La schiavitù e le malversazioni subite nel Paese di transito giustificano la concessione della protezione umanitaria

In tema di protezione umanitaria, la situazione di vulnerabilità del richiedente non necessariamente deve derivare da condizioni patite nel paese di origine, ma può anche essere l’esito di malversazioni subite in paesi di transito.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 158/21, depositata l’8 gennaio. Un cittadino della Costa d’Avorio era fuggito dal proprio Paese d’origine dopo l’uccisione della sua famiglia. Raggiunta la Libia, dove era stato tenuto in schiavitù e torturato, giungeva in Italia e chiedeva il riconoscimento dell’ asilo politico , della protezione sussidiaria o in subordine della protezione umanitaria . La richiesta non trovava però accoglimento. Per questo motivo, la vicenda è giunta all’attenzione della Suprema Corte. Come ormai afferma costantemente la giurisprudenza di legittimità, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ove sia ritenuta credibile la situazione di particolare eccezionale vulnerabilità esposta dal richiedente, il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di comparazione attenuata , nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis , non potendo, in particolare, escludersi il rilievo preminente della gravità della condizione accertata solo perché determinatasi durante la permanenza nel paese di transito Cass. n. 1104/20 . In altre parole la situazione di vulnerabilità che giustifica la protezione umanitaria non necessariamente deve derivare da condizioni patite nel paese di origine, ma può anche essere l’esito di malversazioni subite in paesi di transito . Il d.lgs. n. 251/2007, art. 19 non limita infatti le cause della vulnerabilità alle vessazioni o alle condizioni di vita imposte nel Paese di provenienza. Ribadisce dunque la Corte che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari nella disciplina previgente al d.l. n. 113/2018, conv., con modif., in l. n. 132/2018 costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica status di rifugiato o protezione sussidiaria , non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona Cass. n. 13096/19 . Per questi motivi, la Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 23 settembre 2020 – 8 gennaio 2021, n. 158 Presidente Vivaldi – Relatore Cricenti Fatti di causa 1.- Il ricorrente, K.K. , proviene dalla omissis . Racconta di essere andato via da quel paese, dopo aver perso la sua intera famiglia i genitori uccisi da un gruppo di ribelli, mentre la sorella ed il cognato hanno perso la vita nella guerra in . Rimasto solo, il ricorrente ha raggiunto la Libia, dove, per più di un anno è stato tenuto in schiavitù ed ha subito torture venendo poi aiutato a fuggire da un aguzzino che, in cambio del suo aiuto, ha imposto al ricorrente lavori di ristrutturazione del suo appartamento. 2.- K.K. , giunto dunque in Italia, ha chiesto il riconoscimento dell’asilo politico, della protezione sussidiaria, o, in subordine, della protezione umanitaria, ma sia la Commissione territoriale prima, che poi il Tribunale hanno rigettato le sue richieste. Anche la corte di appello ha ritenuto insussistenti i presupposti per ciascuna di quelle forme di protezione. 3. Ora K.K. ricorre con due motivi. Non v’è costituzione del Ministero dell’Interno. Ragioni della decisione 1.- La ratio della decisione impugnata. Quanto allo stato di rifugiato la corte esclude che siano emersi fatti di persecuzione nei confronti del ricorrente quanto alla protezione sussidiaria, invece, la corte ritiene che la situazione della omissis non è tale da presentare pericoli nè per il ricorrente in quanto tale, nè per ogni altro civile, in assenza di un conflitto armato generalizzato quanto infine alla protezione umanitaria ritiene non provato un livello di integrazione in Italia, tale da giustificare una qualche vulnerabilità in caso di rimpatrio. Il ricorrente contesta queste rationes decidendi con due motivi. 2.- Con il primo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5, 6 e 9 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32. Secondo il ricorrente la corte non avrebbe tenuto in sufficiente considerazione le violenze subite nel paese di transito, la Libia, dando eccessivo rilievo al dato secondario della integrazione del ricorrente in Italia. Senza considerare che la corte ha ritenuto comunque credibile l’esperienza vissuta in Libia dal ricorrente, il che avrebbe dovuto spingerla ad un esame comparato e diverso da quello effettivamente svolto con la situazione del paese di origine. 3.- Con il secondo motivo si denuncia violazione degli stessi articoli di cui al primo motivo D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5, 6 e 9 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 sostanzialmente ribadendo che al fine di verificare se il ricorrente avesse subito trattamenti disumani o degradanti era necessario tener conto di quelle subite anche in Libia e non solo nel paese di provenienza. Inoltre, il giudizio sulla vulnerabilità nonché quello sulla situazione del paese di provenienza sarebbero stati resi senza un adeguato approfondimento istruttorio, in quanto i giudici si sarebbero limitati a riportare solo una parte del report di Amnesty International per gli anni 2017-2018. Entrambi i motivi invero contengono censure simili o comunque riferite indifferentemente sia al rigetto della protezione sussidiaria che di quella umanitaria. Può dunque farsene esame congiunto. La parte della censura riferita alla sottovalutazione delle violenze subite in Libia può essere accolta. Va premesso che, come già ritenuto da questa corte, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ove sia ritenuta credibile la situazione di particolare eccezionale vulnerabilità esposta dal richiedente, il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di comparazione attenuata , nel senso che quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il secundum comparationis , non potendo, in particolare, escludersi il rilievo preminente della gravità della condizione accertata solo perché determinatasi durante la permanenza nel paese di transito Cass. 1104/2020 . Ossia, la situazione di vulnerabilità che giustifica la protezione umanitaria non necessariamente deve derivare da condizioni patite nel paese di origine, ma può anche essere l’esito di malversazioni subite in paesi di transito nè la legge D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19 limita le cause della vulnerabilità alle vessazioni o alle condizioni di vita imposte nel paese di provenienza nè, in generale, ragionevole limitarle comunque, poiché lo scopo della protezione umanitaria è impedire il rimpatrio di soggetti comunque vulnerabili verso paesi nei quali la loro condizione di vulnerabilità possa essere mantenuta o aggravata. Va allora riaffermato che il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari nella disciplina previgente al D.L. n. 113 del 2018, conv., con modif., in L. n. 132 del 2018 costituisce una misura atipica e residuale, volta ad abbracciare situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento di una tutela tipica status di rifugiato o protezione sussidiaria , non può disporsi l’espulsione e deve provvedersi all’accoglienza del richiedente che si trovi in condizioni di vulnerabilità, da valutare caso per caso, anche considerando le violenze subite nel Paese di transito e di temporanea permanenza del richiedente asilo, potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona Cass. 13096/2019 . Un esame che difetta nella motivazione della corte di merito. P.Q.M. La corte accoglie il primo motivo, assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, anche per le spese.