Telecom non può ricontattare i clienti che hanno già negato il consenso al telemarketing

Una comunicazione telefonica finalizzata ad ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l’abbia precedentemente negato, è essa stessa una comunicazione commerciale”.

Così ha statuito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 11019/21 depositata il 26 aprile. Il Tribunale di Milano rigettava il ricorso presentato da Telecom Italia avverso il provvedimento emanato dal Garante per la Protezione dei dati personali che aveva vietato l’ulteriore trattamento per finalità di marketing dei dati personali riferiti alle utenze oggetto della campagna recupero consenso” , e tra questi quelli riferiti alle utenze XY e HZ, trattati in assenza di consenso legittimamente manifestato, ai sensi degli artt. 23 e 130, comma 3, codice privacy . Telecom Italia, nel caso specifico, aveva realizzato una campagna di contatto” denominata recupero consenso” diretta ad ottenere dai clienti un ripensamento in vista di una futura campagna promozionale e di vendita telefonica. In riferimento alla vicenda, diversi utenti avevano segnalato che, pur avendo espressamente negato il proprio consenso ad un contatto telefonico – da parte della società - per finalità promozionali , avevano poi ricevuto telefonate di tale contenuto da fornitori di servizi Telecom. La compagnia telefonica, nonostante la volontà contraria espressa dagli utenti, aveva dunque conservato nei propri database i dati personali di diversi ex clienti. Telecom Italia, a seguito della pronuncia dal giudice di primo grado, ricorre in Cassazione. I Giudici di legittimità dichiarano l’inammissibilità della doglianza lamentata dal ricorrente, evidenziando come il Tribunale abbia ritenuto idonea la motivazione contenuta nel provvedimento impugnato nella parte in cui il Garante aveva qualificato la campagna realizzata da Telecom come avente una finalità promozionale , in quanto diretta a recuperare presso i clienti il consenso già negato per nuove iniziative promozionali. In secondo luogo, i Giudici evidenziano come la tesi sostenuta da Telecom secondo cui una campagna telefonica per ottenere il consenso per finalità commerciali, da parte di chi tale consenso abbia già negato, non rientrerebbe nella definizione di comunicazione commerciale sia in aperto contrasto con la ratio della normativa in materia di privacy . Infatti, la Corte precisa che le telefonate in oggetto hanno chiaramente lo scopo di effettuare proposte commerciali , a prescindere dal fatto che con la stesse si realizzino o meno anche una vendita di beni o servizi. In conclusione, la Corte ricorda che ”i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati ” a norma dell’art. 11, comma 2, del codice che, insieme alla previsione del sistema dell’opt-out introdotto dall’art. 130, comma 3-bis, del codice realizza – come osservato dal Garante nel controricorso – un equilibrato bilanciamento tra libertà di impresa e tutela della riservatezza dei dati personali . Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 26 febbraio – 26 aprile 2021, n. 11019 Presidente Genovese – Relatore Lamorgese Fatti di causa Telecom Italia proponeva ricorso avverso il provvedimento del Garante per la Protezione dei dati personali, in data 22 giugno 2016, che aveva vietato l’ulteriore trattamento per finalità di marketing dei dati personali riferiti alle utenze oggetto della campagna recupero consenso , e tra questi quelli riferiti alle utenze XY e HZ, trattati in assenza di consenso legittimamente manifestato, ai sensi dell’art. 23 e art. 130, comma 3, codice privacy . Nel giudizio dinanzi al Tribunale di Milano si costituiva il Garante per la protezione dei dati personali che segnalava che il procedimento di accertamento era scaturito da segnalazioni degli utenti che, pur avendo espressamente negato il consenso ad essere contattati telefonicamente per finalità promozionali, nel corso dell’anno 2015 avevano ricevuto telefonate di tal genere da fornitori di servizi che operavano nell’interesse di Telecom, che aveva conservato nei propri data base i dati personali di cinque milioni di ex clienti, una parte dei quali non aveva dato il consenso o lo aveva espressamente negato. Il Tribunale di Milano, con sentenza del 5 maggio 2017, rigettava il ricorso. Il tribunale - evidenziato il ruolo centrale del consenso espresso dell’interessato D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 23, codice privacy ai fini della legittimità del trattamento dei dati personali, cui consegue che la negazione del consenso vincola l’operatore, anche a prescindere dal fatto che l’interessato sia iscritto nel registro pubblico delle opposizioni - riteneva non condivisibile la difesa di Telecom, che sosteneva che, nella specie, il realizzato trattamento dei dati non aveva avuto uno scopo promozionale art. 7, comma 4, codice , ma era finalizzato solo a verificare la permanenza del dissenso da parte di coloro che in passato erano stati clienti a ricevere comunicazioni promozionali, al fine di acquisire l’eventuale consenso. Ad avviso del tribunale, era invece evidente il contenuto promozionale della campagna realizzata da Telecom, diretta ad ottenere dai clienti un ripensamento in vista di una futura campagna promozionale e di vendita telefonica. Ed infatti, Telecom aveva realizzato una campagna di contatto , non a caso denominata recupero consenso , allo scopo di acquisire il consenso per essere contattati per attività di marketing, come dimostrato dal fatto che aveva previsto anche le modalità di contestuale promozione e immediata conclusione dei singoli contratti lo script fornito ai partners Telecom era così formulato Ci piacerebbe acquisire il suo consenso per tenerla aggiornata sulle nostre offerte, oggi più interessanti rispetto a quando lei era nostro cliente. Se è interessato la invitiamo a lasciarci il suo consenso per essere ricontattato da Telecom Italia/TIM la informiamo che, se ci fornirà il consenso, Telecom Italia potrà trattare i suoi dati inclusi i dati di traffico e di navigazione Internet individuali e dettagliati per proporle nuove offerte, per vendita diretta, per ricerche di mercato, anche con modalità automatizzate Ci fornisce il suo consenso? . All’operatore telefonico non era invece consentito di vanificare la volontà degli interessati che già avevano negato il consenso mediante una campagna di marketing in due tempi volta, prima, a riacquisire il consenso già negato e, dopo, a realizzare l’attività promozionale vera e propria, trattandosi di un trattamento illecito di dati, stante l’intrinseca inscindibilità tra la campagna di acquisizione del consenso e la finalità di marketing. E doveva essere inibita l’utilizzazione dei consensi comunque ottenuti, in quanto illecitamente acquisiti sulla base di un trattamento illecito di dati personali. Avverso questa sentenza Telecom Italia propone ricorso per cassazione, cui resiste il Garante per la protezione dei dati personali. Il ricorrente ha depositato una memoria. Ragioni della decisione Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 152 del codice privacy e la L. 8 agosto 1990, n. 241, art. 3, per avere il tribunale impropriamente espresso una motivazione postuma, ritenendosi legittimato a non svolgere il doveroso sindacato sulla correttezza formale dell’impugnato provvedimento del Garante, in ordine alla esistenza e adeguatezza della motivazione ivi contenuta, contrariamente a quanto richiesto al giudice in sede di impugnazione dei provvedimenti amministrativi. Il motivo è inammissibile, poiché non coglie la ratio decidendi con la quale il tribunale, esaminando funditus la doglianza dell’opponente, ha chiaramente giudicato la motivazione contenuta nell’impugnato provvedimento come idonea e, dunque, incensurabile, laddove il Garante aveva qualificato la campagna realizzata da Telecom come avente una finalità promozionale, in quanto finalizzata a recuperare presso i clienti il consenso già negato per nuove iniziative promozionali. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 23 e art. 130, comma 3, del codice privacy, per avere qualificato come comunicazione commerciale o promozionale un’attività consistita in telefonate volte al recupero dei consensi, già negati circa due anni prima, che non rientrava nella definizione normativa di comunicazione commerciale di cui all’art. 7, comma 4, del codice inoltre, l’inibitoria pronunciata, in relazione ai consensi comunque acquisiti dall’operatore telefonico, sarebbe contraddittoria rispetto alla finalità di acquisire e rispettare la volontà degli interessati. Il motivo è infondato. La tesi propugnata nel motivo, secondo cui una campagna telefonica per ottenere il consenso per finalità commerciali, da parte di chi tale consenso abbia già negato, non sarebbe riconducibile alla nozione di comunicazione commerciale, non è condivisibile, contrastando con la ratio della normativa di settore. Ed infatti, una comunicazione telefonica finalizzata ad ottenere il consenso per fini di marketing, da chi l’abbia precedentemente negato, è essa stessa una comunicazione commerciale . La finalità alla quale è imprescindibilmente collegato il consenso richiesto per il trattamento non può non concorrere a qualificare il trattamento stesso, ragione per cui il trattamento dei dati dell’interessato per chiedere il consenso per fini di marketing è esso stesso un trattamento per finalità di marketing. Il tribunale, allora, non è incorso in violazione o falsa applicazione dei parametri normativi indicati, quando ha condiviso la tesi del Garante di ritenere che il dichiarato scopo di ottenere dalle persone contattate il consenso ad essere contattate per finalità commerciali non valga ad inficiare la constatazione che si tratti di telefonate pur sempre di tipo promozionale, in quanto finalizzate ad ottenere il consenso per fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale art. 7, comma 4, del codice privacy . La finalità della chiamata telefonica è, in effetti, pur sempre quella di effettuare proposte commerciali, a prescindere dal fatto che con la stessa telefonata si effettui o meno anche una vendita di beni o servizi come possibile ed anche avvenuto in concreto, nulla impedendo al call-center di effettuare immediatamente un’offerta commerciale, senza bisogno di sollecitazioni da parte delle persone contattate . Diversamente opinando, una volta ammesso che una impresa commerciale possa contattare anche coloro che, in base all’art. 130 del codice, hanno iscritto la propria utenza nel registro pubblico delle opposizioni, lo stesso sistema del cosiddetto opt-out sarebbe di fatto vanificato, risultando inutile la prescritta consultazione di tale registro prima di effettuare una telefonata per chiedere il consenso ad offrire beni o servizi. Telecom, avendo contattato per fini commerciali chi espressamente aveva negato il proprio consenso o, comunque, non lo aveva espresso, al fine di provocare un ripensamento, non ha rispettato la volontà degli utenti. Gli interessati ben possono mutare opinione rispetto al trattamento dei loro dati personali, revocando il dissenso già espresso, ma nell’ambito di iniziative che li vedano protagonisti come osservato dal tribunale, mediante contatto gratuito con il numero 119 o nel contesto di richieste di informazioni . Sulla questione del divieto di trattare ulteriormente i dati relativi alle utenze della campagna recupero consenso per finalità promozionali, ivi compresi di coloro che, a seguito di tale trattamento illecito, abbiano comunque prestato il proprio consenso, la sentenza impugnata è immune dai vizi denunciati. Ed infatti, i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati , a norma dell’art. 11, comma 2, del codice che, insieme alla previsione del sistema dell’opt-out introdotto con l’art. 130 comma 3 bis del codice, realizza - come osservato dal Garante nel controricorso - un equilibrato bilanciamento tra libertà d’impresa e tutela della riservatezza dei dati personali. In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese, liquidate in Euro 8200,00, oltre spese prenotate a debito.