L’importanza delle informazioni aggiornate per il riconoscimento della protezione sussidiaria

Posto che il giudice del merito è tenuto, ai sensi dell’art. 8 co. 3 D.Lgs. 25/2008, a cooperare nell’accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, è necessario indicare specificatamente le fonti in base alle quali sia stato svolto l’accertamento richiesto.

E’ quanto stabilito dalla Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con ordinanza n. 29031/20 depositata il 17 dicembre. Il caso. J.B. si vedeva respinto in prima e seconda istanza la richiesta di vedersi riconosciuto lo status di rifugiato nonché l’ammissione alla protezione sussidiaria ed umanitaria . In particolare la Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 5419/18 ha ritenuto privo di sufficienti elementi di specificazione e di riscontro il racconto del richiedente basato sulla sua condizione di omosessuale, sulla insussistenza della situazione di insicurezza generalizzata dal paese di provenienza, il Gambia, e sulla non concedibilità del permesso umanitario in presenza di semplici condizioni di povertà. J.B. proponeva ricorso per cassazione lamentando, in particolare, la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, lett. c , d.lgs. n. 251/2007 e dell’art. 8 d.lgs. n. 25/2008 sulla scorta della motivazione in forza della quale il giudice di merito non abbia proceduto ad effettuare gli accertamenti necessari per acclarare la condizione del paese di origine del richiedente e di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso. La protezione sussidiaria. Ai sensi dell’art. 2, lett. g , d.lgs. n. 251/2007, può richiedere la protezione sussidiaria il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese. Per una migliore comprensione della protezione sussidiaria è d’uopo ricordare che il rifugiato è un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese. Laddove non si posseggano i requisiti per lo status di rifugiato e neppure quelli per ottenere la protezione sussidiaria, può essere richiesto il permesso di soggiorno per scopi umanitari, o meglio, la c.d. tutela o protezione umanitaria. Tale tipologia di tutela art. 8 D. Lgs. n. 25/2008 viene concessa quando ricorrono seri motivi di carattere umanitario” che, a ben vedere, non sono tipizzati ciò fa sì che bisognerà fare riferimento al diritto internazionale, ma prima ancora alla Carta Costituzionale, al fine di valutare la violazione o il timore della violazione dei diritti umani fondamentali. Il danno grave” per la protezione sussidiaria. L’art. 14 definisce il contenuto del danno grave” che costituisce requisito della protezione sussidiaria. In particolare, sono considerati danni gravi la condanna a morte o all’esecuzione della pena di morte lettera a la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine lettera b la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale lettera c . Con particolare riferimento alla lettera sub c, ci si chiede se la situazione di pericolo debba riguardare esclusivamente il richiedente, ovvero sia sufficiente una situazione sociopolitica dalla quale si è sfuggiti e nella quale il rischio diventa effettivo per qualsiasi persona che appartenga alla categoria a rischio. La giurisprudenza di legittimità ha più volte sostenuto che il riconoscimento della protezione sussidiaria non richiede, diversamente da quanto previsto per lo status di rifugiato politico, l’accertamento dell’esistenza di una condizione di persecuzione del richiedente Cass. ord. n. 6880/11 in egual modo la Corte di Giustizia caso n. 465-07, sent. n. 172/2009, caso Elgafaji ha espressamente precisato che il nesso causale tra situazione generale di danno grave e la diretta esposizione individuale è più sfumato rispetto al rifugio politico. Le informazioni aggiornate e la violenza indiscriminata. Premesso ciò, secondo l’art. 8 d.lgs. 25/08 ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’UNHCR, dall’EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla commissione stessa. La commissione nazionale assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle commissioni territoriali e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative . In altri termini, l’art. 8 costituisce strumento volto a vagliare l’attendibilità e la veridicità delle dichiarazioni rese dal ricorrente. Invero a tal fine assume particolare rilevanza l’acquisizione di informazioni aggiornate sul Paese d’origine del richiedente. In definitiva, come già espresso dalla Cass. n. 25545/2020, nei giudizi per il riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria vige il dovere di cooperazione officiosa l’autorità amministrativa prima e il giudice poi in caso di impugnazione del provvedimento reso dalle commissioni territoriali svolgono un ruolo attivo nell’istruzione della domanda. Nel caso di specie, ciò non è avvenuto, in quanto il giudice del merito si è limitato ad acquisire quanto prodotto dal richiedente. Proprio per questa ragione, posto che il giudice del merito è tenuto, si ripete, ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.lgs. n. 25/2008, a cooperare nell’accertare la situazione reale del Paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e cassa con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 26 ottobre – 17 dicembre 2020, n. 29031 Presidente Genovese – Relatore Falabella Fatti di causa 1. - È impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Napoli, pubblicata il 26 novembre 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da J.B. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale di Napoli. La nominata Corte ha negato che al ricorrente potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed ha altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria. Ha in particolare ritenuto privo di sufficienti elementi di specificazione e di riscontro il racconto del richiedente, basato sulla sua condizione di omosessuale, sulla insussistenza di una situazione di insicurezza generalizzata del paese di provenienza, il Gambia, e sulla non concedibilità del permesso umanitario in presenza di semplici condizioni di povertà. 2. - Il ricorso per cassazione si fonda su tre motivi. Il Ministero dell’interno resiste con controricorso. Ragioni della decisione 1. - Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7, 8 e 14. Evidenzia il ricorrente che ove le dichiarazioni del richiedente siano di incerta valutazione o incompiute, sussiste per il giudice del merito l’obbligo di attivarsi, eventualmente disponendo l’audizione del ricorrente, per colmare le lacune probatorie e chiarire il contenuto delle sue dichiarazioni. Nella specie, la Corte di merito aveva di contro mancato di disporre l’audizione del ricorrente onde poter ottenere chiarimenti in merito alla sua omosessualità, alle minacce e alle persecuzioni subite. Col secondo motivo è lamentata la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c , e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Viene dedotto che il giudice del merito abbia mancato di procedere agli accertamenti ufficiosi finalizzati ad acclarare la condizione del paese di origine del richiedente e di indicare esattamente, nel provvedimento conclusivo, le fonti utilizzate e il loro aggiornamento. Il terzo mezzo oppone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6. Secondo il ricorrente il giudice di appello, pur non contestando la veridicità delle dichiarazioni da lui rese, in ordine alla fuga dal Gambia, al suo ingresso in Libia, alla restrizione in carcere e all’operazione chirurgica cui sarebbe stato sottoposto, non aveva verificato se le condizioni dedotte, riguardate tenendo conto anche della situazione generale del Gambia, potessero dar ragione della condizione di vulnerabilità atta a consentire il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari. 2. - Il primo motivo è infondato. La Corte di merito ha ritenuto che la vicenda narrata dal richiedente non fosse adeguatamente circostanziata. È da rilevare, in proposito, che la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c , ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503 . Peraltro, l’unico incombente istruttorio che il ricorrente lamenta non abbia avuto corso nel giudizio di appello è costituito dalla sua audizione personale l’omessa audizione personale del richiedente in grado di appello non integra, tuttavia, una violazione processuale, sanzionabile a pena di nullità per tutte Cass. 14 maggio 2020, n. 8931 Cass. 29 maggio 2019, n. 14600 . 3. - Il secondo motivo merita accoglimento. La Corte di merito, nel pronunciare sulla domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c , negato che il paese di provenienza del ricorrente, il Gambia, fosse teatro di una situazione di violenza indiscriminata lo ha fatto dando semplicemente atto dell’elezione di un nuovo presidente che aveva ribadito il suo impegno a porre fine agli abusi contro i diritti umani e il proprio disinteresse verso la repressione dell’omosessualità. Un tale accertamento non può non risultare carente rispetto agli obblighi di cooperazione istruttoria che incombevano alla Corte di appello con particolare riguardo alla fattispecie che qui interessa. Il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prevede, infatti, che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei paesi in cui questi siano transitati, ed elaborate dalla Commissione nazionale. Da tale disposizione si desume - e si desumeva prima ancora che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, inserito dal D.L. n. 119 del 2014, art. 5, comma 1, lett. b quater, convertito in L. n. 146 del 2014, prevedesse esplicitamente l’acquisizione d’ufficio di notizie sulla situazione del paese di origine del richiedente e sulla specifica condizione di questo - che in materia di protezione internazionale il giudice disponga di poteri officiosi di indagine e che allo stesso competa di verificare, sulla scorta delle informazioni richiamate dalla norma, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio ciò che deve porsi in atto, è, dunque un accertamento d’ufficio aggiornato al momento della decisione per tutte Cass. 28 giugno 2018, n. 17075 . L’effettuazione di tale accertamento, proprio in quanto imposto dalla legge, deve essere poi obiettivamente verificabile dal richiedente, dall’Amministrazione e dallo stesso giudice dell’impugnazione e ciò implica che il provvedimento reso debba quantomeno dar conto delle fonti informative consultate indicazione, questa, tanto più necessaria, in quanto consente di affermare o negare che l’attività di indagine sia stata effettivamente condotta sulla base di notizie aggiornate, come il richiamato art. 8, comma 3, per l’appunto richiede. In tal senso si è già espressa questa Corte. È stato rilevato, in particolare, che al fine di ritenere adempiuto l’onere di cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente, il giudice sia tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto ad esempio Cass. 26 aprile 2019, n. 11312 Cass. 17 maggio 2019, n. 13449 Cass. 22 maggio 2019, n. 13897 Cass. 20 maggio 2020, n. 9230 . Nel caso in esame è mancato lo stesso accertamento quanto alla ricorrenza, in concreto, di una situazione riconducibile alla fattispecie di cui all’art. 14, lett. c , cit. la Corte di appello, chiaramente equivocando sul significato da attribuirsi alla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale , si è difatti specificamente occupata della sola questione del rispetto dei diritti umani in Gambia, avendo riguardo, in particolare, all’esistenza o meno di condotte persecutorie nei confronti degli omosessuali cfr. pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata . 4. - L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento del terzo. 5. - In conclusione, la sentenza impugnata va cassata, stante l’accoglimento del secondo motivo il primo motivo va invece respinto, mentre il terzo resta assorbito. La causa è rinviata alla Corte di appello di Napoli che, in diversa composizione, deciderà anche con riguardo alle spese del giudizio di legittimità. Essa dovrà conformarsi al principio che segue Posto che il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente e posto, altresì, che al fine di ritenere adempiuto tale onere, è necessario indicare specificatamente le fonti in base alle quali sia stato svolto l’accertamento richiesto, nel caso in cui si dibatta della violenza indiscriminata di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c , il giudice del merito non può limitarsi a dar conto di imprecisate informazioni prive di attinenza alla situazione presa in considerazione da detta norma . P.Q.M. La Corte, accoglie il secondo motivo, respinge il primo e dichiara assorbito il terzo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.