Matrimonio forzato in patria, lei fugge in Italia: protezione possibile

Riprende vigore la richiesta presentata da una cittadina dello Sri Lanka. Ella ha raccontato di essere scappata dal proprio Paese di origine per evitare le nozze impostele dalla famiglia con un uomo che lei non vuole sposare.

Protezione umanitaria in Italia per la straniera che è fuggita dal proprio Paese di origine per evitare il matrimonio impostole dalla famiglia. Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 21437, depositata il 6 ottobre . Riflettori puntati sulla delicata vicenda riguardante una cittadina straniera, originaria dello Sri Lanka, che è approdata in Italia e ha chiesto protezione , spiegando di essersi allontanata dal Paese d’origine per sottrarsi alle minacce di un uomo di 60 anni, che era stato scelto dalla sua famiglia quale futuro marito, a seguito del rifiuto da lei manifestato all’idea di sposarlo. Per i Giudici del Tribunale, però, non ci sono i presupposti per riconoscere la protezione internazionale o la protezione umanitaria. Ciò perché le sue dichiarazioni sono state ritenute non credibili , da un lato, ed è impossibile, secondo i Giudici, ipotizzare il pericolo per la donna di essere esposta a grave danno in caso di ritorno in patria , dall’altro. Infine, secondo i Giudici, la straniera non è neanche meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale . Col ricorso in Cassazione la cittadina dello Sri Lanka ribadisce la propria richiesta di protezione in Italia, ponendo in evidenza il tema dei matrimoni forzati e quello della discriminazione del genere femminile in patria. In particolare, ella sostiene che sia stato commesso un evidente errore in Tribunale, laddove ci si è soffermati, rileva, solo sul profilo della inesistenza di un pericolo grave ed imminente per la sua vita ed incolumità fisica , ignorando, invece, l’aspetto della compromissione del suo diritto all’autodeterminazione nella sfera privatissima degli affetti e della vita matrimoniale . Ampliando l’orizzonte, poi, la stessa ricorda anche che pure un soggetto privato non statuale può essere responsabile della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato o le altre entità che hanno il controllo del territorio non possano o non vogliano fornire protezione e precisa poi che nella vicenda che l’ha riguardata le minacce del pretendente sposo e della propria famiglia al fine di indurla a contrarre forzosamente matrimonio rientrano nella fattispecie del danno grave causato da trattamento inumano e degradante, rilevante ai fini della concessione della protezione umanitaria . Per i Giudici della Cassazione le obiezioni proposte dalla ricorrente hanno un solido fondamento, poiché in tema di protezione sussidiaria si è già statuito in passato che la costrizione ad un matrimonio non voluto costituisce grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave , la cui minaccia, ai fini del riconoscimento della protezione, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato, allorché le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte consistente non possano o non vogliano fornire tutela adeguata . E in questa ottica proprio perché il danno grave può provenire da privati in caso di inerzia delle autorità è necessario effettuare una verifica officiosa sulla situazione del Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali . In questo caso, invece, il Tribunale ha concentrato ogni indagine sul pericolo della incolumità fisica della straniera, ritenendo non credibile il suo racconto solo sotto questo specifico profilo, ma non ponendo in discussione , osservano i Giudici della Cassazione, che i genitori della donna intendessero costringerla ad un matrimonio con un uomo molto più anziano, prescindendo da ogni sua volontà, consapevoli di comprimerne la libertà di autodeterminazione in campo affettivo e matrimoniale . Evidente, quindi, l’errore compiuto in Tribunale, poiché non è stato esaminato l’aspetto fondamentale che costringere una donna ad un matrimonio forzato vuol dire calpestarne la dignità e sottoporla ad un trattamento degradante , e ciò, chiariscono i Giudici del Palazzaccio, è sufficiente per la concessione della protezione umanitaria . Necessario perciò un nuovo giudizio in Tribunale, laddove, tenendo conto dell’indicazione data dalla Cassazione, bisognerà approfondire se il matrimonio forzato delle giovani donne sia o meno una pratica avallata o quantomeno tollerata dalle autorità pubbliche dello Sri Lanka e verificare poi l’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle medesime autorità da parte della donna. Solo così sarà possibile dare una risposta alla richiesta di protezione presentata dalla cittadina dello Sri Lanka.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 30 giugno – 6 ottobre 2020, n. 21437 Presidente San Giorgio – Relatore Fidanzia Fatti di causa Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 30.1.2019, ha rigettato la domanda di Di. Ga. Am. Te., cittadina dello Sri Lanka, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria. E' stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero in capo alla ricorrente i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, essendo le sue dichiarazioni state ritenute non credibili la ricorrente aveva riferito di essersi allontanata dal paese d'origine per sottrarsi alle minacce di un uomo di sessantanni, che era stato scelto dalla sua famiglia quale futuro marito, a seguito del rifiuto dalla stessa manifestato di sposarlo . Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il giudice di merito ha evidenziato l'insussistenza del pericolo per la ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel suo paese di provenienza. Infine, la ricorrente non è stata comunque ritenuta, meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale. Ha proposto ricorso per cassazione Di. Ga. Am. Te. affidandolo a cinque motivi. Il Ministero dell'Interno si è costituito tardivamente ai soli fini di un'eventuale partecipazione all'udienza di discussione. Ragioni della decisione 1. La ricorrente ha preliminarmente sollevato l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 35 bis comma 13 del D.Lgs. 28 gennaio 2008, come modificato dall'art. 6 del D.L. n. 13/2017, in relazione agli artt. 3 e 113 Cost. per la soppressione come mezzo di impugnazione dell'appello e in relazione all'art. 77 Cost per difetto dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza. 2. La sollevata questione di legittimità Costituzionale è infondata sotto entrambi i profili. Quanto alla soppressione del grado d'appello, va osservato che questa Corte, con ordinanza n. 27700 del 30/10/2018 conf. ord. n. 28119 del 05/11/2018 , la cui esaustiva motivazione deve essere richiamata integralmente, ha già statuito che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 35 bis, comma 13, D.Lgs. n. 25 del 2008, per violazione degli artt. 3, comma 1, e 11 Cost. sul rilievo che è necessario soddisfare esigenze di celerità, non esiste copertura costituzionale del principio del doppio grado ed il procedimento giurisdizionale è preceduto da una fase amministrativa che si svolge davanti alle commissioni territoriali deputate ad acquisire, attraverso il colloquio con l'istante, l'elemento istruttorio centrale ai fini della valutazione della domanda di protezione. Quanto al dedotto difetto dei requisiti della necessità ed urgenza, questa Corte ha già statuito è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 21, comma 1, del D.L. n. 13 del 2017, conv. con modifiche in legge n. 46 del 2017, poiché la disposizione transitoria - che differisce di 180 giorni dall'emanazione del decreto l'entrata in vigore del nuovo rito - è connaturata all'esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale per consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime. Sez. 1 - , Sentenza n. 17717 del 05/07/2018, Rv. 649521 - 01 . 3. Con il primo motivo ed il secondo motivo, illustrati dalla ricorrente unitariamente, è stata rispettivamente censurata la violazione dell'art. 132 n. 4 cod. proc. civ. in relazione all'art. 360 n. 4 cod. proc. civ. nonché la violazione degli artt. 3 D.Lgs. n. 251/07 e 8. comma 3. e 27 comma 1% bis D.Lgs. n. 25/2008. Lamenta, la ricorrente, in primo luogo, la natura meramente apparente della motivazione con cui il Tribunale di Venezia ha valutato il suo racconto non credibile, limitandosi a definirlo generico e lacunoso senza fornire una spiegazione logica. Inoltre, lamenta che il giudice di merito non si è attivato ad acquisire informazioni, venendo quindi meno al suo dovere di cooperazione, in ordine al tema dei matrimoni forzati e la discriminazione del genere femminile in Sri Lanka. 4. Con il terzo ed il quarto motivo, parimenti illustrati unitariamente, è stata rispettivamente dedotta la violazione dell'art. 360, n. 5,cod. proc. civ. per omesso di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti il matrimonio forzato combinato della ricorrente e l'erronea applicazione dell'art. 14 lett b D.Lgs. n. 251/07. Lamenta la ricorrente che il giudice di merito ha valutato la vicenda dalla stessa raccontata solo sotto il profilo dell'inesistenza di un pericolo grave ed imminente per la sua vita ed incolumità fisica, senza soffermarsi sull'aspetto della compromissione del suo diritto all'autodeterminazione nella sfera privatissima degli affetti e della vita matrimoniale, e ignorando quindi che la questione del matrimonio forzato fosse stata rappresentata sin dalla fase amministrativa ed espressamente indicata come causa petendi nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. Evidenzia, inoltre, che, premesso che anche un soggetto privato non statuale, a norma dell'art. 5,lett c D.Lgs. n. 251/07, può essere responsabile della persecuzione o del danno grave, ove lo Stato o le altre entità che hanno il controllo del territorio non possono o non vogliano fornire protezione, nel caso in esame, le minacce del pretendente sposo e della propria famiglia al fine di indurla a contrarre forzosamente matrimonio, rientrano nella fattispecie del danno grave causato da trattamento inumano e degradante, rilevante ai fini della concessione della protezione sussidiaria ex art. 14 lett b , D.Lgs. n. 251/07. 4. Il primo motivo, il quale, benché illustrato unitariamente al secondo, appare meritevole di una separata trattazione avendo ad oggetto la violazione di una norma processuale, è inammissibile. Va, in primo luogo, osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, ex art. 3, comma. 5, lettera c del D.Lgs. n. 251 del 2007. Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l'ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito Cass. n. 3340 del 05/02/2019 . Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale soddisfa il requisito del minimo costituzionale , secondo i principi di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 8053/2014 , essendo state indicate in modo dettagliato le ragioni per le quali la richiedente non è stata ritenuta credibile sotto il profilo del pericolo per la propria incolumità fisica contraddittorietà tra le dichiarazioni rese innanzi alla Commissione Territoriale e quelle rese nel giudizio con riferimento alla indicazione della persona che la avrebbe minacciata, circostanza che la ricorrente, nel periodo in cui si era rifugiata da un'amica, aveva comunque continuato a lavorare nello stesso posto, ben conosciuto dal pretendente, il quale era stato messo in condizione di non nuocere semplicemente non facendolo entrare nei locali in cui si trovava la richiedente . La ricorrente si è limitata a contestare nel merito i summenzionati rilievi del giudice di merito, invocando la verosimiglianza dei suo racconto, senza neppure allegare la eventuale grave anomalia motivazionale del decreto impugnato, come detto, unico vizio attualmente censurabile in Cassazione. 5. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono fondati. Va preliminarmente osservato che, in tema di protezione sussidiaria, questa Corte ha già statuito che la costrizione ad un matrimonio non voluto costituisce grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento di tale misura, può provenire anche da soggetti diversi dallo Stato, allorché le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte consistente non possano o non vogliano fornire protezione adeguata Cass. n. 25873 del 18/11/2013 . Questa Corte ha, altresì, statuito che, proprio perché il danno grave può provenire da privati in caso di inerzia delle autorità, è dovere del giudice effettuare una verifica officiosa sull'attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull'eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. Cass. n. 25463 del 12/12/2016 . Nel caso di specie, il Tribunale di Venezia ha concentrato ogni indagine sul pericolo della incolumità fisica della ricorrente, ritenendo non credibile il suo racconto solo sotto questo specifico profilo, ma non ponendo in discussione che i genitori della richiedente intendessero costringere la propria figlia ad un matrimonio con un uomo molto più anziano, prescindendo da ogni volontà medesima, consapevoli di comprimerne la libertà di autodeterminazione in campo affettivo e matrimoniale. In sostanza, il giudice di merito non ha esaminato l'aspetto che costringere una donna ad un matrimonio forzato vuol dire calpestarne la dignità e sottoporla ad un trattamento degradante, di talché ove vi sia un fondato timore in ordine a tale profilo, è configurabile la fattispecie di cui all'art. 14 lett b legge cit. che dà diritto alla concessione della protezione sussidiaria. Il Tribunale di Venezia è conseguentemente venuto meno al proprio dovere di cooperazione istruttoria, non approfondendo se il matrimonio forzato delle giovani donne sia o meno una pratica avallata o quantomeno tollerata dalle Autorità Pubbliche dello Sri Lanka, e non verificando quindi l'eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle medesime Autorità. Ne consegue che il decreto impugnato va cassato con rinvio al Tribunale di Venezia, in diversa composizione per nuovo esame. 6. Il quinto motivo, avente oggetto la richiesta di protezione umanitaria, è assorbito. P.Q.M. Accoglie il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, inammissibile il primo ed assorbito il quinto, cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, per nuovo esame.