del primo giudice, da individuare - secondo i principi - tenendo conto non soltanto delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni contenute nella motivazione, costituenti le necessarie premesse logiche e giuridiche della decisione. 5. - La sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte. La causa deve essere rinviata ad altra sezione della Corte d'appello di Roma. Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il terzo ed il quinto motivo del ricorso e dichiara assorbiti il primo, il secondo ed il quarto mezzo cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d' appello di Roma.