Preleva senza autorizzazione benzina aziendale: legittimo il licenziamento

Respinte le obiezioni proposte dal lavoratore. Impossibile, secondo i Giudici, ridimensionare l’episodio contestatogli dall’azienda. Confermata anche la sua condanna a pagare le spese processuali irrilevante il richiamo al suo stato di disoccupazione.

Licenziamento in tronco per il dipendente che preleva senza autorizzazione alcuni litri di benzina di proprietà dell’azienda. Evidente per i Giudici la gravità del comportamento tenuto dal lavoratore, comportamento che ha violato i parametri di sicurezza vigenti nello stabilimento e ha causato la rottura irrimediabile del rapporto di fiducia col datore di lavoro. Confermata anche la sua condanna a sobbarcarsi le spese processuali irrilevante, su questo fronte, il richiamo alle precarie condizioni economiche, testimoniate dallo stato di disoccupazione Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 21591, depositata oggi . Concordi i Giudici di merito nel leggere l’episodio incriminato, che ha coinvolto un dipendente di una raffineria. A loro parere è legittimo il licenziamento senza preavviso deciso dalla società datrice di lavoro, e ufficializzato all’esito di un procedimento disciplinare originato dalla condotta tenuta dal dipendente, che ha sottratto alcuni decine di litri di benzina aziendale, così violando la normativa di sicurezza e compromettendo definitivamente la fiducia del datore di lavoro . Col ricorso in Cassazione, però, il lavoratore a rischio prova a ridimensionare i fatti, parlando di condotta priva di gravità e richiamando una pregressa tolleranza aziendale verso i rifornimenti di vetture aziendali . Inoltre, egli sostiene che è stato trascurato un dettaglio importante, cioè che doveva utilizzare la benzina per pulire un compressore e dei tubi donatigli dall’azienda stessa . Per mettere ulteriormente in discussione il licenziamento, poi, egli osserva che il contratto prevede la sanzione per l’asportazione di materiale dell’azienda mentre, in questo caso, la benzina, pur appresa, non è mai uscita dalla disponibilità aziendale . In ultima battuta, poi, il lavoratore ritiene anche eccessiva la condanna al pagamento delle spese, soprattutto tenendo presenti, osserva, la lunghezza del giudizio l’enorme differenza economica tra le parti e il suo stato di disoccupazione . Per i Giudici della Cassazione, però, le obiezioni proposte dal legale del lavoratore sono assolutamente inefficaci . In nessun modo, difatti, è messo in discussione il giudizio tracciato in secondo grado, laddove i fatti sono stati correttamente catalogati come giusta causa di recesso del rapporto di lavoro, viste la violazione della normativa di sicurezza e l’incidenza in modo immediato e diretto sul vincolo fiduciario del rapporto di lavoro . Impossibile, quindi, checché ne dica il lavoratore, sostenere che il licenziamento adottato dalla società sia stato un provvedimento eccessivo, una volta appurata l’asportazione di materiale aziendale . Per chiudere il cerchio, infine, dalla Cassazione confermano anche la condanna del lavoratore al pagamento delle spese processuali. Corretta e non contestabile, viene chiarito, l’applicazione del criterio legale della soccombenza , non essendovi ragioni per derogarvi , sanciscono i magistrati, respingendo i richiami difensivi alle posizioni economiche delle parti in causa.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 febbraio – 7 ottobre 2020, n. 21591 Presidente Di Cerbo – Relatore Buffa Fatti di causa 1. Con sentenza del 26.9.18, la Corte d'appello di Messina ha rigettato il reclamo ai sensi dell'art. 1 della legge n. 92/2012 presentato avverso la sentenza del tribunale di Barcellona P.G., che aveva rigettato l'opposizione del lavoratore Tr. all'ordinanza del 21.1.14 di rigetto del ricorso presentato contro il licenziamento senza preavviso intimatogli dal datore di lavoro in data 3.8.12. 2. In particolare, la corte territoriale ha preso atto che il licenziamento era stato comminato, all'esito di procedimento disciplinare, per avere il lavoratore sottratto alcuni decine di litri di benzina aziendali, così violando la normativa di sicurezza e compromettendo definitivamente la fiducia del datore di lavoro. 3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il lavoratore per quattro motivi, cui resiste con controricorso il datore di lavoro. Motivi della decisione 4. Con il primo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 2106 e 2119 c.c., in relazione agli artt. 2969 e 5 L. 604/66 e 18 stat. Lav., per avere la sentenza impugnata ritenuto giusta causa di recesso una condotta priva di gravità, trascurando altresì la pregressa tolleranza aziendale verso rifornimenti di vetture aziendali. 5. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 c.c. in relazione agli artt. 2106 e 2119 c.c. e 18 stat. Lav., nonché -ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, per avere la sentenza trascurato che il lavoratore doveva utilizzare la benzina per pulire un compressore e dei tubi donatigli dall'azienda medesima. 6. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 55 co. 4 c.c.n.l. Energia e petrolio del 30.3.06, in relazione all'art. 18 stat. Lav., per avere la sentenza trascurato che il contratto prevede la sanzione per l'asportazione di materiale dell'azienda, nella specie non ricorrente, in quanto la benzina, pur appresa, non era mai uscita dalla disponibilità aziendale. Il ricorrente deduce ancora ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per omessa pronuncia, per aver ritenuto assorbita la questione ora detta. 7. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta ai sensi dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. violazione e falsa applicazione dell'art. 92 c.p.c., per aver la sentenza condannato il lavoro alle spese senza tener conto dell'enorme differenza economica delle parti, della disoccupazione del lavoratore e della lunghezza del giudizio. 8. Con i primi tre motivi di ricorso il ricorrente, che già in appello aveva richiesto solo una diversa ricostruzione del fatto, ritenuta dalla corte territoriale inattendibile, insiste nelle medesime censure, inammissibili in sede di legittimità. Invero, nessuna delle violazioni di legge denunciate dal ricorrente sussiste, mentre il ricorrente tende solo ad ottenere una diversa ricostruzione fattuale degli accadimenti al fine di dimostrare la sproporzione del licenziamento. La corte territoriale ha configurato i fatti come giusta causa di recesso in ragione della violazione della normativa di sicurezza e dell'incidenza in modo immediato e diretto sul vincolo fiduciario del rapporto di lavoro. 9. Ora, l'accertamento della concreta ricorrenza nel rapporto di lavoro di elementi fattuali che sono atti ad integrare la giusta causa di licenziamento si pone sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito ed incensurabile in cassazione Cass. Sez. L, Sentenza n. 7426 del 26/03/2018, Rv. 647669 01 Sez. L, Sentenza n. 25144 del 13/12/2010, Rv. 615742 01 . 10. In tale contesto, anche il motivo secondo con il quale si lamenta l'omesso esame ex art. 360 n. 5 è inammissibile, sia perché precluso dalla doppia conformità delle pronunce di merito, sia perché è del tutto indimostrata l'asserita decisività del fatto non considerato, tanto più che la corte -esaminanda tutti i fatti dedotti ha poi basato la propria decisione su fatti diversi non censurati. 11. Non sussiste poi il vizio di violazione di legge dedotto con il terzo motivo, con il quale il ricorrente non lamenta l'errata applicazione della previsione sul licenziamento, ma cerca di ottenere una diversa ricostruzione e qualificazione della condotta ascritta, in modo da ricondurla a fattispecie sanzionatoria meno grave. 12. Non sussiste neppure il vizio di omessa pronuncia, in quanto la sentenza non ha omesso di pronunciare sulla verificazione di asportazione di materiale aziendale, e sulla sua riconducibilità alla norma contrattuale, così come affermato in modo conforme nei diversi gradi di merito, ma ha solo diversamente qualificato i fatti rilevanti, ritenendoli idonei ad integrare una giusta causa di recesso con motivazione che il ricorrente non censura . 13. Il quarto motivo è infondato, avendo la corte applicato il criterio legale della soccombenza e ritenuto correttamente non esservi motivi per derogarvi. 14. La sentenza impugnata è dunque immune da tutti i vizi denunciati. 15. Per quanto detto il ricorso deve essere rigettato. 16. Le spese seguono la soccombenza. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell'art. 13 del D.P.R. n. 115 del 2002. P.Q.M. Rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 4500 per competenze professionali, oltre Euro 200 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%. Ai sensi dell'art. 13, co. 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.