La “royalty virtuale” come minimum per la liquidazione equitativa del danno da contraffazione di brevetto

Con l’ordinanza in nota il Giudice di legittimità ha chiarito i criteri che devono essere adottati dai Giudici di merito in sede di liquidazione equitativa del danno per violazione di un diritto di privativa industriale, in applicazione dell’art. 125 del d.lgs. 30/2005 meglio noto come codice della proprietà industriale, di seguito c.p.i. .

A distanza di quasi un anno dalla definizione della cd. guerra dei rossetti” Cass. civ., sez. I, sent. n. 8433 del 30 aprile 2020, v. la nota La multiforme protezione della proprieta intellettuale sul concept store il caso Wycon c Kiko , la Suprema Corte di Cassazione è altresì intervenuta nella risoluzione di quella che potrebbe essere ribattezzata, seguendo questo genere di intitolazione, la battaglia degli autospurghi”. Sintesi della vicenda. Nel caso di specie, la C. S.p.A., impresa specializzata nella vendita di autoveicoli industriali per la pulizia delle canalizzazioni e delle condotte, citava in giudizio l’impresa concorrente F. S.p.A. per l’accertamento della contraffazione della porzione italiana del proprio diritto di brevetto europeo su un’invenzione di combinazione che migliorava l’attività di espurgo di pozzi neri. Quest’ultima, infatti, commercializzava senza alcuna licenza alcuni autoveicoli incorporanti la tecnologia brevettata. La giusta royalty”. Al di là dell’eccezione sull’altezza inventiva dell’invenzione in discorso sollevata dalla F. S.p.A. e risolta negativamente dagli organi giurisdizionali aditi, la principale questione di diritto verte sulla corretta quantificazione equitativa del danno, ex artt. 1226 c.c., 125 c.p.i., derivante dalla contraffazione del brevetto detenuto dalla C. S.p.A., dal momento che i Giudici di merito avevano ritenuto adeguato il criterio della cd. royalty virtuale ” anche denominato della giusta royalty” , rappresentato dalla somma che il contraffattore avrebbe dovuto pagare per sfruttare legittimamente il diritto di privativa violato. Il lucro cessante reale. Tuttavia, la C. S.p.A. aveva proposto l’adozione del criterio alternativo del cd. lucro cessante reale come opzione di liquidazione del danno più aderente alle dimensioni del pregiudizio da essa effettivamente patito. Esso corrispondeva alla somma che avrebbe ricavato il titolare del brevetto qualora quest’ultimo invece del contraffattore avesse venduto i prodotti contraffatti al medesimo prezzo a cui li ha invece commercializzati il contraffattore, mediante l’applicazione del margine utile lordo di C. S.p.A. sui camion realizzati secondo il brevetto al fatturato realizzato da F. S.p.A., a fronte delle unità di camion dotati dell’invenzione oggetto di privativa. Il principio di diritto. Alla luce di tali premesse, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalla C. S.p.A., nei limiti delle censure relative al quantum risarcitorio, enunciando il seguente principio di diritto In tema di proprietà industriale, il titolare del dritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito invocando il criterio costituito dal margine utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, realizzato dal contraffattore, di cui all’art. 125 del c.p.i. nel testo modificato dall’art. 17 del d.lgs. n. 140 del 2006 , alla luce del quale il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della giusta royalty” o royalty virtuale” segna solo il limite inferiore del risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere utilizzato a fronte dell’indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell’obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà industriale . Conclusione. L’iter logico-argomentativo seguìto dal Giudice di legittimità appare condivisibile in quanto l’applicazione del criterio della royalty virtuale equiparerebbe de facto il contraffattore ad un legittimo licenziatario, ponendo quest’ultimo innanzi alla scelta appetibile di commettere un atto di free riding, il cui costo, nella peggiore delle ipotesi in cui venisse eventualmente scoperto, non supererebbe quello della semplice licenza. Pertanto, posto che l’ordinamento italiano è improntato ai princìpi di giustizia compensativa e non anche punitiva, tale criterio deve porsi in rapporto di sussidiarietà rispetto a quello del lucro cessante reale oppure ad altre opzioni valutative maggiormente adeguate a risarcire tutti i danni, anche quelli collaterali, causati al titolare del diritto di privativa.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 8 gennaio – 2 marzo 2021, n. 8666 Presidente Genovese – Relatore Iofrida Fatti di causa La Corte d'appello di Torino, con sentenza n. 1128/2016, depositata il 1/7/2016 - in controversia promossa, nel luglio 2005, a seguito di procedimento cautelare ante causam conclusosi con rigetto delle misure cautelari richieste , dalla Cappellotto spa, impresa operante nel settore delle macchine ed attrezzature per pulizia e raccolta di liquami e rifiuti urbani liquidi e nella produzione di camion-cisterna attrezzati per l'espurgo di pozzi neri e titolare del brevetto Europeo n. 1.050.634, concesso il 25/2/2005, su priorità italiana del 3/5/1999, reso efficace in Italia il 1/3/2005 relativo ad attrezzo che consentiva al braccio guidatubo del tubo aspiratore di muoversi dall'alto in basso, così da evitare di generare curve troppo strette e di danneggiarsi nella fase di riavvolgimento , nei confronti dell'impresa concorrente Farid Industrie spa incorporante la Moro Teveico , per sentire accertare la contraffazione della porzione italiana della propria privativa industriale, posta in essere da quest'ultima con la fabbricazione e commercializzazione di un camion denominato commercialmente Canal jet , che installava un dispositivo avvolgitubo detto naspo , sulla sommità del veicolo, nonchè per sentire condannare la convenuta al risarcimento del danno, oltre ad inibitoria, applicazione di penale e pubblicazione della decisione, con domanda riconvenzionale della convenuta di nullità della porzione italiana del suddetto trovato Cappellotto, per carenza di novità, per pre-divulgazione, e di altezza inventiva, e conseguente domanda dell'attrice, in via subordinata, di conversione della porzione italiana del proprio brevetto per invenzione, in modello di utilità, - ha parzialmente riformato la decisione definiva di primo grado del gennaio 2015, che aveva accolto le domande attrici. Più precisamente, il Tribunale di Torino, con sentenza non definitiva del 2013, aveva rigettato la domanda di nullità del brevetto anche all'esito di un procedimento di opposizione dinanzi all'EPO, definito nel febbraio 2012, ove il brevetto era stato mantenuto, con il n. 19332 BE/2013, ma in forma modificata, con successivo deposito della traduzione italiana presso l'UIBM da parte della Cappellotto , non condividendo le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio che, in due elaborati depositati nel 2006 e nel 2013, aveva ritenuto il titolo di privativa valido non come brevetto ma come modello di utilità il Tribunale aveva affermato che il trovato Cappellotto era dotato di idonea altezza inventiva, nonchè aveva accertato la contraffazione ad opera della Farid, disposto inibitoria, applicazione di penale e pubblicazione della sentenza, rimettendo la causa in istruttoria, per l'espletamento di consulenza tecnica di natura contabile. Con la successiva sentenza definitiva del 2015, il Tribunale aveva, preliminarmente, ritenuto che la durata della contraffazione si fosse protratta sino al momento della costituzione di Farid nel giudizio di merito, come emergente dalla non contestazione specifica della convenuta, la quale si era limitata ad invocare, in sede di costituzione in giudizio, la nullità dell'altrui brevetto e che l'ampia linea di veicoli da essa commercializzati, denominata Canal Jet , non fosse interamente costituita da veicoli dotati di naspo superiore , con braccio guidatubo , interferente con l'altrui privativa industriale, e sino addirittura agli iniziali accertamenti peritali, condotti in sede di prima consulenza tecnica, svolta sul trovato Cappellotto ad avviso del giudice di primo grado, l'eccezione sollevata dalla convenuta, solo con memoria di replica del settembre 2013, dopo la sentenza non definitiva ed a seguito di ordine di esibizione, nonchè nel corso della consulenza tecnica contabile, in ordine al fatto che, dal 2005, essa aveva prodotto e commercializzato solo tre autoveicoli incorporanti la tecnologia brevetta, su 1345 mezzi appartenenti alla linea commerciale Canal Jet , comprendente anche automezzi privi di tale dispositivo, e che solo 184 mezzi Canal Jet erano dotati di naspo superiore, con diverse tipologie A, B, C e Combi , o altri ancora diversi da tali tipologie, dei quali solo il modello A costituiva contraffazione dell'altrui brevetto , implicando un fatto impeditivo dell'illecito, quale la cessazione della produzione di veicoli interferenti con il brevetto Cappellotto, era tardiva e comunque non provata considerato, come contestato dalla Cappellotto, che la documentazione esibita da Farid era priva di data certa, essendo stata tratta da archivio di lavoro realizzato da Farid nel 2008 e da disegni, estratti a campione dall'archivio della convenuta la classificazione delle tipologie di naspi era stata fatta seguendo una memoria tecnica del consulente di Farid, redatta solo nel 2014 non era stato possibile verificare ex post l'effettiva appartenenza dei mezzi ad una tipologia o all'altra ovvero con certezza l'epoca della presunta cessazione della condotta illecita, non avendo la Farid apportato modifiche ai codici interni dei prodotti identificativi delle varie tipologie di naspi, oggetto di produzione e vendita, cosicchè tale scelta non poteva in difetto di altre prove che era onere della parte convenuta fornire costituire un vantaggio in termini di prova per il contraffattore che vi ha dato causa si doveva quindi presumere che, rispetto ai 1345 camion della linea Canal Jet , fossero in contraffazione tutti i n. 184 dotati di naspo superiore prodotti e commercializzati nel periodo controverso dalla data della domanda a quella di pubblicazione della sentenza non definitiva, che aveva inibito alla convenuta l'ulteriore produzione dei mezzi in contraffazione . Il Tribunale aveva quindi condannato la convenuta a risarcire il danno all'attrice, liquidato, in complessivi Euro 591.403,96, oltre rivalutazione ed interessi, secondo il criterio residuale della royalty presunta equa per tecnologie simili, non avendo l'attrice allegato contratti di licenza , di cui al comma 2 dell'art. 125 c.p.i., nell'impossibilità di determinare in concreto il danno subito dalla Cappellotto, e quindi applicando un valore del 3% sul fatturato medio ricavato dalla vendita di ciascun veicolo intero, essendo il naspo una parte fissa essenziale del veicolo , pari ad Euro 296.401, abbattuto equitativamente, tenendo conto dei soli costi incrementali di produzione in misura del 20% , ed in rapporto a n. 184 camion. I giudici d'appello, investiti di gravame principale da parte di Farid, avverso le sentenze, non definitiva e definitiva, di primo grado e di gravame incidentale della Cappellotto, hanno, per quanto qui ancora interessa a ritenuto che il trovato Cappellotto, per come risultante dalla limitazione in sede EPO, pur considerate le anteriorità descritte, disponesse di sufficiente altezza inventiva, in quanto per la prima volta ha consentito di impiegare, nel settore di riferimento sistemi di spurgo - aspirazione di liquami montati su di un veicolo contemporaneamente tre funzionalità, fruibili, fino a quel momento, in modo separato , vale a dire elevata flessibilità di posizionamento del tubo, senza rischi di strozzamento, utilizzo semplice, funzionale e multiforme, struttura robusta che ne consentisse adeguata ed efficace guidabilità sia in fase di srotolamento sia in fase di riavvolgimento, adattabilità a svariate tipologie di automezzi e cisterne, costi competitivi rispetto ad attrezzature analoghe , così costituendo una valida invenzione di combinazione , tramite una serie di interventi che implicavano attività non evidenti allo stato della tecnica per l'esperto del ramo b in ordine al quantum liquidato, non si poteva condividere il ragionamento seguito dal Tribunale, in merito alla tardività ed al difetto di prova dell'eccezione sollevata da Farid in punto di cessazione in corso di causa, già a fine 2005, della contraffazione ed avvio della produzione di dispositivi, con tipologia di naspi modificati in modo da non interferire con il brevetto dell'attrice, ed in ordine al fatto che la scelta di Farid, di non apportare modifiche ai codici interni dei prodotti, così da consentirne la verifica ex post dell'effettiva appartenenza ad una tipologia o ad altra essendo pacifico che i camion della linea Canal Jet attrezzati con naspo superiore dotato di braccio guidatubo radiale erano di differenti tipologie - A, B, C e C Combi - e solo il modello A costituiva contraffazione del trovato Cappellotto , non poteva risolversi in un vantaggio per il contraffattore c invero, ad avviso della Corte d'appello, l'omessa tempestiva contestazione, da parte di Farid, dell'avvenuta produzione dei camion in contraffazione del trovato Cappellotto avendo scelto la convenuta di imperniare le sue difese sulla nullità del brevetto e l'omessa tempestiva allegazione della cessazione della produzione dal 2005 effettuata solo dopo la sentenza non definitiva e dopo l'ordine di esibizione delle scritture contabili ed in sede di memoria di replica depositata nel settembre 2013 erano dipesi dal fatto che l'attrice non aveva allegato e provato, anche solo in via ipotetica, quale fosse l'entità dell'effettiva altrui produzione commerciale illecita, cosicchè la non contestazione non copre anche il numero di esemplari prodotti e venduti da valutarsi al fine di liquidare i danni d in ordine all'eccepita inammissibilità del gravame principale di Farid, in punto di quantum del risarcimento del danno e di erroneo conteggio del numero dei prodotti ritenuti in contraffazione, determinati in 184 anzichè in soli 3 , per formazione di giudicato interno - non avendo effettivamente l'appellante Farid impugnato il capo della sentenza di primo grado, con il quale era stata accertata la tardività dell'eccezione della stessa convenuta, di cessazione della produzione e vendita del modello di camion della linea Canal Jet, dotato delle caratteristiche interferenti con il brevetto Cappellotto, sin dal 2005 -, l'eccezione non poteva essere condivisa dal Collegio, in quanto il passaggio in giudicato del capo della sentenza che ha ritenuto tardiva l'affermazione di Farid di avere diversificato la produzione di camion Canal Jet dotati di naspo superiore di tipo A non implicava alcun conseguenza in ordine all'accertamento del danno risarcibile, accertamento positivo demandato alla consulenza tecnica contabile, che aveva riguardato proprio la produzione e commercializzazione del Canal Jet da parte di Farid, nel periodo dal 2005 al 2013, e dalle cui risultanze era emerso nettamente senza che alcuna oggettiva confusione fosse derivata dalla mancanza di idonei e differenziati codici di prodotto o che i consulenti avessero ritenuto inattendibile totalmente l'archivio Farid che, dei 1345 esemplari di Canal Jet prodotti nel periodo in esame, solo 80 consistevano in modelli Canal Jet con naspo superiore di tipo A, B, C e C Combi, mentre 104 erano addirittura privi di naspo superiore di quelle tipologie, e solo tre incorporavano la tecnologia brevettata dal Cappellotto naspo superiore del tipo A e l'art. 125 c.p.i. non introduce una deroga totale al principio generale secondo cui l'onere della prova in ordine ai danno ed alla loro entità grava sempre sul danneggiato, in quanto, essendo in ogni caso richiamati gli artt. 1223,1226 e 1227 c.c., detta disposizione speciale consente il ricorso all'equità ed alle presunzioni solo per la liquidazione del danno, ma non anche per a prova dell'entità della contraffazione e del danno, che grava sempre sulla parte danneggiata, dovendosi respingere ogni tentativo di introdurre nel nostro ordinamento i c. d. danni punitivi f le presunzioni utilizzate dal Tribunale non erano gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'art. 2729 c.c., non essendovi sufficienti motivi per ritenere dimostrate l'inottemperanza di Farid all'ordine di esibizione, l'inattendibilità dell'archivio informatico elaborato da Farid nel 2008 alla luce della CTU contabile che li aveva positivamente valutati e l'erroneità delle valutazioni peritali, cosicchè era emerso, dall'accertamento tecnico espletato, che, dei 1345 esemplari di camion Canal Jet prodotti da Farid nel periodo in esame, solo tre, non 184 come ritenuto in primo grado, incorporavano la tecnologia brevettata da Cappellotto, quelli sicuramente appartenenti al tipo A g il criterio del lucro cessante reale , indicato, nel gravame incidentale di Cappellotto, come alternativo a quello della giusta royalty, essendo, ad avviso dell'appellante incidentale, quello della giusta royalty un criterio minimale di risarcimento, da operare quale extrema ratio, di applicazione, al ricavo unitario della Farid per la vendita di ciascun esemplare di camion Canal Jet Euro 197.593 , moltiplicato per il numero di unità rilevanti, del margine di utile realizzato dal titolare del brevetto sui prodotti fabbricati secondo il titolo di privativa, pari al 25% del fatturato, riguardante tutto il complesso diversificato della sua produzione, non poteva essere applicato, non avendo l'attrice mai dimostrato di avere subito concretamente un lucro cessante da calo delle vendite nella misura invocata, al di là comprovata messa in commercio da parte di Farid dei tre esemplari per cui vi è accertamento giudiziale e, in difetto di indicazione da parte della Cappellotto della royalty usualmente applicata ai propri brevetti in caso di concessione h era corretto il criterio della royalty presunta nella specie stimabile nel 5%, con riguardo ai prezzi normalmente praticati nel settore per licenze relative a tecnologie similari , da applicarsi sul ricavo unitario di Farid per la vendita di ciascun esemplare Canal.ilet, moltiplicato per tre, e senza abbattimento per i costi incrementali, in mancanza di prova certa. Avverso la suddetta pronuncia, notificata il 7/9/2016, la Cappellotto spa propone ricorso per cassazione, notificato il 27/10/2016, affidato a otto motivi, nei confronti della Farid Industrie spa, che resiste con controricorso e ricorso incidentale in unico motivo, notificato il 2/12/2016. La ricorrente ha replicato con controricorso all'avverso ricorso incidentale. Il PG ha depositato requisitoria scritta, L onciudendo per il rigetto del ricorso principale e di quello incidentale. Entrambe le parti hanno depositato memorie. Ragioni della decisione 1. La ricorrente principale lamenta 1 con il primo motivo, error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., n. 3, consistente nell'omessa applicazione dell'art. 167 c.p.c. per avere la Corte d'appello, nel ridurre a soli tre esemplari del prodotto denominato Canal jet la base di calcolo del danno da contraffazione, anzichè i 184 esemplari che il Tribunale aveva ritenuto essere stati commercializzati dalla Farid nel periodo rilevante, ritenuta ammissibile sia la deduzione difensiva della Farid, tardivamente svolta dalla convenuta, rispetto a quanto affermato ed alle contestazioni svolte in sede di comparsa di costituzione e risposta, solo con la quarta memora di replica, nel 2013, dopo che si era chiusa la fase istruttoria della consulenza tecnica d'ufficio brevettuale, in ordine alla cessazione della produzione del modello oggetto delle domande attoree, avendolo modificato, dalla fine del 2005, sia la allegazione di una serie di documenti contabili, in sede di consulenza tecnica contabile, tesi a dimostrare che solo tre camion commercializzati nel periodo rilevante installavano il modello di naspo dotato di braccio mobile contestato 2 con il secondo motivo, l'error in procedendo, ex art. 360 c.p.c., n. 4, consistente nell'omessa applicazione degli artt. 180 e 183 c.p.c., nel testo vigente ante Riforma del 2005, in relazione all'art. 112 c.p.c., per non avere la Corte d'appello rilevato che la convenuta avrebbe dovuto allegare la propria eccezione, di merito, sul fatto impeditivo consistente nella cessazione della commercializzazione dalla fine del 2005 cosicchè il prodotto Canal jet non presentava ormai più, a partire da tale epoca, le caratteristiche tecniche individuate dall'attore nell'atto di citazione o nella memoria ex art. 180 c.p.c. o nella prima udienza di trattazione o, al più tardi, nelle successive memorie assegnate dal giudice alle parti ex art. 183 c.p.c., vigente all'epoca 3 con il terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 125, e dell'art. 1226 c.c., in punto di valutazione equitativa del danno da contraffazione a con il terzo e quarto motivo, sotto il profilo della mancata valutazione complessiva e necessariamente equitativa di tutti gli elementi istruttori, al fine della definizione del risarcimento, sulla base del principio secondo cui l'impossibilità di disaggregare i dati relativi ai prodotti in contraffazione da quelli estranei al giudizio contenuti nella documentazione offerta dal contraffattore è circostanza le cui ricadute probatorie negative non possono che gravare sul contraffattore stesso , nella fattispecie in esame operante poichè la convenuta non avendo apportato, nei propri documenti aziendali, modifiche della denominazione commerciale o dei codici prodotto, al fine di consentire una certa individuazione, tra i prodotti fabbricati e commercializzati nel periodo, di quelli recanti la modifica delle caratteristiche tecniche del naspo installato, oggetto di lite non aveva consentito una verifica certa e sicura dell'identità dei diversi modelli di prodotto commercializzati con il medesimo nome commerciale, non essendo decisive le successive verifiche a campione compiute in sede di CTU contabile b con il quinto e sesto motivo, sempre sotto il profilo della mancata valutazione complessiva e necessariamente equitativa di tutti gli elementi istruttori, al fine della definizione del risarcimento, sulla base del principio secondo cui, tra i diversi criteri che devono essere presi in considerazione per la liquidazione del risarcimento del danno ai sensi dell'art. 125 c.p.c., comma 2, indicati dall'attore in contraffazione, il giudice deve prescegliere il criterio che conduce ad un risarcimento superiore a quello ottenuto mediante l'applicazione del criterio minima/e della giusta royalty e, nella specie, l'attrice aveva indicato, come criterio preferenziale per la liquidazione del danno da lucro cessante, quello dell'applicazione del margine utile realizzato dal titolare del brevetto sui prodotti fabbricati secondo il titolo di privativa , nella specie il 25%, al fatturato dei prodotti contraffatti realizzato dal contraffattore c con il settimo e l'ottavo motivo, sempre sotto il profilo della mancata valutazione, complessiva e necessariamente equitativa, di tutti gli elementi istruttori, al fine della definizione del risarcimento, sulla base del principio secondo cui giudice non può, nella materia industriale, esaurire la propria valutazione sul punto della verifica della prova diretta o presuntiva dell'effettivo pregiudizio sofferto dall'attore per effetto dell'illecito e, nell'applicazione del criterio del c.d. prezzo del consenso che rappresenta sempre un punto di partenza , un criterio minimale , una volta individuato il margine di royalty mediamente praticato nel settore rilevante e salvo non vi ostino circostanze particolari, deve utilizzare, ai fini del calcolo del danno, un margine di royalty più elevato, così da evitare che la situazione del contraffattore non risulti ci fatto sostanzialmente equiparata a quella di un legittimo licenziatario nella specie, l'attrice aveva proposto di raddoppiare la royalty media del settore individuata, pari al 5% . 2. La ricorrente incidentale svolge un unico motivo, lamentando, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'art. 82 c.p.i., e art. 2592 c.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha confermato la validità della porzione italiana del brevetto Europeo Cappellotto, da ritenersi, invece, nullo per difetto dei requisiti di legge, trattandosi di innovazione che incrementa solo l'efficacia e comodità di funzionamento dell'automezzo per l'espurgo, nell'ambito quindi del miglioramento del già noto, evitando la strozzatura del tubo di aspirazione dell'impianto di scarico ed espurgo dei pozzi neri, attraverso un meccanismo radiale di svolgimento/avvolgimento del tubo, senza alcuna effettiva soluzione di un problema tecnico , tutelabile quindi soltanto come valido modello di utilità si denuncia quindi, in particolare, la falsa applicazione dell'art. 82 c.p.i., essendo la stata la norma, pur correttamente interpretata, applicata ad un fatto da essa non regolato. La stessa Farid poi, per il solo caso in cui venissero accolte le prime due doglianze del ricorso principale di Cappellotto, richiama il contenuto delle doglianze da essa mosse con l'atto di appello anche in relazione all'affermata, in primo grado, tardività della allegazione della cessazione dell'uso dei naspi in contraffazione, chiedendo che, non potendosi essersi formato alcun giudicato interno, venga riformata sul punto la sentenza della Corte d'appello, pur non svolgendo specifica impugnazione, per essere la stessa parte comunque risultata vittoriosa in merito al numero di camion dotato di naspo in contraffazione. 3. L'unica censura del ricorso incidentale, avente rilievo pregiudiziale, involgendo la questione della nullità del trovato Cappellotto, è inammissibile. Questa Corte Cass. 3932/1984 Cass. 16949/2016 Cass. 33232/2019 ha ripetutamente affermato che l'accertamento a della validità o meno di un'invenzione o di un modello di utilità b dei requisiti costitutivi della loro novità intrinseca ed estrinseca fondandosi l'invenzione industriale sulla soluzione di un problema tecnico, non ancora risolto, atta ad avere concrete realizzazioni nel campo industriale, tali da apportare un progresso rispetto alla tecnica ed alle cognizioni preesistenti, c.d. novità estrinseca, e da esprimere un'attività creativa dell'inventore, che non sia cioè semplice esecuzione di idee già note e rientranti nella normale applicazione di principi conosciuti, prescindendosi dalla maggiore o minore novità del risultato, c.d. novità intrinseca, mentre per i modelli di utilità deve sussistere sempre il requisito della novità intrinseca, ma in grado minore, operando sul piano dell'efficacia e della comodità di impiego degli stessi c dei caratteri peculiari utilizzabili ai fini della loro differenziazione, è rimesso all'apprezzamento del giudice del merito e si sottrae al sindacato di legittimità, se congruamente - ora nei limiti di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5 - e logicamente motivato. La Corte d'appello ha ritenuto, confermando sul punto le valutazioni del giudice di primo grado, che il naspo per il riavvolgimento dei tubi per l'attività di spurgo di fogne, montato su camion fosse dotato di altezza inventiva, in quanto il trovato Cappellotto era l'unico in grado di risolvere contemporaneamente tre funzionalità che altri risolvevano singolarmente. Invero, il trovato Cappellotto, per la prima volta, ha consentito di impiegare nel settore di riferimento sistemi di spurgo aspirazione di liquami montati su di un veicolo contemporaneamente tre funzionalità, fruibili, fino a quel momento, in modo separato , vale a dire elevata flessibilità di posizionamento del tubo, senza rischi di strozzamento utilizzo semplice, funzionale e multiforme struttura robusta che ne consentisse adeguata ed efficace guidabilità, sia in fase di srotolamento, sia in fase di riavvolgimento adattabilità a svariate tipologie di automezzi e cisterne costi competitivi rispetto ad attrezzature analoghe , così costituendo una valida invenzione di combinazione , dovendosi escludere che per una persona esperta del ramo fosse evidente giungere allo stesso risultato ottenuto dalla Cappellotto. Orbene, questa Corte Cass. 5553/1983 ha, da tempo, chiarito che, in tema di brevetti per invenzioni industriali, il requisito della novità intrinseca non postula un grado di creatività ed originalità assolute rispetto a precedenti cognizioni ed invenzioni, ma può ravvisarsi anche nel caso di un coordinamento originale ed ingegnoso di elementi e mezzi già conosciuti, con risultato tecnicamente nuovo ed economicamente utile cosiddetta invenzione di combinazione , sempre però che la combinazione di elementi già acquisiti realizzi una novità rispetto alla normale utilizzazione del patrimonio comune della tecnica ed all'ordinario sviluppo delle pregresse invenzioni, che vada oltre l'incremento quantitativo dell'efficacia e della comodità d'impiego proprio del modello di utilità , e presenti caratteri qualitativi, nel senso che la novità si traduca nella modificazione dei livelli tecnici conosciuti con riferimento sia al momento della creazione intellettuale sia a quello della sua pratica trasfusione in un risultato economico-industriale cfr. anche Cass. 8777/1998 e Cass. 17907/2010, ove si è evidenziata l'irrilevanza della conoscenza delle idee inventive di base, nel caso si accerti che la somma di tali idee non è alla portata di qualsiasi tecnico, in quanto non risulta evidente dallo stato della tecnica . Così, si è affermato Cass. 12510/2015 che per la sussistenza del requisito della novità intrinseca dell'invenzione non è richiesto un grado di novità ed originalità assoluto rispetto a qualsiasi precedente cognizione, ma è sufficiente che essa riguardi nuove implicazioni e nuovi usi di elementi già noti, associati o coordinati in modo da ottenere un risultato industriale nuovo, economicamente utile nella specie, questa Corte ha ritenuto che il brevetto di un procedimento di ossidazione di fanghi e liquami, con ossigeno puro a mezzo di eiettori per la miscelazione del liquido, fosse valido pur in ragione della presenza di due sole note di originalità che, combinate con altri aspetti di pubblico uso e dominio, lo rendevano suscettibile di tutela nel suo complesso . In conclusione, mentre sono brevettabili come modello di utilità i trovati che incrementano la comodità d'uso, grazie a soluzioni che migliorano l'efficacia di un prodotto noto, senza introdurre modifiche rivolte a risolvere specifici problemi di funzionamento delle versioni precedenti di quello, sono brevettabili come invenzioni di perfezionamento o di combinazione tutti quei trovati che consistono in modifiche rappresentanti, ad un tecnico medio del ramo, una soluzione nuova e non evidente ad uno specifico problema posto dal funzionamento dei precedenti prodotti analoghi. Orbene, poichè le cosiddette invenzioni di combinazione sono caratterizzate dall'esplicito utilizzo di tecniche e procedimenti in tutto o in parte già noti, raggiungendosi un risultato nuovo attraverso la loro coordinazione originale, rispetto ad esse i requisiti di novità ed originalità vanno valutati proprio in relazione al quid pluris rappresentato dalla combinazione ed utilizzazione dei suddetti elementi ancorchè non nuovi , al fine di ravvisare la sussistenza di un contributo inventivo ulteriore rispetto alla pura e semplice continuità tecnica e, trattandosi di questione di fatto, tale accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato, ora nei limiti di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5. Quanto dedotto dalla ricorrente incidentale non configura violazioni o false applicazioni di diritto sostanziale presenti nella decisione impugnata, cosicchè il riferimento alle norme civili art. 82 c.p.i., e art. 2592 c.c. risulta palesemente inconferente, giacchè quel che viene in discussione è unicamente il modo in cui a Corte di merito, cui competeva farlo, ha valutato le risultanze documentali acquisite agli atti. Si è trattato, dunque, di una valutazione di merito, come tale di stretta competenza della Corte territoriale, adeguatamente motivata. 4. Le prime due censure del ricorso principale, involgenti errores in procedendo, sono inammissibili. La ricorrente Cappellotto lamenta l'erroneità della decisione impugnata nella parte in cui la Corte d'appello, incorrendo nel vizio di omessa applicazione degli artt. 167 c.p.c. e 180-183 c.p.c., ha dato ingresso nel giudizio alla tardiva contestazione - da parte di Farid - sul fatto di avere interrotto la produzione del tipo di camion Canal Jet , interferente con il trovato Cappellotto, già dal 2005, cosicchè il prodotto Canal jet non presentava ormai più, a partire da tale epoca, le caratteristiche tecniche individuate dall'attore nell'atto di citazione, tanto che solo tre dei camion dotati di naspo avvolgitubo erano risultati effettivamente interferenti con la rivendicazione n. 1 del trovato Cappellotto. Ora, la Corte d'appello, nell'esame del motivo di appello principale sub 3.1 della Farid inerente all'erroneo conteggio da parte del Tribunale dei prodotti ritenuti in contraffazione , al fine di superare anche l'eccezione, di violazione del giudicato interno, sollevata dalla Cappellotto non avendo la Farid impugnato specificamente il capo della sentenza di primo grado relativo alla tardività dell'eccezione di Farid di cessazione della produzione e commercializzazione del modello di camion Canal Jet , con naspo superiore dotato delle caratteristiche indicate dalla Cappellotto nell'atto di citazione introduttivo , ha affermato che a il passaggio in giudicato del capo della sentenza di primo grado, che ha ritenuto tardiva l'affermazione di Farid di avere diversificato la produzione di camion Canal Jet dotati di naspo superiore del tipo A, a braccio radiale , non implica alcuna conseguenza in ordine all'accertamento del danno risarcibile , accertamento demandato alla consulenza tecnica contabile e che riguardava la produzione e commercializzazione del camion Canal Jet , nel periodo tra il 2005 epoca della domanda ed il 2013 epoca della sentenza non definitiva contenente l'ordine inibitorio alla convenuta in contraffazione b l'affermazione della Farid, pacificamente effettuata solo nel settembre 2013, in ordine all'avvenuta diversificazione della produzione, successivamente alla contestazione mossale dalla Cappellotto, sin dal 2005, quindi, e la scelta difensiva della convenuta di non dedurla in giudizio nella prima difesa, poteva incidere sul giudizio inerente la sussistenza o meno dell'attività di contraffazione per violazione della privativa accertata con la sentenza parziale del 2013 , non oggetto di specifica impugnazione, ma non rilevava sull'accertamento del quantum di danno da risarcire, implicante la necessaria verifica di quanti fossero i camion Canal Jet , prodotti e commercializzati da Farid, tra il 2005 ed il 2013, in contraffazione perchè dotati di naspo superiore con braccio mobile potenzialmente radiale, interferente con l'altrui privativa industriale c in ogni caso, tale scelta difensiva neppure implicava una vera e propria eccezione relativa a un fatto impeditivo, non avendo l'attrice, su cui gravava comunque l'onere di dare la prova dell'esistenza di un danno risarcibile e della sua possibile quantificazione salva liquidazione in via equitativa , mai indicato elementi da cui inferire quanti camion fossero stati prodotti ed immessi in circolazione ex adverso e, quindi, mai dedotto quale fosse l'entità dell'altrui contraffazione, cosicchè la convenuta non aveva alcun onere di specifica contestazione avente ad oggetto il numero degli esemplari posto in commercio nè tanto meno di allegare di avere prodotto anche veicoli di tipologia differente rispetto a quelli che le erano contestati d in via ulteriore, l'entità effettiva della contraffazione era emersa dalle, condivisibili, risultanze peritali e, a fronte dei dati contabili acquisiti, ritualmente, nella consulenza tecnica d'ufficio contabile in merito al quantum del danno da liquidare, anche su ordine di esibizione documentale, ottemperato da Farid, dalle presunzioni su cui il Tribunale aveva fondato il proprio giudizio e dall'essere tutti i 184 camion dotati di naspo superiore in contraffazione , che non erano gravi, precise e concordanti, ai sensi dell'art. 2729 c.c., contrastando con i suddetti dati contabili acquisiti nella CTU. Ora la prima, la seconda e la quarta ratio decidendi non risultano efficacemente censurate dalle due doglianze mosse dalla ricorrente principale, la quale, anche nella memoria, individua il cuore del problema di diritto nella questione circa l'ambito di allegazione delle parti nella materia della tutela delle privative industriali, implicando la domanda di contraffazione la sola deduzione in giudizio di un illecito unitario di durata , non di un fascio di singoli illeciti di evento , cosicchè l'attore è tenuto solo ad allegare l'elemento materiale della violazione brevettuale, vale a dire la commissione dell'illecito la fabbricazione e/o la vendita di un prodotto dotato di certe caratteristiche tecniche ad opera del convenuto, tenuto, invece, ad allegare tempestivamente il fatto impeditivo rappresentato dalla cessazione della condotta di cui l'attrice si duole e che rappresenta il fatto costitutivo dell'illecito contestato. Il tutto attiene solo alla ratio sub c sopra descritta e rende inammissibile la censura per carenza di interesse. 5. Occorre quindi passare all'esame delle ulteriori doglianze del ricorso principale, tutte fondate sulla violazione dell'art. 125 c.p.c., involgenti sia alcuni errores in procedendo per avere la Corte d'appello, dopo l'affermazione che gli elementi indiziari forniti dall'attore non erano sufficienti ai fini di una prova del preciso ammontare del danno da lucro cessante patito, omesso di procedere ad una liquidazione equitativa sia altri errores in iudicando non avendo la Corte di merito applicato corretti criteri di liquidazione del danno da contraffazione secondo equità . La ricorrente principale lamenta specificamente a nel terzo e quarto motivo, che la Corte d'appello - a fronte di una verifica condotta dal CTU solo a campione consistita nell'esame dei disegni costruttivi di sole 50 unità, su 1345 esemplari, di camion denominati Canal Jet, pacificamente prodotti e commercializzati da Farid nel periodo in contestazione, 2005-2013 , da cui residuava ancora incertezza oggettiva sull'effettivo numero dei prodotti della contraffazione, dunque non decisiva in punto di prova contraria, per fatto oltretutto imputabile al contraffattore, non avendo Farid, a suo tempo, denominato diversamente i mezzi dotati di naspo superiore con meccanismo radiale di svolgimento/avvolgimento del tubo chiamandoli sempre Canal Jet nè modificato i codici prodotto - non aveva proceduto ad una valutazione complessiva ed equitativa del danno ad es. aumentando il numero dei camion rilevanti per il calcolo del danno , facendo ricadere sull'attore in contraffazione l'onere di provare il numero esatto di esemplari frutto della contraffazione e ritenendo irrilevante la questione dei codici prodotto o codici disegni b con il quinto ed il sesto motivo, che la Corte d'appello - pur rappresentando il criterio della giusta royalty un criterio minima/e , dovendo il giudice, ove l'attore in contraffazione fornisca elementi che consentano di adottare criteri differenti, che potenzialmente portano ad una definizione di un risarcimento maggiore, preferire questi ultimi - non abbia applicato, in via preferenziale, il criterio individuato dalla Cappeliotto, ossia quello del margine di utile realizzato dai titoiare dei brevetto sul fatturato dei prodotti contraffatti conseguito dal contraffattore che, supponendo un margine di utile del 25% del fatturato e tenuto conto del ricavo unitario tratto da Farid per la vendita di ciascun esemplare di camion Canal Jet, pari a 197.593 Euro, avrebbe condotto il giudice a liquidare un risarcimento di Euro 148.000,00, ben superiore a quello riconosciuto , ritenendo che l'attore non avesse dimostrato di avere subito concretamente un lucro cessante da calo delle vendite nella misura pretesa c nel settimo ed ottavo motivo, che la Corte d'appello, dopo avere individuato nel 5% la giusta royalty media del settore, praticata quindi sul mercato rilevante per la concessione in licenza di invenzioni analoghe, da applicare secondo il criterio di valutazione equitativa prescelto, non abbia proceduto al suo raddoppio o comunque al suo aumento, sulla base della semplice considerazione secondo cui il nostro ordinamento non ammette i danni punitivi. 6. Viene, in sostanza, in esame la questione della liquidazione, nella materia della proprietà industriale, del danno, in particolare, da lucro cessante non essendo qui in discussione il risarcimento del danno emergente o del danno morale , patito dal titolare della privativa industriale contraffatta. 6.1. L'art. 125 c.p.i., di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, nel testo modificato dal D.Lgs. n. 140 del 2005, art. 17, recante norme di attuazione della dir. 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale c.d. direttiva Enforcement , così recita Art. 125 Risarcimento del danno e restituzione dei profitti dell'autore della violazione . - 1. Il risarcimento dovuto al danneggiato è liquidato secondo le disposizioni degli artt. 1223,1226 e 1227 c.c., tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione. 2. La sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può' farne la liquidazione in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. In questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non inferiore a quello dei canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso. 3. In ogni caso il titolare del diritto leso può chiedere la restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale risarcimento . La disposizione, regolando il risarcimento dei danni da contraffazione e concorrenza sleale, per la loro liquidazione fa rinvio, al comma 1, agli artt. 1223,1226 e 1227 c.c., tenuto conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione nel comma 2, la norma consente di parametrare, in via equitativa, il danno da lucro cessante ai canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare se avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso, mentre la disposizione contenuta nel comma 3 prevede, come ulteriore criterio, in ogni caso , quello della restituzione degli utili realizzati dall'autore della violazione, in alternativa al danno da lucro cessante o nella misura in cui essi eccedono tale voce di danno. L'art. 125 c.p.i. è stato modificato dal D.Lgs. n. 140 del 2006, art. 17, il quale ha recepito, a sua volta, l'art. 13 della Dir. 29.04.2004, n. 2004/48/CE cd. Direttiva Enforcement Sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale . Secondo l'art. 13 della direttiva 1. Gli Stati membri assicurano che, su richiesta della parte lesa, le competenti autorità giudiziarie ordinino all'autore della violazione, implicato consapevolmente o con ragionevoli motivi per esserne consapevole in un'attività di violazione di risarcire al titolare del diritto danni adeguati al pregiudizio effettivo da questo subito a causa della violazione. Allorchè l'autorità giudiziaria fissa i danni a tiene conto di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, i benefici realizzati illegalmente dall'autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione b oppure in alternativa alla lettera a può fissare, in casi appropriati, una somma forfettaria in base ad elementi quali, per lo meno, l'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l'autore della violazione avesse richiesto l'autorizzazione per l'uso del diritto di proprietà intellettuale in questione. 2. Nei casi in cui l'autore della violazione è stato implicato in un'attività di violazione senza saperlo o senza avere motivi ragionevoli per saperlo, gli Stati membri possono prevedere la possibilità che l'autorità giudiziaria disponga il recupero dei profitti o il pagamento di danni che possono essere predeterminati . La Direttiva, quindi, aveva previsto che le competenti autorità giudiziarie degli Stati membri potessero, su domanda del danneggiato, condannare l'autore della violazione, consapevole o con ragionevoli motivi per essere tale, al risarcimento dei danni adeguati al pregiudizio effettivo subito dal titolare della privativa violata, tenendo conto, nella liquidazione, di una serie di indicatori pertinenti le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, i benefici realizzati illegalmente dall'autore della violazione, e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione o, in alternativa, riconoscendo una somma forfettaria, per lo meno non inferiore all'importo dei diritti dovuti ove il contraffattore avesse richiesto l'autorizzazione per l'uso del diritto di proprietà intellettuale violato quanto invece all'autore della violazione inconsapevole , gli Stati membri potevano contemplare il solo recupero dei profitti o il pagamento di danni anche predeterminati. Già in sede di Accordo TRIPs, adottato a Marrakech 15 aprile 1994, relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, ratificato dall'Italia con L. 29 dicembre 1994, n. 747, con l'art. 45 si prevedeva la necessità per il giudice di liquidare, secondo una tradizionale funzione compensativa della responsabilità civile, una somma adeguata per risarcire i danni che quest'ultimo ha subito a causa della violazione di un suo diritto di proprietà intellettuale da parte di un soggetto che ha proceduto a detta violazione consapevolmente o avendo ragionevoli motivi per esserne consapevole . 6.2. L'Accordo Trips e la direttiva 2004/48/CE, pur non comportando un obbligo corrispondente, non vietano ai singoli Stati nazionali di introdurre, in aggiunta a quanto già previsto, anche una funzione punitiva del risarcimento del danno cfr. Corte Giustizia 25/1/2017, Causa C-367/15, in rapporto a normativa polacca, contemplante la possibilità per il titolare del diritto di proprietà intellettuale violato di richiedere il pagamento di una somma equivalente al doppio della remunerazione adeguata, che sarebbe stata dovuta a titolo di concessione dell'autorizzazione per l'uso dell'opera interessata . 6.3. Il danno da lucro cessante corrisponde al mancato guadagno o profitto del titolare, dato dalla differenza tra i flussi di vendita che lo stesso avrebbe avuto senza la contraffazione e quelli che ha effettivamente ricevuto. Si parla, ai fini di quantificare il guadagno perso, anche di utile marginale, costituito dalla differenza tra il ricavo che sarebbe derivato da unità di prodotto aggiuntive, rispetto a quelle in concreto commercializzate, ed il costo marginale, comprensivo di tutti i costi che sarebbero stati sostenuti per produrre quelle unità aggiuntive. L'art. 125, comma 1, citato rinvia, oltre che all'art. 1223 che include, nel risarcimento, il danno emergente ed il lucro cessante, conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito, secondo le regole della causalità giuridica e materiale, ai sensi dell'art. 41 c.p. e art. 1227 che prevede la diminuzione del danno risarcibile, per fatto colposo del danneggiato, e l'esclusione del risarcimento, per i danni evitabili usando l'ordinaria diligenza c.c., anche all'art. 1226 c.c. e quindi consente, secondo le regole generali, il ricorso alla valutazione equitativa del danno non suscettibile di essere provato nel suo esatto ammontare. Tale valutazione equitativa risulta tanto più necessaria nell'ambito della lesione di diritto di proprietà industriale, concepito come diritto di vietare a terzi determinate attività senza autorizzazione del titolare, essendo difficile quantificare gli effetti pregiudizievoli della condotta contraffattiva, dovendosi, di frequente, ipotizzare quale sarebbe stato lo sviluppo del mercato in assenza della violazione, secondo un giudizio controfattuale. Il comma 1 della disposizione in esame individua, tuttavia, dei parametri da cui potere desumere indirettamente il danno, sia pure in via di approssimazione quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione si fa rinvio, tra i criteri da seguire per determinare l'entità del pregiudizio subito dal titolare della privativa, non soltanto al tradizionale pregiudizio di tipo patrimoniale, ma anche alla categoria del danno morale, quale il danno all'immagine commerciale dell'imprenditore, o la perdita di investimenti pubblicitari, ed al parametro dei benefici ricavati dal contraffattore indipendentemente quindi dalla retroversione degli utili, di cui al comma 3, della disposizione in esame, che può essere chiesta in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura eccedente tale risarcimento , in un'ottica non solo indennitaria ma anche riparatoria, giustificata dall'obiettivo di tutela di una corretta attività di mercato. Si tratta, in buona sostanza, di una regola speciale nell'ambito del rimedio risarcitorio, di norma volto a compensare per equivalente, attraverso un pagamento commisurato alla perdita et ricchezza sopportata, chi ha subito la violazione. E tali parametri devono essere presi in considerazione anche ai fini della liquidazione equitativa in una somma globale , nella quale quindi non deve essere neppure specificata l'incidenza dei singoli elementi presi in esame per la quantificazione del dovuto. L'art. 125 c.p.i., comma 2, detta, quindi, una regola speciale di liquidazione equitativa, consentendo che il giudice liquidi il danno in una somma globale stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano il criterio del giusto prezzo del consenso o della giusta royalty, vale a dire del compenso che il contraffattore avrebbe pagato al titolare se avesse chiesto ed ottenuto una licenza per utilizzare l'altrui privativa industriale, opera come ulteriore elemento di valutazione equitativa semplificata del lucro cessante e come fissazione di un limite minimo o residuale di ammontare del risarcimento, voluto dal legislatore a garanzia della effettività della compensazione ciò costituisce, di certo, elemento di semplificazione nella liquidazione del danno, giacchè il giusto prezzo del consenso è per lo più sempre accertabile con indagini di mercato sui compensi negoziati tra imprese analoghe per privative analoghe. 6.4. Questa Corte, prima dell'emanazione dell'art. 125 c.p.i. e con riguardo all'art. 1226 c.c., aveva affermato il principio di diritto secondo cui, in tema di brevetto, il danno cagionato dalla commercializzazione di un prodotto o di un modello in violazione di privativa non è in re ipsa , ma, essendo conseguenza diversa ed ulteriore dell'illecito rispetto anche alla distorsione della concorrenza da eliminare comunque, richiede di essere provato secondo i principi generali che regolano le conseguenze del fatto illecito, solo tale avvenuta dimostrazione consentendo al giudice di passare alla liquidazione del danno, eventualmente facendo ricorso all'equità Cass. 19430/2003 conf. Cass. 1000/2013 . Secondo tale giurisprudenza, anche nella materia della proprietà intellettuale, condizioni per il ricorso alla liquidazione equitativa del danno sono sempre la certezza della sua esistenza e l'assoluta impossibilità pratica di provarne l'ammontare. Invero, si era ribadito che la valutazione equitativa del lucro cessante, prevista dall'art. 2056 c.c., comma 2, non implica alcuna relevatio dall'onere probatorio quanto alla concreta esistenza dei pregiudizio patrimoniale, riguardando il giudizio di equità solo l'entità di quel pregiudizio, in considerazione dell'impossibilità o della grande difficoltà di dimostrarne l'esatta misura Cass. 12812/2016, con richiamo a Cass. 12545/2004 , in fattispecie nella quale non operava il codice di proprietà industriale e il D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 125. Tuttavia, sempre in controversia nella quale non era applicabile l'art. 125, comma 3, c.p.i., questa Corte Cass. 4048/2016 aveva, già, affermato la regola iuris secondo cui, in tema di valutazione equitativa del danno subito dal titolare del diritto di utilizzazione economica di un'opera dell'ingegno, non è precluso al giudice il potere-dovere di commisurarlo, nell'apprezzamento delle circostanze del caso concreto, al beneficio tratto dall'attività vietata, assumendolo come utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando esso sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo . 6.5. Alla luce del nuovo dettato dell'art. 125 c.p.i., di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, deve ormai darsi rilievo alla specifica disciplina dettata dal comma 2, in base al quale il giudice può liquidare il danno in una somma globale stabilità in base agli atti di causa ed alle presunzioni che ne derivano , sulla base, quindi, anche solo di elementi indiziari offerti dal danneggiato e, nel caso il titolare non sia riuscito a dimostrare il mancato guadagno, il lucro cessante potrà essere liquidato con il ricorso al metodo alternativo della giusta royalty o royalty virtuale, senza l'onere per il titolare della privativa di dimostrare quale sarebbe stata la certa royalty pretesa in caso di ipotetica richiesta di una licenza da parte dell'autore della violazione, non rappresentando detto criterio il danno effettivamente subito ma un c.d. minimo obbligatorio . Ai sensi, poi, dell'art. 125 c.p.i., comma 3, nella formulazione conseguente al recepimento della Direttiva 2004/48/CE ma anche prima di tale intervento normativo, l'art. 125 prevedeva, al comma 1, che il risarcimento del danno andasse liquidato anche tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto e ciò era consentito pure nella vigenza della I.m., di cui al RD. N. 942/1942, e, nella disciplina della legge d'autore, L. n. 633 del 1941, nel periodo anteriore alla modificazione, ad opera del D.Lgs. n. 140 del 2006, art. 5, dell'art. 158 , inoltre, il titolare danneggiato potrà chiedere il risarcimento del danno nella forma alternativa della restituzione degli utili del contraffattore. Si tratta sempre di una forma di ristoro, forfettario, del lucro cessante, che può quindi cumularsi al danno emergente e che può essere chiesta o in via alternativa al risarcimento del mancato guadagno o nella misura in cui gli utili del contraffattore superino il suddetto pregiudizio subito. Rispetto alla Direttiva comunitaria, che contemplava il ricorso alla voce dei profitti realizzati dal contraffattore solo come componente del danno risarcibile e che autorizzava gli Stati membri ad introdurre l'istituto della restituzione degli utili nelle ipotesi di violazioni inconsapevoli , il nostro legislatore ha previsto, invece, sia che, alla luce del comma 1, degli utili del contraffattore si debba tener conto sempre, ai fini della quantificazione del risarcimento, affinchè sia integralmente riparato il danno patito dal titolare della privativa, sia che, alla luce del comma 3, possa essere chiesta la condanna dell'autore della violazione alla reversione di tutti gli utili conseguiti per effetto della violazione dell'altrui privativa intellettuale. Anche per il comma 3 della disposizione in esame, ci si trova indubbiamente di fronte non ad una mera e tradizionale funzione esclusivamente riparatoria o compensativa del risarcimento del danno, nei limiti del pregiudizio subito dal soggetto danneggiato, ma ad una funzione, se non propriamente sanzionatoria, diretta, quantomeno, ad impedire che il contraffattore possa arricchirsi mediante l'illecito consistito nell'indebito sfruttamento del diritto di proprietà intellettuale altrui. Le Sezioni Unite Cass. 16601/2017 hanno, al riguardo, chiarito, proprio richiamando la normativa nazionale in materia di tutela della proprietà intellettuale, che, nel vigente ordinamento nazionale, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poichè sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicchè non è ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto, di origine statunitense, dei risarcimenti punitivi , purchè la misura si regga su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i suoi limiti quantitativi nella specie, si discuteva del riconoscimento di una sentenza straniera . Questa Corte Cass. 8944/2020 ha poi, di recente, rilevato che l'utile percepito dal contraffattore non corrisponde all'intero ricavo derivante dalla commercializzazione del prodotto contraffatto, ma al margine di profitto conseguito da colui che si è reso responsabile della lesione del diritto di privativa, deducendo i costi sostenuti produttivi e di c.i.istribuzione dal ricavo totale. 6.6. Nella materia della proprietà intellettuale, il controllo sull'accertamento dei presupposti per la valutazione equitativa del danno non è dunque sempre e solo controllo della motivazione, vale a dire sul processo logico e valutativo seguito, come ritenuto in generale con riguardo agli artt. 1226 e 2056 c.c., perchè implicante un giudizio di fatto Cass. 4788/2001 Cass. 23233/2013 . Ciò accade, quando non si rivolga una critica al concreto esercizio del potere discrezionale di liquidazione equitativa del danno da parte del giudice, sindacabile nei soli ristretti limiti del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, ma si denunci una violazione di legge, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dei criteri speciali dettati dall'art. 125 c.p.i., specificamente dal secondo e dal comma 3, per la liquidazione del danno da illecita contraffazione. Il che vale a rendere ammissibile, sotto tale profilo, la censura di violazione di legge e dell'art. 125 c.p.i., nello specifico. 6.7. Tanto premesso, le censure di cui al terzo e quarto motivo sono, sotto altro profilo, inammissibili. Invero, la Corte d'appello ha motivato la propria conclusione sull'adeguatezza dei codici dei prodotti o dei disegni, rilevando che tale questione, mai valorizzata nel corso delle operazioni peritali , non aveva creato alcuna confusione nei consulenti tecnici, che avevano ritenuto la documentazione digitale, di cui all'archivio informatico aziendale, in uno con la documentazione di dettaglio prodotta, valida ed attendibile, aggiungendo che il consulente tecnico incaricato aveva nettamente indicato che, dei 1345 esemplari di camion Canal et , prodotti da Farid, nel periodo in contestazione, solo tre incorporavano la tecnologia brevettata da Cappellotto. Non vi è stata quindi alcuna necessità di disaggregare i dati relativi alla contraffazione, affermando la decisione impugnata che le risultanze della CTU contabile sono state univoche e precise. Trattasi di valutazione di merito non efficacemente censurata. 6.8. Le censure di cui al quinto e al sesto motivo sono, invece, fondate. In merito alla mancata applicazione del criterio preferenziale indicato dalla Cappellotto, rispetto a quello della royalty virtuale, del lucro cessante reale secondo quanto indicato nella decisione impugnata o di una sorta di retroversione degli utili del contraffattore secondo quanto indicato in ricorso per cassazione ed in memoria della Cappellotto , avendo la titolare del brevetto offerto un criterio alternativo di risarcimento, invocando l'applicazione del margine di utile del titolare del brevetto il 25% al fatturato dei prodotti contraffatti realizzato dal contraffattore, doglianza formulata dalla Cappelotto con il primo motivo dell'appello incidentale, in effetti, la sentenza impugnata si limita ad affermare che la Cappellotto non avrebbe dimostrato di avere subito concretamente un lucro cessante da calo delle vendite nella misura che pretende di essere risarcita al di là della comprovata messa in commercio, da parte di Farid, dei tre esemplari per cui vi è accertamento giudiziale . La Cappellotto, nel primo motivo del gravame incidentale, aveva lamentato di avere indicato in primo grado, un criterio alternativo a quello della giusta royalty, ritenuto più aderente alle dimensioni del danno realmente supportato dalla titolare della privativa industriale, quello del c.d. lucro cessante reale , corrispondente alla somma che avrebbe ricavato il titolare del brevetto se avesse venduto lui invece del contraffattore i prodotti contraffattori al medesimo prezzo a cui li ha invece commercializzati il contraffattore , attraverso l'applicazione del margine di utile lordo di Cappellotto sui camion realizzati secondo il brevetto al fatturato realizzato da Farid, a fronte delle unità di camion contraffattori, Canal Jet montanti naspo modello A , venduti. Assumeva ed assume la Cappellotto che il criterio della royalty media rappresenta solo il minimo sindacale del risarcimento del danno da contraffazione, equiparandosi con esso il contraffattore ad un legittimo licenziatario, che non deve essere utilizzato laddove l'attore abbia indicato diversi, ragionevoli, criteri equitativi. Ora, l'affermazione della Corte territoriale, in risposta alla doglianza, risulta non conforme al disposto dell'art. 125 c.p.i., essendo sancito, dal comma 1 di questa previsione, che si debba sempre tener conto, nella liquidazione del danno, anche degli utili del contraffattore, e, dal comma 2, che il criterio della giusta royalty costituisca comunque una misura minimale e residuale nonchè, dal comma 3, che, in via alternativa al risarcimento del danno da lucro cessante, il titolare del diritto leso possa chiedere la restituzione degli utili realizzati dal contraffattore. La ricorrente aveva in effetti offerto un ragionevole criterio alternativo, di liquidazione del danno, sempre in via equitativa, consistente nell'applicazione del proprio margine operativo lordo, il c.d. MOL incrementale , formula che esprime il concetto di reddito addizionale derivante dallo sfruttamento del brevetto, rapportato al volume delle vendite dei prodotti ottenuti dal contraffattore mediante il brevetto contraffatto, che - se applicato - avrebbe portato ad una maggiore liquidazione del danno, più rispondente ad una congrua ed effettiva riparazione del pregiudizio patito capace di tenere conto di tutti gli aspezti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno subito dalla parte lesa, ed i benefici realizzati illegalmente dall'autore della violazione. La doglianza va pertanto accolta e va affermato il seguente principio di diritto In tema di proprietà industriale, il titolare del diritto di privativa leso può chiedere di essere ristorato del danno patito invocando il criterio costituito dal margine di utile del titolare del brevetto applicato al fatturato dei prodotti contraffatti, realizzato dal contraffattore, di cui al D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 125, c.d. codice della proprietà industriale , nel testo modificato dal D.Lgs. n. 140 del 2006, art. 17 , alla luce del quale il danno va liquidato sempre tenendo conto degli utili realizzati in violazione del diritto, vale a dire considerando il margine di profitto conseguito, deducendo i costi sostenuti dal ricavo totale. In particolare, in tale ambito, il criterio della giusta royalty o royalty virtuale segna solo il limite inferiore dei risarcimento del danno liquidato in via equitativa che però non può essere essere utilizzato a fronte dell'indicazione, da parte del danneggiato, di ulteriori e diversi ragionevoli criteri equitativi, il tutto nell'obiettivo di una piena riparazione del pregiudizio risentito dal titolare del diritto di proprietà intellettuale . 6.9. I motivi settimo ed ottavo, attinenti all'applicazione in concreto del criterio residuale della giusta royalty ed alla mancata maggiorazione della royalty media individuata, sono infondati. La giurisprudenza di merito ritiene sovente equa una congrua maggiorazione in termini almeno di raddoppio dell'importo della royalty ricavabile dall'analisi del mercato di riferimento, tenuto conto anche del fatto che il contraffattore non assume i costi ed i rischi di un licenziatario e può pertanto permettersi anche di offrire il prodotto o il servizio alla clientela ad un prezzo ridotto. La ricorrente principale lamenta che la Corte d'appello, individuata la giusta royalty da applicare, quale royalty media del settore, al fatturato rilevante, non abbia proceduto ad un suo doveroso aumento sulla base della suddetta giurisprudenza di merito e di considerazioni equitative. La doglianza non può essere condivisa, nella sua impostazione di fondo, di una doverosità di maggiorazione della royalty. La Corte di Giustizia è, di recente, intervenuta sentenza 25/1/2017, Causa C 367/2015 , al riguardo, essendo stata investita di questione pregiudiziale sollevata da un giudice polacco, in relazione alla compatibilità con l'art. 13 della direttiva 2004/48 di normativa nazionale che contemplava, nella materia del risarcimento del danno da violazione del diritto d'autore, la possibilità per il titolare del diritto leso di chiedere la condanna del contraffattore al pagamento di una somma di denaro dell'importo equivalente al doppio o, nel caso di violazione colposa, al triplo della remunerazione adeguata da rilevare, tuttavia, che, successivamente al rinvio pregiudiziale, la disposizione polacca è stata dichiarata parzialmente incostituzionale, nella parte in cui consentiva al titolare di un diritto patrimoniale d'autore che fosse stato violato di richiedere, nel caso di violazione colposa, il versamento di una somma corrispondente al triplo della remunerazione adeguata , ed ha precisato che l'art. 13 della direttiva 2004/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, ai sensi della quale il titolare di un diritto di proprietà intellettuale che sia stato violato può chiedere all'autore della violazione di tale diritto o il risarcimento del danno subito, tenendo conto di tutti gli aspetti pertinenti del caso di specie, o, senza che detto titolare debba dimostrare il danno effettivo, il pagamento di una somma equivalente al doppio della remunerazione adeguata che sarebbe stata dovuta a titolo di concessione dell'autorizzazione per l'uso dell'opera di cui trattasi . La Corte UE ha ribadito, in particolare, che a la direttiva 2004/48 sancisce uno standard minimo per il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e non impedisce agli Stati membri di prevedere misure di protezione più incisive b quello espressamente previsto all'art. 13, paragrafo 1, comma 2, lett. b , della direttiva 2004/48 è un risarcimento forfettario , non esattamente proporzionale al danno effettivamente subito dalla parte lesa c il mero versamento, nell'ipotesi di una violazione di un diritto di proprietà intellettuale, del canone ipotetico non è idoneo a garantire un risarcimento dell'integralità del danno effettivamente subito, non garantendo, ad es., il rimborso di eventuali spese legate alla ricerca e all'identificazione di possibili atti di contraffazione, nè il risarcimento di un eventuale danno morale, nè ancora il versamento di interessi sugli importi dovuti d in punto di necessaria dimostrazione, per il danneggiato, del nesso di causalità tra il fatto generatore della violazione del diritto d'autore ed il danno subito, non bisogna ricorrere ad una nozione eccessivamente restrittiva del concetto di causalità , secondo la quale il titolare del diritto violato dovrebbe stabilire un nesso di causalità tra tale fatto e non solo il danno subito, ma altresì l'importo preciso al quale esso ammonta , interpretazione questa inconciliabile con l'idea stessa di una fissazione forfettaria del risarcimento e, quindi, con l'art. 13, paragrafo 1, comma 2, lett. b , della direttiva 2004/48, che consente tale tipo di risarcimento . Già in precedenza sentenza 17/3/2016, Causa C-99/15 la Corte di Giustizia aveva affermato, sempre in relazione al criterio di valutazione forfettaria del danno, che l'art. 13, paragrafo 1, della direttiva 2004/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, deve essere interpretato nel senso che esso consente alla persona lesa da una violazione del suo diritto di proprietà intellettuale, che chieda il risarcimento del danno materiale subito, calcolato, conformemente al comma 2, lett. b , del paragrafo 1 di tale articolo, sulla base dell'importo dei diritti che avrebbero dovuto essere riconosciuti qualora l'autore della violazione avesse richiesto l'autorizzazione per l'uso del diritto di proprietà intellettuale in questione, di chiedere anche il risarcimento del danno morale di cui al paragrafo 1, comma 2, lett. a , di detto articolo . Giova, inoltre, rammentare che il legislatore comunitario ha abbandonato l'originaria formulazione dell'art. 13 della proposta di direttiva del 2003, in cui si prevedeva che il giudice potesse alla luce della gravità e del carattere intenzionale o meno dell'infrazione disporre un risarcimento del danno pari al doppio del valore dei diritti e che, nel Considerando n. 26 della Direttiva 2004/48, si legge espressamente che il fine non è quello di introdurre un obbligo di prevedere un risarcimento punitivo, ma di permettere un risarcimento fondato su una base obiettiva, tenuto conto delle spese sostenute dal titolare, ad esempio, per l'individuazione della violazione e relative ricerche . Non vi sono, in definitiva, specifici riferimenti normativi da cui dedurre una doverosità, nell'ordinamento nazionale, della maggiorazione della royalty normalmente praticata nel mercato di riferimento, atteso che l'art. 125 c.p.i., comma 2, si limita a dettare una regola di semplificazione della valutazione equitativa, per le ipotesi in cui sia difficile determinare l'importo dell'effettivo danno subito, ponendo il criterio del presumibile prezzo del consenso come limite minimo al risarcimento del danno da lucro cessante, in considerazione della regola generale, dettata dal comma 1, secondo cui l'autore della violazione deve risarcire, al titolare del diritto, danni adeguati al pregiudizio effettivo da questo subito a causa della violazione, in relazione a tutte le specificità del caso. 7. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del quinto e sesto motivo del ricorso principale, inammissibili il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo ed infondati i motivi settimo ed ottavo e respinto il ricorso incidentale, va cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il quinto ed il sesto motivo del ricorso principale, inammissibili il primo, il secondo, il terzo ed il quarto motivo ed infondati i motivi settimo ed ottavo, e respinge il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa alla Corte d'appello di Torino, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.