Sì alla protezione umanitaria se la richiedente è in stato di gravidanza

La Corte di Cassazione accoglie la domanda di protezione umanitaria di una donna nigeriana, in stato interessante. È proprio questo il dettaglio preminente nella questione, certificato clinicamente dalla richiedente, ma non considerato dalla Corte d’Appello.

Sul tema la Suprema Corte con l’ordinanza n. 14884/21, depositata il 27 maggio. Il Tribunale di Roma rigettava le domande di una donna nigeriana al fine di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiata e della protezione umanitaria . La Corte d’Appello confermava la decisione del Tribunale, poiché l’appellante non aveva conseguito una rilevante forma di integrazione in Italia . La straniera ricorre quindi in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la violazione degli artt. 5, comma 6, e 19, comma 2, d.lgs. n. 286/1998 in quanto la Corte d’Appello non avrebbe considerato il suo stato di gravidanza . Il motivo di doglianza è fondato in quanto risulta che la Corte d’Appello di Roma abbia omesso di considerare la certificazione clinica attestante lo stato di gravidanza della ricorrente per il riconoscimento della protezione umanitaria. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la protezione umanitaria rappresenta una categoria aperta volta al riconoscimento caso per caso del diritto di permanere sul territorio italiano alla luce della condizione personale di vulnerabilità del richiedente tale forma di protezione individualizzata sulla base di un’analisi comparata tra la vita privata condotta in Italia e quella alla quale la stessa sarebbe esposta in caso di rimpatrio Cass. n. 8571/20 . E nel caso di specie, la condizione della madre in gravidanza si riflette sulla valutazione individuale della situazione di vulnerabilità della richiedente . Per questi motivi la Corte di Cassazione cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 luglio 2020 – 27 maggio 2021, n. 14844 Presidente San Giorgio – Relatore Vanucci Fatti di causa 1. Con ordinanza emessa il 29 dicembre 2015 a definizione di processo svoltosi secondo il rito sommario di cognizione, il Tribunale di Roma rigettò le domande di O.V. di nazionalità omissis volte al riconoscimento dello status di rifugiata, in subordine al riconoscimento della protezione sussidiaria o, in ulteriore subordine, del riconoscimento della protezione umanitaria. 2.Adita da O. , la Corte d’Appello di Roma confermò tali statuizioni con sentenza emessa il 3 aprile 2018. 2.1 Per quanto qui ancora interessa, la motivazione della conferma del rigetto della domanda di rilascio di permesso di soggiorno per ragioni umanitarie è nel senso che l’appellante non ha conseguito una rilevante forma di integrazione in Italia il quadro patologico esitato al sinistro stradale in cui è rimasta coinvolta quale trasportata non configura ipotesi di rilievo il diritto alla protezione umanitaria non può essere riconosciuto per il semplice fatto di versare in non buone condizioni di salute, occorrendo invece che tale condizione sia l’effetto della grave violazione dei diritti umani dell’interessato nel paese di provenienza, ipotesi non ricorrente . 3. O. propose ricorso per la cassazione di tale sentenza nella parte dispositiva della conferma del rigetto della domanda di protezione umanitaria. 4. Il Ministero dell’Interno non si è costituito. 5. Con ordinanza interlocutoria emessa il 20 settembre 2019, la trattazione della causa è stata rinviata a nuovo ruolo essendo pendente avanti le Sezioni Unite della Corte questione di massima particolare importanza relativa all’applicabilità della normativa introdotta con D.L. n. 113 del 2018, conv. nella L. n. 132 del 2018 nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 nei giudizi in corso relativi alle domande di riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte, come quella di specie, prima dell’entrata in vigore della citata legge del 2018. 6. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di censura, la parte privata deduce che la motivazione della sentenza impugnata è caratterizzata da violazione ovvero mancata applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, di seguito indicato come T.u. immigrazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , in ragione della mancata considerazione da parte della Corte di appello di Roma del sopravvenuto e documentato stato di gravidanza di essa ricorrente in sede di riconoscimento della protezione umanitaria. 2. Con il secondo motivo, la parte privata deduce la violazione ovvero la falsa applicazione del principio dispositivo di cui all’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 , per avere la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi sulla domanda di protezione umanitaria fondata su detto documentato stato di gravidanza. 3. In via preliminare, si osserva che, se è vero che con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, convertito con la L. n. 132 del 2018, è stata soppressa la disciplina della protezione umanitaria di cui all’art. 5, comma 6 t.u. immigrazione, è altrettanto vero che le domande relative al diritto in questione, proposte, come quella oggetto della pronuncia recata dalla sentenza impugnata, prima dell’entrata in vigore il 5 ottobre 2018 del citato decreto-legge, sono regolate dalla disciplina legale in vigore al momento della loro presentazione è in tale momento, infatti, che, in tesi, sorge il diritto fatto valere con l’azione giudiziale in questo senso, cfr. Cass. S.U., 13 novembre 2019, n. 29459 . 4. I due motivi di impugnazione sono da trattare congiuntamente in ragione della loro stretta connessione. In considerazione delle modalità di prospettazione delle censure, la Corte è abilitata a prendere visione degli atti e documenti depositati nel giudizio di appello. Risulta che nel corso dell’udienza di trattazione svoltasi avanti la Corte di appello di Roma il 14 luglio 2017 il difensore con procura dell’odierna ricorrente depositò certificazione clinica attestante lo stato di gravidanza di tale persona e chiese espressamente di prendere in esame tale fatto nuovo ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. Tale fatto non è preso in alcun modo in considerazione dalla sentenza impugnata ed era potenzialmente decisivo ai fini della pronuncia sull’appello contro il diniego di protezione umanitaria. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito che la protezione umanitaria rappresenta una categoria aperta volta al riconoscimento caso per caso del diritto a permanere sul territorio italiano alla luce della condizione personale di vulnerabilità del richiedente tale forma di protezione individualizzata sulla base di un’analisi comparata tra la vita privata condotta in Italia e quella alla quale la stessa sarebbe esposta in caso di rimpatrio cfr. per tutte, Cass. 6 maggio 2020, n. 3571 . In questo senso, la condizione di donna in gravidanza e quindi di madre, non può che riflettersi sulla valutazione individuale della situazione di vulnerabilità della richiedente la protezione umanitaria. D’altra parte, è la stessa disciplina in materia a riconoscere la donna neo-madre come bisognosa di tutele specifiche, avendo inserito nella lista delle persone vulnerabili D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 2, comma 1, lett. h-bis , la donna in stato di gravidanza, facendo insorgere sullo Stato italiano un divieto assoluto di respingimento che si estende ai sei mesi successivi al parto art. 19, comma 2, lett. d tu. immigrazione e permane in presenza di famiglie monoparentali con figli minori art. 19, comma 2-bis t.u. immigrazione . L’allegazione della ricorrente, sulla base della quale essa riteneva essere titolare del diritto alla protezione umanitaria in ragione della sua condizione di donna in stato di gravidanza, avrebbe dovuto essere oggetto di specifica considerazione da parte della Corte di appello di Roma che, come detto, omise di prendere in esame tale fatto potenzialmente decisivo. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che dovrà prendere in esame il contenuto del citato documento, uniformarsi al principio di diritto sopra ribadito e provvedere alla regolamentazione tra le parti delle spese processuali relative al giudizio di legittimità. P.Q.M. Cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda altresì la regolamentazione tra le parti delle spese relative al presente giudizio di legittimità.