Sull’efficacia dell’ordinanza di assegnazione posta alla base del precetto opposto

L’art. 141, comma 1-bis, d.l. n. 669/1996, come modificato dall’art. 44, comma 3, lett. b d.l. n. 20 settembre 2003, convertito in l. n. 326/2003, introduce un termine di decadenza annuale per mettere in esecuzione l’ordinanza di assegnazione nei confronti delle PP.AA. ed enti equiparati, applicabile dall’entrata in vigore della norma, ossia il 25 novembre 2003.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 9063/20, depositata il 18 maggio. Il giudice di secondo grado rilevava l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione posta alla base del precetto opposto, ai sensi dell’art. 141, comma 1-bis, d.l. n. 669/1996 convertito in l. n. 30/1997 , come modificato dall’art. 44, comma 3, lett. b d.l. n. 20 settembre 2003, convertito in l. n. 326/2003, poiché era trascorso più di un anno tra l’entrata in vigore della nuova disposizione legislativa, che ha introdotto un termine di efficacia di un anno per l’esazione dei crediti di cui alle ordinanze di assegnazione di crediti nei confronti di enti previdenziali – come nel caso in esame – e la notificazione dell’atto di precetto. Interviene così la Corte di Cassazione. Per il ricorrente tale disposizione non sarebbe applicabile al caso di specie, poiché è entrata in vigore successivamente all’emissione dell’ordinanza di assegnazione e non potrebbe ritenersi retroattiva. Per la S.C. quanto sostenuto dal ricorrente sarebbe infondato ed in contrasto con il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui il suddetto art. 141 introduce un termine di decadenza annuale per mettere in esecuzione l’ordinanza di assegnazione nei confronti delle PP.AA. ed enti equiparati, applicabile dall’entrata in vigore della norma, ossia il 25 novembre 2003. A ciò consegue che esso si applichi anche in relazione alle ordinanze di assegnazione emesse prima di tale data , in relazione alle quali la procedura esecutiva deve essere iniziata, o comunque deve essere effettuata l’intimazione di pagamento, a mezzo della notifica del precetto, a pena di decadenza, entro un anno dal 25 novembre 2003 , ossia da quando il privato, ottenuta la possibilità di aver contezza dell’introduzione di una nuova decadenza, avrebbe potuto o dovuto attivarsi per non perdere il proprio diritto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 12 dicembre 2019 – 18 maggio 2020, n. 9063 Presidente Frasca – Relatore Tatangelo Rilevato che Il Banco di Napoli S.p.A. ha proposto opposizione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso l’atto di precetto notificatogli in data 10 febbraio 2014 da O.G. sulla base di una ordinanza di assegnazione di crediti pronunciata dal giudice dell’esecuzione in data 11 febbraio 2002 , all’esito di un procedimento esecutivo promosso nei confronti dell’INPS. L’opposizione è stata accolta dal Giudice di Pace di Napoli. Il Tribunale di Napoli ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre l’O. , sulla base di due motivi. Resiste l’INPS con controricorso. Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altra società intimata. È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato. È stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta. Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata. Considerato che 1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia Violazione e/o falsa applicazione del D.L. n. 669 del 1996, art. 14, così come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 44, comma 3, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, dell’art. 252 disp. att. c.c., dell’art. 11 delle disp. gen., degli artt. art. 1219, 2943, 2966 c.c. degli art. 3, 24, 25, 111 e 117 Cost., dell’art. 6 CEDU, dell’art. 1 del Protocollo 1 CEDU in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 . Con il secondo motivo si denunzia Violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., nonché degli artt. 1219, 2943, 2966 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per avere il giudice di secondo grado omesso immotivatamente di considerare la diffida e messa in mora quale atto impeditivo della decadenza ed interruttivo della prescrizione, prova documentale ritualmente versata in atti . I due motivi del ricorso sono connessi e possono essere quindi esaminati congiuntamente. Il giudice di secondo grado ha rilevato l’inefficacia dell’ordinanza di assegnazione posta a base del precetto opposto, ai sensi del D.L. 31 dicembre 1996, n. 669, art. 14, comma 1 bis, convertito in L. 28 febbraio 1997, n. 30, come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, art. 44, comma 3, lett. b, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, per essere trascorso ben più di un anno tra l’entrata in vigore della nuova disposizione la quale ha introdotto un termine di efficacia di un anno per l’esazione dei crediti di cui alle ordinanze di assegnazione di crediti nei confronti di enti previdenziali e la notificazione dell’atto di precetto. Secondo il ricorrente, la predetta disposizione non sarebbe però applicabile nella fattispecie, in quanto essa è entrata in vigore solo in data successiva all’emissione dell’ordinanza di assegnazione e non potrebbe ritenersi retroattiva primo motivo comunque, ogni decadenza e/o prescrizione sarebbe stata interrotta in base ad un atto di diffida e messa in mora del 10 maggio 2004 con il quale era stato richiesto il pagamento secondo motivo . Le censure sono manifestamente infondate. La decisione impugnata è infatti pienamente conforme all’indirizzo sancito da questa Corte, con pronunzia di espresso valore nomofilattico, emessa all’esito della pubblica udienza della Terza Sezione Civile, nell’ambito della particolare metodologia organizzativa adottata dalla suddetta sezione per la trattazione dei ricorsi su questioni di diritto di particolare rilevanza in materia di esecuzione forzata cd. progetto esecuzioni , sul quale v. già Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26049 del 26/10/2018, nonché Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 4964 del 20/02/2019 , secondo cui il D.L. n. 1996 n. 669, art. 141, comma 1 bis, come modificato dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 44 comma 3, lett. a , convertito in L. n. 326 del 2003, in vigore dal 25 novembre 2003, introduce un termine di decadenza annuale per mettere in esecuzione l’ordinanza di assegnazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni ed enti equiparati, applicabile dall’entrata in vigore della norma 25 novembre 2003 ne consegue che esso si applichi anche in relazione alle ordinanze di assegnazione emesse prima di tale data, in relazione alle quali la procedura esecutiva deve essere iniziata, o quanto meno deve essere effettuata l’intimazione di pagamento, a mezzo della notifica del precetto, a pena di decadenza, entro un anno dal 25 novembre 2003, cioè da quando il privato, conseguita la possibilità di avere contezza della introduzione di una nuova decadenza, avrebbe potuto e dovuto attivarsi per non perdere il proprio diritto Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15316 del 06/06/2019, che non risulta ad oggi massimata . Il ricorso non contiene argomentazioni tali da indurre a rivedere tale indirizzo, in base al quale come è appena il caso di rilevare non ha alcun rilievo l’eventuale notificazione di un semplice atto di costituzione in mora, essendo necessaria la notificazione - entro il termine di decadenza previsto dalla legge - di un atto di precetto cui abbia fatto seguito il tempestivo inizio dell’esecuzione ai sensi dell’art. 481 c.p.c., ciò che pacificamente non è avvenuto nella specie. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1. 2. Il ricorso è dichiarato inammissibile. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte - dichiara inammissibile il ricorso - condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’istituto controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 510,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto , a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis. Motivazione semplificata.