La proponibilità della domanda di equa riparazione per eccessiva durata del processo amministrativo

I rimedi preventivi, volti a evitare l’eccessiva ed irragionevole durata del processo, eventualmente combinati con quelli indennitari, sono ammissibili a condizione che siano effettivi, ovvero realmente in grado di velocizzare la decisione, da parte del giudice competente.

Viceversa, il meccanismo previsto dall’art. 54 della legge 112/2008, che subordina la proponibilità della domanda per l’equa riparazione , in caso di eccessiva durata del processo amministrativo, alla preventiva presentazione dell’istanza di prelievo, non è idoneo a perseguire né l’obiettivo del contenimento della durata del processo, né quello indennitario. Pertanto, la citata norma, in forza di dichiarazione d’incostituzionalità, operata dalla Consulta, per contrasto con la Carta Europea dei diritti dell’Uomo e con l’art. 117 della Costituzione, non potrà più essere applicata, in alcuno dei procedimenti definiti prima del 31 ottobre 2016, mentre, per quelli ancora pendenti, in tale data, ne era già esclusa l’applicazione, a seguito delle modifiche operate dalla legge 208/2015. Con l’ordinanza n. 9541/20, depositata il 25 maggio 2020, la Corte di Cassazione, Seconda Sezione Civile, affronta l’argomento dell’effettività del rimedio nazionale per lamentare l’eccessiva durata del giudizio amministrativo , che, sulla scorta del combinato disposto della Legge Pinto e del secondo comma dell’art. 54 della legge 112/2008, subordina la proponibilità della domanda di equa riparazione per eccessiva durata del giudizio amministrativo, alla preventiva proposizione dell’istanza di prelievo. Il fatto. La vicenda prende le mosse dalla proposizione, innanzi alla Corte d’Appello, di un ricorso con cui si chiedeva la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento di un indennizzo, per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo , durato circa otto anni. La Corte d’Appello, tuttavia, rilevava l’improponibilità, ex art. 54 della legge 112/2008, della domanda d’indennizzo, dal momento che questa era stata proposta, senza che il ricorrente avesse precedentemente formulato, in pendenza del giudizio presupposto, l’istanza di prelievo. Avverso questa decisione, veniva proposto ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. Le ragioni dell’illegittimità costituzionale della norma. La Suprema Corte, nell’intervenire sulla questione, si riporta alla recentissima sentenza della Corte Costituzionale, depositata proprio in pendenza del giudizio di legittimità, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del secondo comma dell’art. 54, nel suo nucleo originario e nelle successive modificazioni intervenute sentenza n. 34/2019 . La Consulta ha ritenuto che il meccanismo previsto dalla detta norma, che subordina la proponibilità della domanda per l’indennizzo, in caso di irragionevole durata del processo amministrativo, alla preventiva presentazione dell’istanza di prelievo, fosse in netto contrasto con la Carta Europea dei Diritti dell’Uomo e quindi con la Costituzione. Secondo la costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, infatti, i rimedi preventivi, volti a evitare l’eccessiva ed irragionevole durata del processo, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, sono ammissibili o addirittura preferibili, a condizione che siano effettivi, ovvero realmente in grado di velocizzare la decisione, da parte del giudice competente. Viceversa, secondo la Consulta, il rimedio previsto dalla citata norma, che subordina la proponibilità della domanda per l’equa riparazione, in caso di eccessiva durata del processo amministrativo, alla preventiva presentazione dell’istanza di prelievo, che nella disciplina antecedente al 2015 era solo un mero adempimento formale e non ancora un rimedio preventivo, è sicuramente sprovvisto del requisito di effettività , richiesto dalla Carta Europea dei diritti dell’Uomo e pertanto, è inidoneo a perseguire sia l’obiettivo del contenimento della durata del processo, che quello indennitario, in caso di sua eccessiva durata. Conseguentemente, il secondo comma dell’art. 54 della legge 112/2008 va dichiarato costituzionalmente illegittimo , per contrasto con l’art. 117 della Costituzione. La distinzione temporale fra i procedimenti. Fermo restando il rimando alla decisione della Consulta, la Corte di Cassazione, tuttavia, opera un ulteriore e necessario distinguo fra i procedimenti definiti prima del 31 ottobre 2016 e quelli ancora pendenti, in tale data. Solo a questi ultimi, infatti, si applica la normativa introdotta dalla legge 208/2015 che ha espressamente subordinato la proponibilità della domanda di equa riparazione per l’eccessiva durata del processo alla preventiva proposizione dell’istanza di prelievo, almeno sei mesi prima della scadenza del termine dei ragionevole durata del processo, trasformando quello che era un mero adempimento formale in un rimedio preventivo, ovvero un vero e proprio onere di diligenza, posto a carico della parte chiamata a cooperare con il giudice, al fine di evitare il superamento dei termini di ragionevole durata del processo, la cui inosservanza giustifica la sanzione dell’improponibilità. Per quelli conclusi prima di tale data, invece, si dovrebbe fare riferimento alla previgente disciplina, di cui la Consulta ha rilevato la palese incostituzionalità e che ha inteso caducare.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 18 settembre 2019 – 25 maggio 2020, n. 9541 Presidente D’Ascola – Relatore Falaschi Fatti di causa e ragioni della decisione Con ricorso depositato il 23 gennaio 2015 dinanzi alla Corte di appello di Perugia, a seguito di riassunzione per essersi la Corte di appello di Roma dichiarata incompetente, B.F. , chiedeva, ai sensi della L. n. 89 del 2001, la condanna del Ministero dell’economia e delle finanze al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata di un giudizio amministrativo introdotto davanti al TAR Lazio il 10.10.2002 e definito con sentenza depositata il 30.06.2010. Con decreto dell’11.02.2018, la Corte territoriale rigettava la domanda per improponibilità ai sensi del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, come modificato dalla L. di conversione 6 agosto 2008, n. 133, e, successivamente, dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, con decorrenza dal 16 settembre 2010 , per essere stata la domanda di indennizzo proposta dopo il 16.09.2010 senza che nel giudizio amministrativo presupposto fosse stata formulata istanza di prelievo. Avverso il decreto della Corte di appello di Perugia propone ricorso per cassazione il B. , fondato su quattro motivi. È rimasto intimato il Ministero dell’economia e delle finanze. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere accolto per essere fondato il primo motivo, assorbiti i restanti, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5 , il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. ATTESO che - con il quarto motivo - il cui esame appare pregiudiziale - si deduce la questione di legittimità costituzionale del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, nella parte in cui subordina la possibilità di chiedere l’equa riparazione alla presentazione di istanza di prelievo. Il motivo è fondato. Nelle more del presente giudizio di legittimità, infatti, è stata pubblicata la sentenza della Corte Cost. n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e successive modifiche. In proposito è opportuno evidenziare che - ancorché il dispositivo della suddetta sentenza della Corte costituzionale faccia testuale riferimento soltanto al D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 3, comma 23, Allegato 4, e dal D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195, art. 1, comma 3, lett. a , n. 6, - la motivazione della stessa sentenza non lascia dubbi sul fatto che la declaratoria di illegittimità costituzionale investe il nucleo originario del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, e non soltanto le aggiunte e modificazioni apportate al testo della Disp. dal D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 3, comma 23, Allegato 4, del D.Lgs. 15 novembre 2011, n. 195, art. 1, comma 3, lett. a , n. 6, per un precedente in cui questa Corte ha ritenuto caducato dalla Corte Cost. il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nell’ambito di un giudizio di equa riparazione introdotto nel 2009, nel quale tale articolo era quindi applicabile nel testo anteriore alle modifiche recate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, vedi Cass., Sez. II, ord. n. 21504/19 . La Corte costituzionale ha infatti ritenuto in contrasto con la Carta EDU, e quindi con la Costituzione, la previsione stessa della subordinazione della proponibilità della domanda ex lege Pinto alla circostanza che nel giudizio amministrativo presupposte fosse stata presentata una istanza di prelievo. La Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se effettivi e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente così, in particolare, Corte EDU, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia , ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010, - che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008 , per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo - avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Ha altresì rammentato che, più di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex L. n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della legge Pinto con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi della CEDU, art. 13. Ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevedeva alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo. Per l’effetto, la Corte costituzionale ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte EDU , atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015 , non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente ex art. 71 codice del processo amministrativo, comma 2, la parte può segnalare al giudice l’urgenza del ricorso , con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera prenotazione della decisione che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio , risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata. La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU art. 6, par. 1 , la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con assorbimento del secondo, e la cassazione del decreto impugnato, la cui ratio decidendi risiede proprio nell’applicazione di tale norma. L’accoglimento del quarto motivo di ricorso, che verte su questione pregiudiziale rispetto alle prime tre censure con le quali viene denunciato la violazione di legge per non avere qualificato la richiesta dell’11.11.2009 alla stregua di istanza di prelievo, nonché per non avere fatto istruttoria , ne determina l’assorbimento. Alla cassazione consegue il rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Perugia in diversa composizione. Giova peraltro precisare che il giudice di rinvio dovrà tenere conto che il processo presupposto - come rilevato dallo stesso decreto impugnato pag. 1, terzultimo rigo del decreto - è stato definito, nel grado, prima del 31 ottobre 2016, con la conseguenza che la norma dichiarata costituzionalmente illegittima sarebbe rilevante nel presente giudizio. La Corte Cost. ha infatti chiarito, nella stessa sentenza n. 34 del 2019, che la disciplina intertemporale dettata dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777, lett. a , b ed m , impone di distinguere tra i processi che siano stati definiti, nel grado, entro il 31 ottobre 2016 e quelli che a tale data fossero ancora pendenti. Solo per questi ultimi gli effetti di improponibilità derivanti dalla normativa vigente prima dell’entrata in vigore della L. n. 208 del 2015, possono ritenersi sterilizzati , giacché per i medesimi l’ammissibilità della domanda di equa riparazione per l’eccessiva durata di processi amministrativi risulta ora condizionata dalla intervenuta proposizione del rimedio preventivo dell’istanza di prelievo almeno sei mesi prima della scadenza del termine di ragionevole durata del processo. Il Giudice delle leggi ha infatti sottolineato come il tenore letterale della Disp. di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2-bis, introdotto, insieme al cit. art., comma 2-ter, dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777, lett. m , ne implichi chiaramente l’applicabilità solo pro futuro, chiarendo che una tale condizione - riscritta ora nei più incisivi termini di un onere di diligenza posto a carico della parte chiamata a cooperare con il giudice al fine di evitare il superamento del termine di ragionevole durata del processo - non può che riferirsi a processi ancora pendenti, la cui ragionevole durata si protragga per il tempo necessario a consentire alle parti di proporre l’istanza di prelievo nel termine introdotto dalla L. n. 208 del 2015. Il che, appunto, spiega perché, ai sensi della successiva cit. L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2-ter, la così riformulata condizione di proponibilità si applichi solo nei processi amministrativi che eccedano nel grado il rispettivo termine di ragionevole durata al 31 ottobre 2016, in data, quindi, di oltre sei mesi successiva a quella 1 gennaio 2016 di entrata in vigore della L. n. 208 del 2015. In conclusione, la nuova L. n. 89 del 2001, art. 1-ter, si applica in relazione a processi presupposti ancora pendenti nel grado alla data del 31 ottobre 2016, mentre quelli già definiti a tale data - come quello di specie ricadono, ratione temporis, sotto la previgente disciplina della improponibilità, dettata dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e successive modificazioni, caducata dalla Corte Cost. con la sentenza n. 34 del 2019. Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti i primi tre cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.