Fuggito dalla fame, protezione possibile

Necessario però che lo straniero provi in modo chiaro che il ritorno in patria comporterebbe una vita non dignitosa. Non sufficiente, invece, il mero richiamo alla condizione di povertà del Paese. Confermato perciò il no” alla richiesta di protezione di un cittadino nigeriano. Anche perché, osservano i Giudici, la povertà è una condizione tipica del continente africano.

La fame vissuta in patria può giustificare la concessione della protezione in Italia. A patto, però, che il cittadino straniero metta sul tavolo prove concrete su vulnerabilità e pericoli connessi al ritorno nel Paese di origine Cassazione, ordinanza n. 9158/20, sez. I Civile, depositata il 19 maggio . Riflettori puntati su un uomo originario della Nigeria, che in Appello si è visto respingere la domanda di protezione internazionale, nonostante il richiamo da lui fatto alla condizione di povertà vissuta in patria. Per i giudici, in sostanza, egli ha lasciato la Nigeria per mere ragioni di ordine economico e non ha minimamente dato prova di una condizione di minaccia grave alla sua vita e alla sua persona in patria. E proprio sulla situazione vissuta nel proprio Paese di origine batte nuovamente lo straniero col ricorso in Cassazione. Questa scelta non si rivela però produttiva, poiché viene confermato il no” alla richiesta di protezione. Corretta quindi la valutazione compiuta in Appello, laddove si è escluso che lo straniero fosse da considerare in sé persona vulnerabile, alla luce delle condizioni soggettive attuali, parametrate a quelle del Paese di provenienza. Il legale del cittadino nigeriano che ha spiegato che il suo cliente è fuggito dalla propria terra per fame e in caso di rimpatrio sarebbe stato privato della titolarità e dell’esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile dello statuto della dignità della persona . Questa osservazione viene però respinta dalla Cassazione, anche perché, viene chiarito, l’abbandono del Paese di provenienza, motivato da condizioni generali di povertà, non può giustificare in sé il rilascio di un ‘permesso’ per motivi umanitari e quella di povertà è una situazione tendenzialmente generalizzata nei Paesi del continente africano , mentre il presupposto della protezione umanitaria si caratterizza per la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità dello straniero, da valutarsi in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale e al contesto culturale e sociale di riferimento . Tirando le somme, i giudici della Cassazione chiariscono che può essere considerata in sé vulnerabile , in senso oggettivo, la persona che per fame si trovi costretta in patria a vivere in condizioni assolutamente incompatibili coi limiti propri della dignità umana , ma quella condizione di vulnerabilità va provata in modo chiaro.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 15 gennaio – 19 maggio 2020, n. 9158 Presidente De Chiara – Relatore Terrusi Rilevato che Av. St., nigeriano, ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della corte d'appello di Genova, di rigetto del gravame finalizzato a ottenere la protezione internazionale il Ministero dell'Interno ha depositato un semplice atto di asserita costituzione finalizzato all' eventuale partecipazione all'udienza pubblica. Considerato che col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 14, lett. b e c , del D.Lgs. n. 251 del 2007 e 8 del D.Lgs. n. 25 del 2008, per non avere la corte d'appello correttamente applicato la normativa sulla protezione sussidiaria in relazione alla situazione del paese di provenienza il motivo è inammissibile giacché la corte d'appello ha in fatto accertato che il richiedente aveva lasciato il suo paese per mere ragioni di ordine economico e che non era stata neppure allegata, a sostegno della domanda di protezione, una condizione di minaccia grave alla vita o alla persona derivante da violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato dopodiché, peraltro, ha anche escluso l'esistenza di una simile condizione in base alle fonti ufficiali di conoscenza della zona di provenienza del medesimo Edo State col secondo e col terzo motivo il ricorrente denunzia, rispettivamente, la violazione o falsa applicazione degli artt. 32 del D.Lgs. n. 25 del 2008 e 5 del t.u. imm., e il vizio di motivazione, per avere la corte d'appello non correttamente applicato la normativa in materia di protezione umanitaria e non esaminato elementi decisivi allegati in giudizio i motivi sono inammissibili la corte d'appello ha escluso che il ricorrente fosse da considerare in sé persona vulnerabile, alla luce delle condizioni soggettive attuali parametrate a quelle del paese di provenienza nei motivi di ricorso si assume che la corte del merito non avrebbe effettuato una concreta opera di comparazione e che codesta opera, ove anche fatta, non avrebbe preso in considerazione gli effettivi elementi utili a una corretta decisione tali elementi avrebbero dovuto condurre a ritenere che il richiedente, fuggito dalla propria terra per fame, in caso di rimpatrio, sarebbe stato privato della titolarità e dell'esercizio di diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile dello statuto della dignità della persona deve osservarsi che una simile critica è del tutto generica, non risultando specificato in qual modo, a fronte delle risultanze della sentenza, sarebbe stata in effetti dedotta nel giudizio di merito una situazione soggettiva concretamente rilevante nel senso indicato l'abbandono del paese di provenienza motivato da condizioni generali di povertà non può giustificare in sé il rilascio di un permesso per motivi umanitari, dal momento che quella di povertà è una situazione tendenzialmente generalizzata nei paesi del continente africano, mentre il presupposto della protezione umanitaria si caratterizza per la specificità della condizione personale di particolare vulnerabilità del richiedente, da valutarsi in relazione alla sua situazione psico-fisica attuale e al contesto culturale e sociale di riferimento di recente Cass. n. 13088-19 questa Corte, a sezioni unite, ha validato il principio secondo cui, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine in raffronto alla situazione d'integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l'esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente e astrattamente considerato da ultimo Cass. Sez. U n. 29459-19 ciò ad avviso del collegio non toglie che possa esser considerata in sé vulnerabile, in senso oggettivo, la persona che, per fame, in patria si trovi costretta a vivere in condizioni assolutamente incompatibili coi limiti propri della dignità umana resta tuttavia il fatto che l'accertamento di una tal condizione è devoluto al giudice del merito sulla base degli elementi specifici dell'allegazione, e nel caso concreto la corte d'appello ha escluso, con valutazione in fatto motivata, la ricorrenza della situazione soggettiva di vulnerabilità di modo che le attuali doglianze, per come genericamente formulate, non superano la soglia del tentativo di revisione della anzidetta valutazione in fatto l'atto di costituzione del Ministero non assume dignità di controricorso, donde non devesi provvedere sulle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.