Per l’assegnazione valgono gli accordi intervenuti tra gli ex coniugi

Il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, conviventi con i coniugi. In assenza di tale presupposto, il giudice non può assegnare la casa in comproprietà in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento questa resta soggetta alle norme sulla comunione, salva l’esistenza di eventuali accordi di natura negoziale intercorsi tra le parti in sede di separazione personale.

L’ex moglie, convenuta dinanzi al Tribunale di Prato dal proprio coniuge per il procedimento di divorzio, chiedeva un assegno di mantenimento in favore della figlia, un assegno di divorzio per sé e l’assegnazione della casa coniugale, diritto quest’ultimo riconosciuto alla stessa in sede di separazione consensuale. Con sentenza definitiva, il Tribunale accoglieva solo una parte delle richieste della donna, ponendo a carico dell’ex marito l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia. Con la sentenza n. 387, depositata il 13 gennaio 2012, la Suprema Corte ha cassato parzialmente la pronuncia della Corte d’Appello di Firenze, adita dalla ex moglie, adducendo la carenza di motivazione in ordine al diniego dell’assegnazione della casa familiare alla donna. Escluso il mantenimento per l’ex moglie e la figlia, esclusa l’assegnazione della casa . La Corte d’Appello fa derivare il diniego dell’assegnazione della casa coniugale dalla mancanza dei presupposti per l’erogazione del contributo al mantenimento nei confronti della moglie e della figlia a carico dell’uomo la scarsa capacità reddituale dell’ex marito, onerato dal sostentamento di un nuovo nucleo familiare, l’autosufficienza economica dichiarata dalla moglie in sede di separazione nonché l’abbandono da parte della figlia di una precedente attività lavorativa perché divenuta socia accomandataria di una società di gestione di un bar escludono l’obbligo di mantenimento a carico dell’uomo. E se i coniugi definiscono un accordo di natura negoziale nel verbale di separazione? In sede di separazione consensuale, quando era stata disposta l’assegnazione dell’immobile alla moglie, i coniugi si erano impegnati a vendere la casa familiare solo dopo che i figli, autosufficienti, avessero trasferito la loro residenza. L’accordo, riportato testualmente nel ricorso e consacrato nel verbale di separazione omologato, secondo i giudici di legittimità è destinato ad avere vigenza temporalmente indeterminata fino al verificarsi della condizione ivi prevista. La Corte d’appello non spiega le motivazioni per le quali l’accordo raggiunto dai coniugi nel verbale di separazione non sia stato preso in considerazione. La Corte territoriale, nella sua decisione di non disporre l’assegnazione, ha fatto salva l’esistenza di eventuali accordi di natura negoziale, ritenendoli impregiudicati dalla sentenza, ma non ha tenuto debitamente conto delle ragioni per le quali l’accordo non dovrebbe influire sulla domanda di assegnazione della casa coniugale in sede di giudizio di divorzio. Pertanto, la carenza di motivazione si riscontra anche nella mancata individuazione di quelle ragioni sopravvenute, in presenza delle quali i giudici di merito avrebbero dovuto spiegare perché consideravano non operante l’accordo privato e, dunque, perché non assegnavano la casa familiare alla madre, convivente con i figli. L’autonomia negoziale delle parti prevale se non lede diritti garantiti e il preminente interesse della prole. Sembra che i giudici di secondo grado non abbiano dato il giusto peso alla volontà delle parti e alla loro autonomia negoziale. Verosimilmente, con tale regolamento convenzionale, gli ex coniugi intendevano assicurare ai figli il permanere nell’ambiente domestico fino a quando tale abitazione non fosse stata più di loro necessità nonché non fossero stati economicamente autosufficienti per poter cambiare la propria residenza. Come già osservato dalla Cassazione sent. n. 8539/2005 in una precedente pronuncia, si vuole ricordare che il venir meno dei presupposti per il mantenimento a favore della figlia e, di conseguenza, la revoca dell’assegno dovuto, non comporta necessariamente che la stessa sia da considerarsi autosufficiente e che di conseguenza debba essere revocata anche l’assegnazione della casa familiare alla madre con la quale la figlia continua a vivere. L’accordo in esame, inoltre, è stato formulato coerentemente con le disposizioni del codice civile, laddove l’art. 155- quater c.c. prevede che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. La Cassazione, con quest’ultima sentenza, sancisce il diritto di autodeterminazione dei coniugi attraverso la definizione di patti trascritti nel verbale di separazione che, se non sopravvengono circostanze e ragioni nuove, sono destinati a durare nel tempo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 21 novembre 2011 – 13 gennaio 2012, numero 387 Presidente Felicetti – Relatore Bernabai Svolgimento del processo Con ricorso notificato l'1 giugno 2009 il signor M.P. conveniva dinanzi al Tribunale di Prato il proprio coniuge, signora P.M. per sentir dichiarare la cessazione degli effetti civili del loro matrimonio concordatario, con accertamento dell'insussistenza di alcun obbligo di mantenimento in favore della moglie e dei due figli e del venir meno dei diritto all'assegnazione della casa coniugale riconosciuto loro in sede di separazione consensuale. Costituitasi ritualmente, la signora P. non si opponeva alla domanda principale, né alla richiesta accessoria di cessazione dell'assegno di mantenimento del figlio L. divenuto autosufficiente dall' omissis . Chiedeva invece in via riconvenzionale un assegno di mantenimento in favore dell'altra figlia e un assegno divorzile per se stessa, oltre all'assegnazione della casa coniugale. Con sentenza parziale 9 gennaio 2006 il Tribunale di Prato dichiarava la cessazione degli effetti civili dei matrimonio. Con sentenza definitiva 2 febbraio 2007 il medesimo giudice poneva a carico del M. l'obbligo di versare all'ex moglie la somma mensile di Euro 200,00 per il mantenimento della figlia convivente, rigettando ogni altra domanda. La Corte d'appello di Firenze rigettava con sentenza 25 giugno 2007 il gravame principale della signora P. e in accoglimento dell'impugnazione incidentale del M. rigettava le domande ex adverso proposte nei suoi confronti, con la conseguente condanna alla rifusione delle spese di giudizio. Motivava - che l'esiguità delle risorse di cui disponeva il M., operaio a basso reddito, gravato di obblighi di sostentamento del suo nuovo nucleo familiare, e, per contro, l'autosufficienza economica dichiarata al momento della separazione coniugale dalla P. escludevano alcun'obbligazione di mantenimento nei confronti di quest'ultima, il cui dedotto peggioramento non poteva dirsi ricollegabile alla cessazione del vincolo coniugale derivando, piuttosto, da problemi di salute sopraggiunti nel tempo - che l'abbandono della precedente occupazione lavorativa da parte della figlia, divenuta socia accomandataria della società che gestiva un pubblico esercizio di bar, dimostrava la sua disponibilità economica - che il venir meno dei presupposti per l'erogazione del contributo di mantenimento sia nei confronti della moglie, che della figlia, eliminava in radice il problema dell'assegnazione della casa coniugale in comproprietà, il cui regime giuridico rispondeva alla disciplina ordinaria della comunione. Avverso la sentenza notificata il 13 dicembre 2007 la signora P. proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, notificato l'11 febbraio 2008 ed ulteriormente illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civile. Deduceva 1 la violazione di legge in materia di assegno divorzile, perché la Corte d'appello di Firenze pur riconoscendo i suoi gravi problemi di salute, affetta da diabete mellito di tipo uno, aggravatosi nel tempo, aveva escluso l'assegno di mantenimento per il solo fatto che ella si fosse dichiarata economicamente autosufficiente all'epoca della separazione 2 la violazione di legge in materia di assegnazione della casa familiare 3 la carenza di motivazione in ordine al diniego dell'assegnazione della casa familiare, perché la corte territoriale non aveva tenuto conto dell'accordo intercorso tra i coniugi in sede di separazione consensuale. Resisteva con controricorso il signor M All'udienza del 21 novembre 2011 il Procuratore generale ed il difensore del M. precisavano le rispettive conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge in materia di assegno divorzile. Il motivo è inammissibile. La Corte d'appello di Firenze ha richiamato una pluralità di elementi di fatto rilevanti ai fini del diniego dell'assegno di mantenimento. Da un lato, ha posto in evidenza, infatti, il reddito esiguo del M. e l'aggravio di spese doverose in conseguenza della formazione di un nuovo aggregato familiare. Dall'altro, oltre a richiamare la dichiarata autosufficienza economica pregressa della signora P. ha presuntivamente accertato l'utilità economica che la stessa traeva dalla partecipazione ad un'impresa economica di bar - gestita in forma di s.a.s. - insieme con il suo nuovo compagno e con la figlia che ne rivestiva la qualità di socia accomandataria, con la conseguente assunzione di responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali . Si tratta quindi di una ratio decidendi complessa di cui la ricorrente contesta un solo aspetto, con il motivo in esame, insufficiente, di per sé, a caducare la pronunzia. Infondato si palesa il secondo motivo con cui si censura la violazione di legge in materia di assegnazione della casa familiare. L'art. 6 della legge 1 dicembre 1970 numero 898, nel testo sostituito dall'articolo 11 della legge 6 marzo 1987, numero 74, subordina il provvedimento di assegnazione della casa coniugale alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, conviventi con i coniugi. In assenza di tale presupposto la casa in comproprietà non può essere assegnata dal giudice in sostituzione o quale componente dell'assegno di mantenimento di separazione o divorzio e resta soggetta alle norme sulla comunione, in ordine all'uso e all'eventuale divisione Cass., sez. 1, 21 gennaio 2011, numero 1491 Cass., sez. 1, 22 marzo 2007, numero 6979 . Nella specie, il giudice di merito ha fatto corretta applicazione di tali principi, dopo aver escluso l'obbligazione di mantenimento nei confronti della figlia maggiorenne, convivente con la madre statuizione, non impugnata in questa sede e quindi irrevocabile. Con il terzo motivo si denunzia la carenza di motivazione in ordine al diniego dell'assegnazione della casa familiare. La censura è fondata. La corte territoriale, nel rigettare la domanda di assegnazione della casa familiare alla signora P., richiamando, come detto, la carenza del presupposto della coabitazione della P. con figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, ha fatto salva, nel contempo, l'esistenza di eventuali accordi di natura negoziale, intercorsi in sede di separazione, ritenendoli impregiudicati dalla sentenza. Sotto questo profilo, la decisione non appare corretta, dal momento che il giudicato formatosi sul rigetto della domanda di assegnazione copre il dedotto ed il deducibile incluso quindi il regolamento convenzionale - riportato testualmente nel ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza - che si assume consacrato nel verbale di separazione personale, destinato ad avere vigenza temporalmente indeterminata fino al verificarsi della condizione ivi prevista. L'immobile in questione verrà posti in vendita a terzi con modalità che i coniugi stessi stabiliranno di comune accordo, quando i figli L. e V. trasferiranno altrove la loro residenza e quindi tale abitazione non sarà più di loro necessità . La sentenza impugnata appare quindi viziata laddove non da conto delle ragioni - eventualmente sopravvenute - per le quali tale accordo non dovrebbe influire sulla domanda di assegnazione della casa coniugale in sede di giudizio di divorzio. La sentenza deve essere dunque cassata in parte qua, con rinvio alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, per un nuovo giudizio ed anche per il regolamento delle spese della fase di legittimità. P.Q.M. Accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati primi due, cassa la sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte d'appello di Firenze, in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.