Disoccupazione in patria e protezione in Italia

Plausibile la richiesta avanzata da un cittadino del Bangladesh. Decisiva la constatazione che egli è scappato dal proprio Paese, caratterizzato da povertà e scarse occasioni di lavoro, per cercare un impiego in Italia, così da sostenere l’intera famiglia e pagare le cure per il padre malato.

Protezione possibile per lo straniero che scappa dalla povertà e dalla disoccupazione e in Italia ha trovato un lavoro e così la possibilità di provvedere alla propria e di sostenere le spese mediche per la cura del padre . Cassazione, ordinanza n. 25547/20, sez. III civile, depositata il 12 novembre . Riflettori puntati sulla vicenda di un cittadino del Bangladesh, che, appena approdato in Italia, chiede protezione. Dalla Commissione territoriale prima e dai giudici di merito poi arriva però una risposta negativa. L’uomo spiega di essere fuggito dal Bangladesh nel 2013 per necessità riconducibili al bisogno di sostenere economicamente la famiglia, e in particolare le cure mediche per il padre malato, in una zona in cui la povertà è molto diffusa e non permette opportunità lavorative significative . Per i giudici di merito, però, l’uomo, arrivato in Italia nel 2015, è catalogabile come migrante economico , e quindi non ci sono le condizioni per il riconoscimento della protezione . Lo straniero decide però di portare la propria vicenda alla valutazione dei giudici della Cassazione. E tramite il proprio legale ribadisce la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria . L’uomo pone in evidenza le condizioni di povertà del Bangladesh e le difficoltà a reperire un posto di lavoro ed esse lo porrebbero in una condizione di vulnerabilità, in caso di rientro in patria, non potendo avere quelle condizioni di dignità che ha ora in Italia , dove è riuscito anche ad ottenere un contratto di lavoro in una pizzeria. Dalla Cassazione ricordano innanzitutto che per la protezione umanitaria si deve far riferimento alla vulnerabilità e a un giudizio comparativo che deve essere fatto in concreto, non in astratto, effettuando il bilanciamento tra l’integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine dello straniero, correlata alla condizione personale che ne ha determinato la partenza, così da accertare la situazione di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l’allontanamento . Fondamentale, quindi, una comparazione che debba tener conto della situazione oggettiva del soggetto e in particolare del suo inserimento sociale in Italia , e ciò significa che non si può non considerare che nel caso di rimpatrio il soggetto si vedrebbe immerso in un contesto sociale in cui vedrebbe compromessi i suoi diritti fondamentali . E, viene aggiunto, la vulnerabilità ricomprende anche la lesione del diritto alla salute , e, partendo da una interpretazione estensiva della protezione umanitaria , si ritiene che questo diritto debba essere salvaguardato non solo quando riguardi strettamente lo straniero ma anche un proprio familiare , come in questa vicenda, poiché il cittadino del Bangladesh ha bisogno di sostegno economico per le cure del padre , rilevano dalla Cassazione. Erronea, quindi, la valutazione compiuta in secondo grado, poiché lo straniero si è allontanato dal proprio Paese per l’impossibilità di trovare un lavoro a causa delle scarse possibilità offerte dalla zona, caratterizzata da condizioni di estrema povertà ed è approdato in Italia per cercare un impiego per sostenere l’intera famiglia e pagare le cure per il padre malato . Possibile , quindi, il riconoscimento della protezione – su questo punto, comunque, dovrà nuovamente pronunciarsi la Corte d’Appello –, tenendo presente la necessità di una valutazione comparativa della situazione soggettiva dello straniero con riferimento al Paese di origine in raffronto all’integrazione raggiunta in Italia dove egli ha un contratto in una pizzeria , e concludono dalla Cassazione, non potendosi negare una sproporzione tra la condizione raggiunta in Italia e quella che lo straniero avrebbe se tornasse nel Paese d’origine .

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 23 luglio – 12 novembre 2020, n. 25547 Presidente Travaglino – Relatore Pellecchia Fatto e Diritto Rilevato che 1. Ja. Am., cittadino del Bangladesh, chiese alla competente commissione territoriale il riconoscimento della protezione internazionale, domandando a in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato, ex art. 7 e ss. D.Lgs. 19.11.2007 n. 251 b in via subordinata, il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui all'art. 14 D.Lgs. 19.11.2007 n. 251 c in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5, comma 6, D.Lgs. 25.7.1998 n. 286 nel testo applicabile ratione temporis . 2. A fondamento della sua istanza dedusse di essere fuggito dal Bangladesh nel 2013 per necessità riconducibili al bisogno di sostenere economicamente la famiglia, e in particolare le cure mediche del padre malato, in una zona in cui la povertà è molto diffusa e non permette opportunità lavorative significative. Dopo esser giunto in Libia, il richiedente asilo giunse in Italia nel 2015 dove propose immediatamente richiesta di protezione internazionale. La Commissione Territoriale rigettò l'istanza. Avverso tale provvedimento Ja. Am. propose ricorso ex art. artt. 35 D.Lgs. n. 28.01.2008 n. 25 e 19 D.Lgs. 1.09.2011 n. 150 dinanzi il Tribunale di Milano, che con ordinanza del 12 luglio 2017, rigettò il reclamo. Il Tribunale ritenne trattandosi di migrante economico, come da lui stesso dichiarato, non ravvisarsi le condizioni per il riconoscimento di nessuna forma di protezione richiesta. 3. Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 1143 del 2019 del 15 marzo 2019. 4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da Ja. Arnm con ricorso fondato su un unico motivo. Il Ministero dell'Interno non si è difeso. Considerato che 5.1 Con l'unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 5, comma 6 e 19, comma 1, D.Lgs. 286/1998, nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte con il D.L. n. 113 del 2019, con riferimento alla domanda di riconoscimento di protezione umanitaria. In particolare le condizioni di povertà del Bangladesh e le difficoltà a reperire un posto di lavoro, renderebbero il ricorrente, nel caso di rientro, in una condizione di vulnerabilità, non potendo avere quelle stesse condizioni di dignità che avrebbe ora in Italia. Il motivo è fondato. Il giudice d'appello ha negato il riconoscimento della protezione umanitaria ritenendo che nel Bangladesh non sussiste una situazione di violenza indiscriminata nei confronti dei cittadini e ritenendo assente qualsiasi condizione di vulnerabilità o rischio di discriminazione per il ricorrente nel caso di rientro in patria. Ma, in realtà, questa Corte con la sentenza n. 4455 del 2018 ha affermato come rispetto alla protezione umanitaria si debba far riferimento alla vulnerabilità e a un giudizio comparativo che deve essere fatto in concreto, non in astratto. La protezione può essere accertata anche effettuando il bilanciamento tra l'integrazione sociale acquisita in Italia e la situazione oggettiva del Paese di origine del richiedente, correlata alla condizione personale che ne ha determinato la partenza, così da accertare la condizione personale di effettiva deprivazione dei diritti umani che abbia giustificato l'allontanamento. Ancora, è necessario premettere che il permesso per motivi umanitari è una misura atipica che può esser riconosciuta per motivi diversi rispetto a quelli che consentono la protezione sussidiaria e lo statu di rifugiato, per cui si potrà concedere tale forma di protezione quando ci siano situazioni meritevoli di tutela per salvaguardare i diritti umani ex art. 2 Costituzione. E fondamentale in tal senso una comparazione che debba tener conto della situazione oggettiva del soggetto e in particolare del suo inserimento sociale in Italia, per cui non si può non considerare che nel caso di rimpatrio, il soggetto si vedrebbe immerso in un contesto sociale in cui vedrebbe compromessi i suoi diritti fondamentali. Si ricorda inoltre che la vulnerabilità ricomprende anche la lesione del diritto alla salute, e, partendo da una interpretazione estensiva della protezione umanitaria, si ritiene che questo diritto debba essere salvaguardato non solo quando riguardi strettamente il richiedente ma anche un proprio familiare, come nel caso di specie, in cui il richiedente ha bisogno di sostegno economico per le cure del padre. Nel caso di specie Am. si è allontanato dal proprio paese per l'impossibilità di trovare un lavoro a causa delle scarse possibilità che la zona offre, caratterizzata da condizioni di estrema povertà, per cercare un impiego per sostenere l'intera famiglia e le cure del padre malato. Si ritiene quindi che il giudice di merito non abbia tenuto adeguatamente tenuto conto di quel giudizio controfattuale così come richiesto nella sentenza SS.UU n. 29459 del 2019 secondo cui ai fini del riconoscimento della protezione occorre operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine in raffronto all'integrazione raggiunta in Italia, dove il richiedente ha un contratto in una pizzeria, non potendosi negare una sproporzione tra la condizione raggiunta dal richiedente e quella che avrebbe se tornasse nel paese d'origine. 6. Pertanto la Corte accoglie il ricorso cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione. P.Q.M. la Corte accoglie il ricorso cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione.