Conversione religiosa e fuga: la repressione in patria non può rendere meno credibile il racconto della straniera

Nuove speranze per una donna originaria della Cina. Censurata dalla Cassazione la decisione con cui il Tribunale le ha negato protezione. Per i giudici di merito era poco credibile il racconto della donna alla luce della modalità della sua conversione al cristianesimo e tenendo presente il contesto repressivo in patria.

Protezione possibile per la donna che scappa dalla Cina per evitare possibili persecuzioni religiose dopo essersi convertita al cristianesimo. Poco sensato, secondo i giudici della Cassazione, pensare di poter mettere in discussione il racconto fatto dalla donna solo alla luce della sua conoscenza dei riti della nuova fede da lei abbracciata, da un lato, e del contesto repressivo del Paese di origine, dall’altro. Cassazione, ordinanza n. 15219, sezione prima civile, depositata il 16 luglio 2020 A respingere la richiesta di protezione presentata da una donna originaria della Cina sono prima i componenti della ‘Commissione territoriale’ e poi i giudici del Tribunale in entrambi i casi viene ritenuta non credibile la sua storia , centrata su una conversione religiosa e sui connessi possibili rischi persecutori frutto della situazione vissuta in patria. Per la cittadina cinese però la battaglia merita di essere combattuta fino in fondo, ed ecco spiegato il ricorso in Cassazione, centrato sui dettagli della propria vicenda personale. Ella ha dichiarato subito di aver aderito alla chiesa di Yin Xin Chien Yi e di essere scappata dal proprio Paese per evitare persecuzioni . Per i giudici del Tribunale, però, questo racconto non è credibile, proprio per il contesto di generale repressione, per il fenomeno religioso e per le cosiddette ‘chiese domestiche’ in particolare, esistente in Cina . I giudici aggiungono poi che non è credibile il motivo della conversione, poiché la donna lo aveva individuato in una mancata assegnazione di una certa posizione lavorativa ed aveva descritto in modo superficiale il suo percorso di avvicinamento alla chiesa . E, in particolare, viene osservato che una scelta tanto significativa e così pericolosa – visto il trattamento praticato dalle autorità cinesi nei confronti di quanti aderiscono alle ‘house churches’ – è stata dalla richiedente protezione ricollegata alla mancata assegnazione di una desiderata posizione lavorativa in conseguenza di brutte parole” dette da un collega , e ciò, peraltro, nonostante la titolarità di una buona posizione lavorativa e di una retribuzione tale da consentire l’acquisto di un’abitazione . Per i giudici della Cassazione, però, la decisione del Tribunale è censurabile, poiché ha finito per sindacare la serietà della scelta religiosa dell’individuo, senza tener conto che simile apprezzamento non è certamente devoluto all’autorità giudiziaria di uno Stato laico . In prima battuta, i magistrati osservano che non è condivisibile il passaggio logico con cui il Tribunale valorizza i pericoli connessi alla scelta religiosa della richiedente protezione, affermando che proprio alla luce della loro esistenza non sarebbe credibile il suo percorso di avvicinamento alla religione . Al contrario, una volta verificata la sussistenza di una condizione di pericolo per gli adepti di una determinata professione religiosa, è su questo fatto, e non sulla serietà delle convinzioni individuali dei fedeli, che va incentrato il sindacato del giudice di merito , sottolineano dalla Cassazione. Invece, nella decisione del Tribunale viene messo nero su bianco che lo stesso percorso della conversione risulta descritto in modo superficiale. Ciò a dirsi, ad esempio, con riferimento all’avvicinamento da parte della vicina di casa che, per prima, noncurante dei pericoli derivanti dall’attività di proselitismo, le avrebbe pur in assenza di un motivo, salvo il cattivo umore della richiedente parlato della nuova religione e dei riferiti motivi di adesione alle parole della Bibbia. Parimenti inverosimile risulta il fatto che, dopo la lettura della Bibbia, la straniera si sarebbe addirittura scusata con quegli stessi colleghi che, pure, tanto male le avrebbero procurato . Così facendo, però, osservano dalla Cassazione, il giudice di merito ha creduto di poter estendere il proprio sindacato sino alla valutazione della serietà della scelta di fede della richiedente, con ciò travalicando i limiti esterni della giurisdizione, che deve concernere fatti, e non convinzioni personali . Inoltre, il giudice di merito ha affermato che la presenza di un contesto di pericolo per l’attività di proselitismo, a causa della repressione esistente in Cina, renderebbe difficilmente credibile che la vicina di casa della straniera avrebbe svolto proselitismo nei confronti di quest’ultima, convincendola ad avvicinarsi alla fede , ma tale ragionamento , osservano dalla Cassazione, innesta un vero e proprio corto-circuito logico-giuridico, secondo cui in presenza di una condizione di compressione delle libertà fondamentali dell’individuo non sarebbe credibile che si possano adottare condotte di reazione rispetto a tale ingiustizia . Infine, non condivisibile è l’affermazione finale, secondo cui non sarebbe credibile che dopo essersi accostata alla nuova fede la straniera avrebbe chiesto scusa ai colleghi che le avrebbero fatto del male anche in questo passaggio, infatti, il giudice di merito finisce per sindacare la scelta religiosa della persona e per valorizzare, in senso negativo per la credibilità della storia personale, una condotta di perdono che, peraltro, costituisce uno dei cardini della religione cristiana, nelle sue varie articolazioni , osservano dalla Cassazione. Evidente l’errore compiuto dal Tribunale che, spiegano i giudici della Cassazione, non ha valorizzato i fatti salienti della storia personale della richiedente, ma la profondità e serietà della sua scelta religiosa e ha invece valutato il contesto di pericolo legato alla repressione del fenomeno religioso esistente in Cina non già in senso favorevole per la credibilità della storia, ma piuttosto in senso contrario, dando rilievo al fatto che, in presenza di una situazione di rischio, non sarebbe credibile che singoli consociati comunque scelgano di resistere, professando liberamente la loro fede e svolgendo proselitismo . E su quest’ultimo passaggio i giudici della Cassazione si soffermano, rilevando l’illogicità intrinseca del ragionamento, la cui conseguenza ultima è la negazione del diritto di resistere ad una condizione di oggettiva ingiustizia . Necessario, quindi, un nuovo giudizio in Tribunale, che, almeno alla luce delle considerazioni compiute dai magistrati del ‘Palazzaccio’, pare ricco di speranze per la cittadina originaria della Cina. Per spazzare via ogni dubbio, comunque, dalla Cassazione fissano anche un principio di diritto , applicabile innanzitutto a questa vicenda in considerazione del carattere di laicità dello Stato italiano , il sindacato sul percorso individuale che la persona abbia seguito per abbracciare un determinato credo religioso e sul livello di conoscenza dei relativi riti non rientra nell’ambito della valutazione di merito devoluta al giudice ordinario ai fini dell’apprezzamento della credibilità della storia riferita dal richiedente la protezione, internazionale o umanitaria. Né, in un contesto di ravvisata discriminazione religiosa, nel Paese di origine, ai danni degli adepti di una determinata fede, può esser dato rilievo, ai fini di escludere l’attendibilità della storia personale riferita dal richiedente la protezione, al fatto che costui abbia comunque scelto di professare il suo credo o di fare proselitismo, posto che tali attività rientrano nell’ambito della libera esplicazione della personalità umana .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 26 giugno – 16 luglio 2020, numero 15219 Presidente Tria – Relatore Oliva Fatti di causa La Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Milano respingeva l'istanza della ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dalla richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell'invocata tutela. Il Tribunale di Milano, con il decreto impugnato, respingeva il ricorso avverso detto provvedimento reiettivo. Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto FA. Pi. affidandosi a sei motivi. Il Ministero dell'interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. Ragioni della decisione Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli articolo 8 e 35-bis del D.Lgs. numero 25/08, 16 e 46 della Direttiva 2013/32/UE del 26.6.2013, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. perché il Tribunale avrebbe disatteso l'istanza di audizione personale, nonostante l'indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi innanzi la Commissione territoriale. La censura è infondata. Dalla lettura del decreto impugnato cfr. pag.2 risulta che l'udienza si è svolta. La ricorrente non deduce di esser stata presente all'udienza e di aver dichiarato in quella sede la propria disponibilità ad essere sentita, nè che il decreto di fissazione contenesse l'espressa e preventiva esclusione dell'audizione, né -comunque dichiara di aver tempestivamente sollevato l'eccezione di nullità di detto decreto. Infine, neppure indica su quali elementi il suo ascolto avrebbe potuto, in concreto, condurre il giudice di merito ad una conclusione diversa da quella in concreto adottata. Ne consegue il difetto di specificità della censura. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli articolo 3 del D.Lgs. numero 251/07, 8 e 27 del D.Lgs. numero 25/08, 6 del D.P.R. numero 12/2015 e 16 della Direttiva 2013/32/UE del 26.6.2013, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. perché il Tribunale avrebbe erroneamente esercitato il potere-dovere di cooperazione istruttoria. La censura è fondata. Dalla lettura del decreto impugnato, che contiene la trascrizione del colloquio svoltosi dinanzi la Commissione territoriale, emerge che la storia personale della richiedente, che aveva dichiarato di aver aderito alla chiesa di Yin Xin Chien Yi, è stata ritenuta non credibile in base ad una valutazione delle motivazioni alla base della conversione dell'interessata. Il Tribunale di Milano, infatti, ha dato atto del contesto di generale repressione, per il fenomeno religioso e per le cd. chiese domestiche in particolare, esistente in Cina cfr. pagg.5 e 6 del decreto ed ha poi ritenuto che, appunto, non fosse credibile il motivo della conversione, poiché la Fa. lo aveva individuato in una mancata assegnazione di una certa posizione lavorativa ed aveva descritto in modo superficiale il suo percorso di avvicinamento alla chiesa. In particolare, il giudice di merito ha ritenuto che Una scelta tanto significativa e così pericolosa visto il trattamento praticato -alla luce delle fonti sopra riportate dalle autorità cinesi nei confronti di quanto aderiscono alla house churches è stata dalla richiedente ricollegata alla mancata assegnazione di una desiderata posizione lavorativa in conseguenza di brutte parole dette da un collega ciò, peraltro, nonostante la titolarità di una buona posizione lavorativa e di una retribuzione tale da consentire l'acquisto di un'abitazione cfr. pag.6 . Con tale passaggio della motivazione il Tribunale di Milano ha finito per sindacare la serietà della scelta religiosa dell'individuo, senza tener conto che simile apprezzamento non è certamente devoluto all'autorità giudiziaria di uno Stato laico. Né è condivisibile il passaggio logico con il quale il giudice di merito valorizza i pericoli connessi alla scelta religiosa della richiedente, affermando che proprio alla luce della loro esistenza non sarebbe credibile il percorso di avvicinamento alla religione dichiarato dalla Fa Una volta infatti verificata la sussistenza di una condizione di pericolo per gli adepti di una determinata professione religiosa, è su questo fatto, e non sulla serietà delle convinzioni individuali dei fedeli, che va incentrato il sindacato del giudice di merito. Nel passaggio motivazionale immediatamente successivo il Tribunale ambrosiano afferma che Lo stesso percorso della conversione risulta descritto in modo superficiale ciò a dirsi, ad esempio, con riferimento all'avvicinamento da parte della vicina di casa che, per prima, noncurante dei pericoli derivanti dall'attività di proselitismo, le avrebbe pur in assenza di un motivo, salvo il cattivo umore della richiedente parlato della nuova religione e dei riferiti motivi di adesione alle parole della Bibbia in proposito, peraltro, è appena il caso di osservare che tale superficialità non è imputabile a mancata comprensione della lingua italiana, avendo la richiedente, con veemenza, confermato di aver compreso le domande rivoltele - ho capito! Mi vuoi chiedere come mi sono avvicinata alla fede . Parimenti inverosimile risulta il fatto che, dopo la lettura della Bibbia, Fa. Pi. si sarebbe addirittura scusata con quegli stessi colleghi che, pure, tanto male le avrebbero procurato cfr. ancora pag.6 della sentenza impugnata . E' quindi evidente che il giudice di merito ha creduto di poter estendere il proprio sindacato sino alla valutazione della serietà della scelta di fede della richiedente, con ciò travalicando i limiti esterni della giurisdizione, che deve concernere fatti, e non convinzioni personali. Inoltre, il giudice milanese ha affermato che la presenza di un contesto di pericolo per l'attività di proselitismo, a causa della repressione esistente in Cina, renderebbe difficilmente credibile che la vicina di casa della Fa. avrebbe svolto proselitismo nei confronti di quest'ultima, convincendola ad avvicinarsi alla fede. Tale ragionamento innesta un vero e proprio corto-circuito logico-giuridico, secondo cui in presenza di una condizione di compressione delle libertà fondamentali dell'individuo non sarebbe credibile che si possano adottare condotte di reazione rispetto a siddetta ingiustizia. Ed infine, non condivisibile è l'affermazione finale, secondo cui non sarebbe credibile che dopo essersi accostata alla nuova fede la Fa. avrebbe chiesto scusa con i colleghi che le avrebbero fatto del male anche in questo passaggio, infatti, il giudice di merito finisce per sindacare la scelta religiosa dell'interessata e per valorizzare, in senso negativo per la credibilità della storia personale, una condotta di perdono che, peraltro, costituisce uno dei cardini della religione cristiana, nelle sue varie articolazioni. Da quanto precede deriva l'oggettiva perplessità della motivazione resa dal giudice di merito, la quale, pur non dovendo necessariamente dar conto di tutti gli elementi di fatto acquisiti agli atti del processo, deve tuttavia indicare il percorso logico-argomentativo seguito dal giudice di merito e consentire all'interessato di comprendere le ragioni per le quali il predetto giudice è pervenuto alla conclusione in concreto individuata. Nel caso specifico questo minimo costituzionale manca, poiché il Tribunale non ha valorizzato i fatti salienti della storia personale della richiedente, ma la profondità e serietà della sua scelta religiosa, adottando formule logiche oggettivamente non coerenti e irriducibilmente contraddittorie. Sul punto, occorre ribadire che a seguito della novella di cui all'articolo 54 del D.L. numero 83/2012, convertito in L. numero 134/2012, il vizio di motivazione va interpretato . alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'articolo 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Cass. Sez. U, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014, Rv.629830 Cass. Sez.2, Ordinanza numero 20721 del 13/08/2018, Rv.650018 . Nel caso di specie si configura il vizio di motivazione perplessa ed incomprensibile, perché il Tribunale di Milano ha attribuito importanza al livello di consapevolezza della scelta religiosa della richiedente ed ha valutato il contesto di pericolo legato alla repressione del fenomeno religioso esistente in Cina non già in senso favorevole per la credibilità della storia, ma piuttosto in senso contrario, dando rilievo al fatto che, in presenza di una situazione di rischio, non sarebbe credibile che singoli consociati comunque scelgano di resistere, professando liberamente la loro fede e svolgendo proselitismo. È di prima evidenza l'illogicità intrinseca di tale ragionamento, la cui conseguenza ultima è la negazione del diritto di resistere ad una condizione di oggettiva ingiustizia. L'accoglimento del secondo motivo, nei limiti indicati, implica l'assorbimento del terzo. Il giudice di rinvio, nel rivalutare il fatto, avrà cura di conformarsi al seguente principio di diritto In considerazione del carattere di laicità dello Stato italiano, il sindacato sul percorso che individuale che la persona abbia seguito per abbracciare un determinato credo religioso e sul livello di conoscenza dei relativi riti non rientra nell'ambito della valutazione di merito devoluta al giudice ordinario ai fini dell'apprezzamento della credibilità della storia riferita dal richiedente la protezione, internazionale o umanitaria. Né, in un contesto di ravvisata discriminazione religiosa, nel Paese di origine, ai danni degli adepti di una determinata fede, può esser dato rilievo, ai fini di escludere l'attendibilità della storia personale riferita dal richiedente la protezione, al fatto che costui abbia comunque scelto di professare il suo credo o di fare proselitismo, posto che tali attività rientrano nell'ambito della libera esplicazione della personalità umana . In definitiva va rigettato il primo motivo, accolto il secondo e dichiarato assorbito il terzo. Il decreto impugnato va quindi cassato in relazione alla censura accolta e la causa rinviata al Tribunale di Milano, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità. PQM La Corte rigetta il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo e dichiara assorbito il terzo. Cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e rinvia la causa al Tribunale di Milano, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.