L’ammissibilità dell’istanza di revisione delle sentenze disciplinari irrevocabili

La revisione delle sentenze disciplinari di condanna divenute irrevocabili, è ammessa solo ove siano sopravvenuti o si scoprano elementi probatori rilevanti, in grado di incidere su circostanze non marginali, tenuto conto del quadro istruttorio nel quale è maturata la decisione e dell’impianto decisorio che la caratterizza. In caso contrario, infatti, si finirebbe per consentire una mera rivalutazione di fatti già esaminati e della stessa fondatezza giuridica delle decisioni assunte, rimettendo così in discussione, ben oltre i limiti consentiti, una decisione ormai divenuta irrevocabile

Questo è quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con la sentenza numero 27412/20 depositata il 1° dicembre. Il fatto. L’intera vicenda processuale era stata innescata dall’irrogazione, da parte della Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, di una sanzione disciplinare ad un magistrato che, nel corso di un’udienza preliminare a suo carico, aveva adottato una condotta lesiva dell’onore e del prestigio del giudicante. Avverso tale sentenza il magistrato sanzionato proponeva ricorso, innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che tuttavia confermavano la correttezza della sentenza disciplinare del CSM. Il ricorrente, a questo punto, proponeva istanza di revisione della sentenza disciplinare, ex art. 25 del d.lgs. numero 109/06, sul presupposto della sopravvenienza di nuovi elementi di prova, atti a dimostrare l'insussistenza dell'illecito. Anche detta istanza veniva rigettata, poiché ritenuta inammissibile, stante l’inidoneità dei nuovi elementi probatori ad escludere l’addebito disciplinare. Contro tale ultima pronuncia, il ricorrente presentava nuovamente ricorso innanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. Quando è ammessa la revisione. I giudici della Suprema Corte, chiamati a dirimere definitivamente l’annosa questione, hanno richiamato un consolidato principio giurisprudenziale, riguardante la possibilità di chiedere, in ogni tempo, la revisione delle sentenze disciplinari di condanna divenute irrevocabili, ove siano sopravvenuti o si scoprano, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, da soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, siano idonei a dimostrare l'insussistenza dell'illecito. Tale eventualità è ammessa solo se i detti elementi probatori, andando ad incidere su circostanze d’importanza non marginale, possano essere considerati rilevanti, tenuto conto del quadro istruttorio nel quale è maturata la decisione e del suo impianto decisorio. In caso contrario, infatti, si finirebbe per acconsentire alla rivalutazione di fatti già esaminati e della stessa fondatezza giuridica delle decisioni assunte, rimettendo così in discussione, ben oltre i limiti consentiti, una decisione ormai divenuta irrevocabile sentenza numero 15288/2016 . La rilevanza dei nuovi elementi probatori. Sulla scorta di tale principio, la Corte di Cassazione, nel caso di specie, ha ritenuto irrilevanti i nuovi elementi probatori, posti dal ricorrente alla base della sua istanza di revisione, dal momento che essi si limitavano a dimostrare come la sua condotta si fosse rivelata priva di concrete ripercussioni negative per la vittima. Tale circostanza, tuttavia, era comunque ininfluente, dal momento che la sanzionabilità della condotta, dal punto di vista disciplinare, era collegata alla sola potenzialità lesiva della stessa e non alle sue concrete conseguenze. Risulta evidente, pertanto, che tali elementi probatori, non andando ad incidere in alcun modo sul quadro istruttorio o sull’impianto decisorio della sentenza stessa, non erano in alcun modo idonei a giustificarne il procedimento di revisione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 6 ottobre 2020 – 1 dicembre 2020, n. 27412 Presidente De Chiara – Relatore Conti Fatti di causa Con sentenza depositata il 20 gennaio 2010 la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura dichiarava la responsabilità del Dott. G.G. , giudice presso il Tribunale di Cosenza, per l’illecito disciplinare di cui era stato incolpato, in riferimento al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 4, comma 1, lett. d , per aver posto in essere un comportamento, idoneo a ledere la sua immagine di magistrato e integrante il delitto di cui all’art. 343 c.p., consistito nell’avere, il 24 gennaio 2008, durante la celebrazione di un’udienza preliminare a suo carico presso il Tribunale di Salerno, rivolgendosi al giudicante con tono irato ed agitato, pronunciato la seguente espressione di sfida si assuma le sue responsabilità , contemporaneamente lanciando sul banco del magistrato un telefono cellulare, e infliggeva all’incolpato la sanzione disciplinare dell’ammonimento. Il Consiglio superiore in motivazione richiamava le prove assunte durante la fase istruttoria, dalle quali era emerso che il telefono cellulare era stato lanciato sulla scrivania del giudicante a conclusione di un’udienza burrascosa, nella quale il Dott. G. ivi imputato aveva dovuto essere invitato alla calma a seguito del mancato accoglimento della sua richiesta di rinvio per l’indisposizione del difensore calabrese. Queste Sezioni Unite, con sentenza n. 18054/2010, rigettavano il ricorso del Dott. G. rilevando la correttezza del dispositivo della sentenza disciplinare del CSM, in particolare rilevando che che nella sentenza della Sezione disciplinare, nonostante alcune incertezze o imprecisioni nelle qualificazioni giuridiche formulate nel valutare l’incidenza del provvedimento di archiviazione intervenuto in sede penale, che certamente non ha effetti di giudicato e preclusivi nel giudizio disciplinare cfr. D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 20, commi 1 e 2 , si rinvenga una motivazione circa gli essenziali elementi di fatto correlata peraltro alla corretta affermazione - salvo l’improprio utilizzo del termine giudicato per un esito di archiviazione - secondo cui il comportamento va giudicato autonomamente e cioè prescindendo dal giudicato penale , sufficiente a giustificare il dispositivo di dichiarazione di responsabilità per l’incolpazione contestata . Ci si riferisce specificamente all’accertamento che l’episodio del lancio del telefonino sul banco del giudice dell’udienza preliminare è stato accompagnato, come peraltro precisato nel capo di incolpazione, dalla pronuncia della frase di sfida Lei si assuma le sue responsabilità , che risulta chiaramente idonea ad offendere l’onore e il prestigio del magistrato in udienza, in quanto implicante l’affermazione che il giudice stava contravvenendo a un elemento essenziale della deontologia professionale. Il fatto che la sentenza impugnata abbia ricordato, sia pure complessivamente, anche il comportamento intemperante dell’attuale ricorrente nel precedente corso dell’udienza trova evidente e logica spiegazione nell’esigenza di considerare i fatti specificamente addebitati nel contesto in cui si sono svolti, in ragione in particolare della valutazione, richiesta dall’art. 4, lett. d e compiuta dalla Sezione disciplinare, circa la idoneità del fatto a ledere l’immagine del magistrato . Il Dott. G. presentava quindi una prima istanza di revisione della sentenza n. 9/2010 sulla base di una successiva acquisizione di dichiarazioni provenienti da avvocati del foro di Cosenza ed altri professionisti cosentini volte a dimostrare l’assenza di ripercussione della vicenda oggetto del procedimento disciplinare sull’immagine del magistrato. Tale istanza veniva dichiarata inammissibile dalla sezione disciplinare del CSM con ordinanza n. 12/2016 del 15.12.2015 impugnata innanzi a queste Sezioni Unite della Corte che, con sentenza n. 16601/2016, dichiaravano l’inammissibilità del ricorso per omessa impugnazione della terza delle diverse rationes decidendi poste a base dell’ordinanza resa dalla sezione disciplinare, concernente l’affermata rilevanza autonoma ai fini della condanna disciplinare inflitta della violazione dell’arti del D.Lgs. n. 109 del 2006, già ritenuta dalla sentenza n. 9/2010. Con ulteriore istanza depositata il 12.8.2019 il Dott. G. ha quindi richiesto nuovamente alla sezione disciplinare del CSM la revisione della sentenza n. 9/2010, riproponendo l’assunzione sia dei medesimi elementi di prova già allegati alla precedente istanza di revisione sia di ulteriori dichiarazioni acquisite ai sensi dell’art. 391 bis c.p.p., comma 2 e art. 391 ter c.p.p., sul presupposto che il requisito della idoneità lesiva sull’immagine del magistrato richiederebbe un accertamento specifico e decisivo ai fini dell’accertamento dell’illecito contestato, al cui interno il CSM avrebbe potuto acquisire anche d’ufficio elementi volti a verificare l’impatto della vicenda sull’immagine del magistrato. L’istante ha quindi sostenuto che l’esame dei nuovi elementi avrebbe consentito di verificare l’assenza di ripercussioni in ambito locale e nazionale della vicenda posta a base della sanzione comminata al Dott. G. . La sezione disciplinare del CSM, con ordinanza n. 30/2020, depositata il 14.2.2020, ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza. Dopo avere operato una ricognizione dei precedenti resi da queste Sezioni Unite in tema di ammissibilità del giudizio di revisione in materia disciplinare, la sezione ha osservato che a la censura in ordine alla ritenuta applicazione della sanzione sulla base della violazione dei doveri del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 1, non integranti alcun illecito disciplinare era già stata esaminata da queste Sezioni unite in sede di gravarne avverso la sentenza n. 9/2010, ritenendola infondata in relazione agli elementi essenziali del fatto ritenuti in sede disciplinare b gli elementi posti a base dell’istanza di revisione non erano idonei a superare il vaglio di ammissibilità della stessa, non risultando le nuove prove idonee a costituire elementi utili ad escludere l’addebito contestato e ciò non tanto perché raccolte in epoca significativamente successive ai fatti, quanto in ragione della circostanza che le stesse non sono rilevanti rispetto ai fatti contestati all’incolpato e che hanno condotto alla condanna disciplinare. Secondo la sezione disciplinare, infatti, la ritenuta assenza di ripercussioni in ambito locale o nazionale che il Dott. G. intendeva dimostrare non incide sui fatti oggetto dell’incolpazione disciplinare poiché afferisce ad un piano differente rispetto a quello oggetto d’indagine e di decisione, ovvero il piano della rilevanza esterna della condotta del Dott. G. che, a ben vedere, non forma oggetto nè dell’incolpazione nè della sentenza . Ne consegue che la lesione dell’immagine del magistrato, posta a base della sentenza di condanna, non era esclusa dall’assenza di rilevanza della condotta nell’ambiente in cui operava il magistrato, poiché l’assenza di ripercussioni nell’ambiente locale e nazionale di per sé non elide la idoneità della condotta a ledere l’immagine del magistrato il sindacato di ammissibilità non poteva dunque risolversi in una mera rivalutazione di fatti già esaminati e delle ragioni espresse dalla pronunzia impugnata. Il Dott. G. ha proposto ricorso a queste Sezioni Unite avverso l’ordinanza sopra ricordata, affidato a due motivi. Il Ministro della Giustizia non si è costituito. Il Procuratore generale della Corte di Cassazione ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1, 3 bis, art. 4, lett. d , art. 25, comma 1, lett. b e comma 2, nonché dell’art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c , in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c . La sezione disciplinare avrebbe errato nel dichiarare l’inammissibilità dell’istanza di revisione poiché, dopo avere considerato giustamente come nuovi gli elementi addotti dal ricorrente a sostegno della domanda, avrebbe determinato la violazione del principio di offensività introdotto dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 269 del 2006, art. 2, poiché il ricorrente avrebbe potuto essere prosciolto dall’addebito quanto meno in ragione della scarsa rilevanza del fatto. La sezione disciplinare avrebbe tralasciato di considerare che l’illecito disciplinare resta escluso quando il fatto non risulti in concreto capace di ledere il bene giuridico a tutela del quale un determinato comportamento è stato in astratto considerato dal legislatore idoneo ad integrare l’illecito stesso. Secondo il ricorrente l’illecito contestatogli in sede disciplinare avrebbe richiesto siffatto accertamento, ciò risultando dall’art. 4, lett. d cit D’altra parte, la lesione in concreto dell’immagine e della credibilità del magistrato all’esterno era stata più volte riconosciuta dalla giurisprudenza della sezione disciplinare ed ha espressamente richiamato le sentenze disciplinari nn. 12/201337/2010. 2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto l’assenza di motivazione o la motivazione apparente, in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c , o in alternativa all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dell’ordinanza impugnata in ordine alla capacità dei nuovi elementi di prova offerti ad escludere l’idoneità a ledere l’immagine del magistrato dei fatti oggetto di contestazione disciplinare resa da questa Corte nn. 19/2013. 3. I motivi meritano un esame congiunto e sono in parte infondati e in parte inammissibili alla stregua delle considerazioni di seguito esposte. 4. Giova premettere che il D.Lgs. n. 106 del 2009, art. 25, comma 1, lett. b , dispone che è ammessa, in ogni tempo, la revisione delle sentenze divenute irrevocabili, con le quali è stata applicata una sanzione disciplinare, quando b sono sopravvenuti o si scoprono, dopo la decisione, nuovi elementi di prova, che, soli o uniti a quelli già esaminati nel procedimento disciplinare, dimostrano l’insussistenza dell’illecito . . 5. Queste Sezioni unite hanno già avuto modo di precisare che la revisione della sentenza disciplinare è ammissibile, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 25, in presenza di elementi nuovi rispetto a quelli già esaminati nella precedente pronuncia, tali da incidere su circostanze rilevanti e non marginali. Resta invece preclusa la mera rivalutazione di fatti già esaminati, nonché della fondatezza giuridica delle ragioni e delle conclusioni della precedente pronuncia v. anche, Cass., S.U., 17 febbraio 2009, n. 3760 , non potendosi, attraverso lo strumento della revisione, censurare i criteri logico-giuridici sui quali quella pronuncia, divenuta irrevocabile, si è basata Cass. 24/3/2014, n. 6826 Cass. Sez. Un. 20/7/2012, n. 12613, Cass. S.U. n. 11179/2018, Cass. S.U. n. 11179/2018 . 6. D’altra parte, va ribadito che la revisione della sentenza disciplinare del C.S.M. per effetto dei nuovi elementi di prova descritti dal D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 25, comma 1, lett. b , postula che il giudice adito si confronti necessariamente con il contenuto della statuizione impugnata per verificare se la sopravvenienza del fatto nuovo risulti rilevante alla stregua del quadro istruttorio e dell’impianto decisorio della stessa, altrimenti finendosi per consentire a quel giudice di rinnovare completamente le valutazioni ivi espresse e di rimettere in discussione, ben oltre i limiti sanciti dalla norma, una decisione ormai irrevocabile Cass. Sez. Un. 25/07/2016, n. 15288 . 7. Orbene, la censura che muove il ricorrente con entrambi i motivi intende contestare l’affermazione della sezione disciplinare che ha valutato l’irrilevanza di elementi documentati dal Dott. G. rispetto alla configurazione dell’illecito disciplinare allo stesso contestato fino ad escludere la sua punibilità, così escludendo di potere dare rilievo alla verifica circa le ripercussioni della condotta anzidetta nell’ambito lavorativo o comunque all’esterno dell’ambiente giudiziario. 8. Ora, risulta evidente che tale censura come esposta nel primo motivo e conseguentemente anche quella contenuta nel secondo motivo, laddove si contesta il vizio di omessa pronunzia è infondata, avendo la sezione disciplinare in sede di revisione correttamente valutato l’irrilevanza degli elementi dedotti dal Dott. G. al fine di escludere l’offensività della condotta allo stesso contestata. Correttamente, infatti, la sezione disciplinare ha valorizzato il fatto che l’assenza di ripercussioni nell’ambiente locale e nazionale di per sé non elide l’idoneità della condotta a ledere l’immagine del magistrato , in ciò attenendosi scrupolosamente - come già aveva fatto il giudice che irrogò la sanzione a carico del Dott. G. , alla lettera del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 4, comma 1, lett. d . Disposione che ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare contestato al Dott. G. richiede che il fatto sia idoneo a ledere l’immagine del magistrato . Del tutto infondatamente il ricorrente ha quindi prospettato la lesione del principio di offensività in cui sarebbe incorsa la sezione disciplinare, senza invece considerare che gli elementi nuovi dallo stesso addotto risultavano del tutto irrilevanti rispetto alla configurazione dell’illecito contestato, come si è visto per legge calibrato sulla mera idoneità della lesione del comportamento a ledere l’immagine del magistrato, come appunto ritenuto nella sentenza n. 9/2010 e dal giudice della revisione. 9. In definitiva, la sentenza che riconobbe la responsabilità disciplinare del Dott. G. giustificò tale conclusione sul presupposto della riconosciuta lesione dell’immagine del magistrato provocata dal lancio del cellulare con la contestuale espressione verbale indirizzata al Giudice dell’udienza preliminare e, dunque, della piena configurabilità dell’illecito in quanto idoneo a compromettere l’immagine ed il prestigio dell’istituzione giudiziaria dallo stesso rappresentata. 10. Per tali ragioni l’ordinanza qui impugnata è immune dal vizio prospettato laddove ha escluso che gli elementi sopravvenuti proposto dal Dott. G. , concernenti le ricadute prodotte all’esterno della condotta allo stesso contestata, potessero avere rilevanza ai fini del giudizio di revisione. 11. Nemmeno fondate risultano le censure concernenti il vizio di motivazione che non può ritenersi sussistente proprio in relazione all’esaustiva rappresentazione delle ragioni che hanno indotto la sezione disciplinare a considerare non rilevanti gli elementi indicati dal Dott. G. a sostegno dell’istanza di revisione. 11. Nè può, infine, trovare accesso in questa sede la questione relativa alla eventuale incidenza degli elementi esposti a sostegno dell’istanza di revisione sulla non scarsa rilevanza del fatto ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3 bis, questione che non risulta essere stata prospettata innanzi alla sezione disciplinare in sede di revisione e che, conseguentemente, non può essere per la prima volta azionata innanzi a queste Sezioni Unite in sede di impugnazione della ordinanza che ha dichiarato inammissibile l’istanza di revisione. 13. Sulla base di tali considerazioni il ricorso va rigettato. 14. Nulla sulle spese. P.Q.M. Rigetta il ricorso.