Genitori stranieri e figlia nata e vissuta in Italia: sì alla permanenza anche se la richiesta è reiterata e la situazione stabilizzata

Ciò che deve prevalere è l’interesse della minore, anche tenendo presente il radicamento suo e dei suoi genitori in Italia. Irrilevante, secondo i Giudici, il richiamo al fatto che l’autorizzazione è stata già richiesta e, dunque, rischia di perdere il requisito della temporaneità.

Reiterata nel tempo la richiesta di rinnovo dell’autorizzazione alla permanenza in Italia presentata da una coppia di genitori stranieri e mirata, in origine, ad ottenere tempo per predisporre, nell’interesse della figlia piccola, il rientro in patria. Questa condotta, pur se discutibile, non è sufficiente per negare alla coppia e alla bambina la possibilità di rimanere ancora in Italia, soprattutto tenendo presente il radicamento raggiunto da tutti i componenti della famiglia Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 10849/21, depositata il 23 aprile . Netta la posizione dei Giudici di merito niente rinnovo dell’ autorizzazione alla permanenza in Italia in favore di due cittadini albanesi, genitori di una bambina nata e sempre vissuta in Italia. Ricostruita nei dettagli la vicenda la coppia vive in Italia da circa dieci anni, si è sposata nel Paese di origine e ha avuto una bambina, e così ha ottenuto il rilascio del permesso di soggiorno nel 2014 con rinnovo nel 2016 . In aggiunta viene rilevato che moglie e marito abitano in un immobile in locazione, e l’uomo lavora come giardiniere presso un’impresa il nucleo è fortemente radicato in Italia , come dimostrato anche dal fatto che la bambina va a scuola ed è sotto osservazione medica per strabismo e piedi piatti . Pur a fronte di tale quadro, i Giudici d’Appello ritengono invece preponderanti altri elementi, ossia la minore non soffre di patologie che richiedono la permanenza in Italia e, soprattutto, nella prima domanda le parti avevano motivato la richiesta con la necessità di predisporre nell’interesse della figlia il comune rientro in Albania e nel primo rinnovo il Tribunale aveva considerato positivamente il radicamento dei genitori e la relazione dei ‘Servizi sociali’ . Ciò significa, secondo i Giudici, che moglie e marito non hanno voluto realmente organizzare il rientro in Albania . E, inoltre, non si ravvisa alcun particolare pregiudizio per la minore nel trasferimento in Albania in quanto entrambi i genitori andranno con lei , senza dimenticare che l’autorizzazione richiesta riguarda una situazione del tutto stabile e non suscettibile di mutamenti, dunque contrastante con la stessa ratio della disposizione normativa – e con la caratteristica della temporaneità del permesso –, non avendo l’autorizzazione in questione la funzione di sostanziale sanatoria della posizione di irregolarità della minore . Le valutazioni compiute in Appello non vengono però condivise dai Giudici della Cassazione, i quali mostrano invece di condividere le obiezioni proposte dal legale dei coniugi albanesi. In premessa viene richiamato il principio secondo cui la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore , prevista in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto . Bisogna quindi comprendere se l’allontanamento del familiare possa determinare nel minore, in relazione alla sua attuale condizione di vita, un grave disagio psico-fisico dovuto al suo rimpatrio o, nell’ipotesi in cui al rigetto della domanda debba conseguire anche l’allontanamento del minore, se il definitivo sradicamento dall’habitat sociale, relazionale, culturale e linguistico nel quale vive possa produrre le conseguenze pregiudizievoli previste dalla norma, tenuto conto delle condizioni di salute e dell’età . Per fare chiarezza va seguito un procedimento preciso, ricordano i Giudici. In sostanza, è necessario partire dalla valutazione della situazione attuale del minore come primo termine di paragone per la prognosi da svolgere sia in relazione all’allontanamento di uno dei genitori sia in relazione al suo rimpatrio ove l’irregolarità del soggiorno riguardi entrambi. Per svolgere questa indagine è necessario tenere conto di tutte le emergenze probatorie esterne ai soggetti coinvolti oltre alle condizioni soggettive ed oggettive dei soggetti coinvolti così come allegate. Solo all’ esito della valutazione di tutti questi elementi si può pervenire alla verifica della sussistenza o della mancanza del grave disagio psico-fisico del minore, derivante dal rimpatrio del familiare o dal suo sradicamento. Si tratta di un giudizio che ha ad oggetto indici provenienti esclusivamente dalla situazione fattuale dei soggetti coinvolti, da eventuali accertamenti tecnici su di essa, od anche, trattandosi della tutela dei minori, su relazioni di servizi pubblici dedicati all’osservazione e al sostegno dei minori e della famiglia, o scolastici. Tale giudizio, tuttavia, non può fondarsi su considerazioni generali relative alla sicurezza pubblica e alle politiche migratorie, ma deve fondarsi su una rigorosa operazione di bilanciamento che conduca, nel caso concreto, in considerazione della peculiare situazione del genitore o dei genitori, a ritenere che l’interesse del minore pur prioritario nella considerazione della norma, possa essere recessivo . Tuttavia, il giudizio non può fondarsi sul mero rilievo che l’autorizzazione è stata già richiesta e, dunque, rischia di perdere il requisito della temporaneità, dal momento che l’elemento temporale , chiariscono i Giudici, non è uno dei requisiti e delle condizioni di riconoscimento del diritto ma indica esclusivamente una caratteristica legata alla durata del permesso, considerata, tuttavia, in relazione alle singole richieste . In questa ottica, poi, è stato anche precisato che l’ autorizzazione non esclude le possibilità di un rinnovo , tenuto conto del prioritario interesse del minore, ove sia compiuto in termini favorevoli un giudizio prognostico all’attualità e che nel giudizio prognostico, ove il rimpatrio riguardi tutta la famiglia, non può essere esclusa la valutazione del deterioramento grave della condizione economica del nucleo familiare, ove privo di prospettive di occupazione in caso di rimpatrio . E proprio su quest’ultimo fronte è necessario un approfondimento , spiegano i Giudici della Cassazione affidando il compito alla Corte d’Appello , chiamata a valutare il pregiudizio sul minore derivante dal mutamento seguito al rimpatrio nella specie, oltre che dei genitori, anche suo , anche tenendo presente che moglie e marito non hanno alcun legame con l’Albania – mentre vi è un forte radicamento in Italia –, che sono incensurati, autonomi economicamente, e la figlia è nata e cresciuta in Italia . In questo quadro non può avere peso decisivo, secondo i Giudici della Cassazione, il riferimento al presunto intento elusivo della condotta dai coniugi albanesi, alla luce di una autorizzazione alla permanenza in Italia valutata in Appello come una sanatoria .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 18 gennaio – 23 aprile 2021, n. 10849 Presidente Genovese – Relatore Acierno Fatti di causa e ragioni della decisione La Corte d’Appello di Torino, confermando la pronuncia di primo grado ha rigettato la domanda volta ad ottenere il rinnovo dell’autorizzazione alla permanenza in Italia D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, comma 3, proposta da U.G. e F. , cittadini albanesi, in qualità di genitori della minore Fr. di otto anni, nata in Italia nel e sempre vissuta nel nostro paese. La Corte territoriale precisava in fatto che le parti appellanti vivevano in Italia da circa 10 anni, si univano in matrimonio nel omissis , nel omissis nasceva Fr. , ottenevano il rilascio del permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, comma 3, nel 2014 con rinnovo nel 2016, abitavano in un immobile in locazione U.F. lavorava come giardiniere presso l’impresa dello zio, che il nucleo era fortemente radicato in Italia, che la bambina seguiva la scuola elementare ed era sotto osservazione medica per strabismo e piedi piatti. La domanda veniva rigettata sulla base dei seguenti rilievi la minore non soffre di patologie che richiedono la permanenza in Italia nella prima domanda proposta D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31, comma 3, le parti avevano motivato la richiesta con la necessità di predisporre nell’interesse della figlia, il comune rientro in Albania. Nel primo rinnovo il Tribunale aveva considerato positivamente il radicamento dei genitori e la relazione dei servizi sociali. Afferma di conseguenza la Corte d’Appello che i reclamanti non hanno voluto realmente organizzare il rientro in Albania che non si ravvisa alcun particolare pregiudizio per la minore nel trasferimento in Albania in quanto entrambi i genitori andranno con lei e che l’autorizzazione richiesta riguarda una situazione del tutto stabile e non suscettibile di mutamenti dunque contrastante con la stessa ratio della disposizione normativa, non avendo l’autorizzazione in questione la funzione di sostanziale sanatoria della posizione di irregolarità della minore. Infine, aggiunge la Corte d’Appello di Torino di non condividere la più recente giurisprudenza di legittimità sviluppatasi in relazione alla preminenza dell’interesse del minore rispetto alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, così da attribuire, nella valutazione dei gravi motivi, rilievo presuntivo crescente all’aumentare dell’età del minore in relazione al sempre maggiore radicamento sul territorio ed in modo da non considerare la caratteristica della temporaneità del permesso. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione U.G. e F. affidandosi a cinque motivi di ricorso. Nel primo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, in relazione all’omessa valutazione in concreto del preminente interesse del minore alla conservazione del forte grado di radicamento nel nostro paese rispetto alle ragioni di ordine pubblico e sicurezza, peraltro non specificate. Il bilanciamento è stato svolto senza alcuna considerazione del panorama giurisprudenziale Europeo e convenzionale Corte di Giustizia e Cedu e senza un esame accurato della giurisprudenza di legittimità. Nel secondo motivo la violazione della norma viene posta in luce in relazione alla valutazione della domanda come una proroga a tempo indeterminato, senza considerare che vi era stato un solo rinnovo, e che con questo ultimo sarebbero ricorse le condizioni per il permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 9. Nel terzo motivo la medesima censura viene prospettata in relazione al vizio di motivazione apparente. Nel quarto e quinto motivo viene censurata l’omessa motivazione sul giudizio prognostico cui è tenuto il giudice del merito nel valutare la fondatezza della domanda in questione, in quanto l’argomentazione della Corte d’Appello si è concentrata sull’illegittimità della sanatoria che s’intendeva ottenere eludendo le norme di accesso e soggiorno dei cittadini stranieri. In particolare è stato del tutto omesso l’esame della situazione attuale della minore e delle conseguenze del suo sradicamento in relazione al suo equilibrio psico fisico. I motivi che possono essere trattati unitariamente in quanto logicamente connessi sono fondati nei limiti di cui in motivazione. La valutazione che il giudice del merito è tenuto a svolgere in relazione all’autorizzazione disciplinata nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, è indicata esattamente nella sentenza delle S.U. 21799 del 2010 così massimata La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l’esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell’età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto. Le sezioni unite impongono al giudice del merito di svolgere un giudizio prognostico che, alla luce delle allegazioni delle parti e dei riscontri probatori anche provenienti da relazioni di agenzie pubbliche o indagini tecniche, conduca a comprendere se l’allontanamento del familiare possa determinare nel minore, in relazione alla sua attuale condizione di vita, un grave disagio psico-fisico dovuto al suo rimpatrio o, nell’ipotesi in cui, al rigetto della domanda debba conseguire anche l’allontanamento del minore, se il definitivo sradicamento dall’habitat sociale, relazionale, culturale e linguistico nel quale vive, possano produrre le conseguenze pregiudizievoli previste dalla norma, tenuto conto delle condizioni di salute e dell’età. Il procedimento da seguire per applicare correttamente il principio di diritto esposto nelle sezioni unite che indicano il metodo, il contenuto e il risultato dell’indagine da svolgere è dunque il seguente è necessario partire dalla valutazione della situazione attuale del minore come primo termine di paragone per la prognosi da svolgere sia in relazione all’allontanamento di uno dei genitori sia in relazione al suo rimpatrio ove l’irregolarità del soggiorno riguardi entrambi. Per svolgere questa indagine è necessario tenere conto di tutte le emergenze probatorie esterne ai soggetti coinvolti oltre alle condizioni soggettive ed oggettive dei soggetti coinvolti così come allegate. Solo all’esito della valutazione di tutti questi elementi si può pervenire alla verifica della sussistenza o della mancanza del grave disagio psicofisico del minore, derivante dal rimpatrio del familiare o dal suo sradicamento. Si tratta di un giudizio che ha ad oggetto indici provenienti esclusivamente dalla situazione fattuale dei soggetti coinvolti, da eventuali accertamenti tecnici su di essa od anche, trattandosi della tutela dei minori, su relazioni di servizi pubblici dedicati all’osservazione e al sostegno dei minori e delle famiglia, o scolastici. Tale giudizio, tuttavia, non può fondarsi su considerazioni generali relative alla sicurezza pubblica e alle politiche migratorie, ma deve fondarsi su una rigorosa operazione di bilanciamento che conduca, nel caso concreto, in considerazione della peculiare situazione del genitore o dei genitori, a ritenere che l’interesse del minore pur prioritario nella considerazione della norma, possa essere recessivo, non avendo, come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza della Corte EDU, sull’interpretazione dell’art. 8, carattere assoluto. La rigorosa conformazione del giudizio di bilanciamento con interessi di rilievo pubblicistici, sopra descritta deriva dai principi dettati dalle S.U. nella sentenza n. 15750 del 2019 così massimata In tema di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all’ingresso o al soggiorno dello straniero nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all’esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l’interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto. Tanto meno il giudizio può fondarsi sul mero rilievo che l’autorizzazione è stata già richiesta e, dunque, rischia di perdere il requisito della temporaneità, dal momento che l’elemento temporale non è uno dei requisiti e delle condizioni di riconoscimento del diritto ma indica esclusivamente una caratteristica legata alla durata del permesso, considerata, tuttavia, in relazione alle singole richieste, come di recente, chiarito dalla giurisprudenza di legittimità con la pronuncia n. 2996 del 2020 in termini anche Cass. 10930 del 2018 nella quale è esplicitato che l’autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, non esclude le possibilità di un rinnovo tenuto conto del prioritario interesse del minore, ove sia compiuto in termini favorevoli un giudizio prognostico all’attualità . Infine, è stato ulteriormente precisato che nel giudizio prognostico ove il rimpatrio riguardi tutta la famiglia non può essere esclusa la valutazione del deterioramento grave della condizione economica del nucleo familiare, ove privo di prospettive di occupazione in caso di rimpatrio Cass. 27237 del 2020 . La Corte d’appello non ha svolto in concreto tale valutazione. Ha fondato il rigetto esclusivamente su considerazioni estrinseche al giudizio sul pregiudizio sul minore derivante dal mutamento seguito al rimpatrio nella specie oltre che dei genitori anche suo . Dopo aver accertato che i ricorrenti non avevano alcun legame con l’Albania, che erano incensurati, autonomi economicamente, che la minore era nata e cresciuta in Italia e nel nostro paese esclusivamente radicato, la Corte d’Appello ha rigettato la domanda soltanto sulla base di valutazioni estrinseche rispetto alla prognosi che era tenuta a svolgere, fondando la decisione su un generico interesse pubblicistico alla sicurezza pubblica, slegato da qualsiasi bilanciamento e valutazione comparativa con le condotte dei genitori, sull’intento elusivo dovuto alla considerazione dell’autorizzazione come una sanatoria. Il concreto esame del nucleo familiare rispetto alla situazione attuale e a quella conseguente il rimpatrio si è limitato alla formulazione del tutto astratta e stereotipa, in quanto priva di alcuna giustificazione fondata sull’esame dei fatti allegati, della mancanza di un pregiudizio specifico per la minore perché il nucleo familiare sarebbe rimasto unito. La violazione del paradigma del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 32, comma 3, è, in conclusione plurimo e ciò conduce all’accoglimento del ricorso, alla cassazione del provvedimento impugnato ed al rinvio alla Corte di Appello di Torino in diversa composizione perché si attenga ai principi indicati in motivazione. P.Q.M. Accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Torino in diversa composizione.