Inammissibile il motivo di ricorso non correlato alla motivazione della sentenza impugnata

Il motivo di impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto di impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, poiché per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto di impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere.

Dunque, il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, primo comma, numero 4 c.p.c. Il fatto decisivo di cui all’art. 360 comma 1 numero 5 c.p.c. va inteso come un fatto storico, principale o secondario, che deve risultare dal testo della sentenza o di atti processuali. L’omesso esame di una domanda giudiziale non è quindi riconducibile a detta ipotesi perché non si tratta dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Al più, tale omissione potrebbe integrare la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. e dunque il motivo di ricorso in cassazione dovrebbe fare riferimento al numero 4 dell’art. 360 c.p.c., concernente la nullità della sentenza o del procedimento. Nel regime successivo alle modifiche dell’art. 91 operate dalla L. numero 69/2009, ove accolga parzialmente la richiesta attorea, il giudice può compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma non condannare l’attore a rifondere le spese della controparte tale ipotesi è infatti ammessa, in via eccezionale, solo nel caso in cui la domanda venga accolta in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa. Tale in sintesi il contenuto dell’ordinanza della Corte di Cassazione numero 8036, depositata il 22 aprile 2020, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Il fatto. Il provvedimento di Legittimità in commento attiene all’impugnazione di una sentenza d’appello con cui, nel riformare parzialmente la sentenza di primo grado, si conferma l’obbligo del condominio alla realizzazione dell’impianto di depurazione, ma non la condanna al risarcimento del danno motivo l’assenza di prova del nesso di causalità tra l’assenza di certificato di abitabilità e la mancata vendita lamentata dall’attore. Nei fatti era successo che il proprietario di un appartamento in condominio aveva citato in giudizio il condominio ed il comune affermando di avere subìto dei danni al proprio immobile a causa della mancata instaurazione di un impianto di depurazione a tale omissione erano conseguite da un lato l’insalubrità dei locali e dall’altro la mancata concessione del certificato di agibilità, che aveva causato, a dire dell’attore, la mancata stipula di un atto di compravendita. Nesso causale questo, di cui la Corte d’Appello aveva rilevato la mancata prova, peraltro avendo accertato nel corso del procedimento che la vendita era saltata non per l’assenza di certificato di abitabilità, ma a causa della mancata concessione del mutuo al promissario acquirente. Il condomino ricorre così in Cassazione vedremo qui come la Corte ha deciso riguardo alle principali doglianze. Inammissibile il motivo di ricorso che non attacca le ragioni della decisione. Con il primo motivo egli contesta il provvedimento perché questo avrebbe erroneamente ricondotto il caso allo schema della responsabilità contrattuale piuttosto che a quella extra contrattuale erroneamente considerando che sul condominio gravassero gli obblighi del venditore dell’immobile”. Il motivo è pero dichiarato inammissibile in quanto con si correla alla motivazione della sentenza la quale, come detto, accoglie l’appello del condominio in ragione della mancata prova del danno lamentato. Tale questione è, dice la Corte, dirimente e successiva rispetto alla qualificazione dell’azione”. Il motivo di ricorso è quindi inammissibile, perché il profilo della sentenza qui censurato non assume rilievo quanto all’esito della lite”. Il motivo di impugnazione deve indicare le ragioni per cui la decisione è errata e per fare ciò correttamente, la critica deve riguardare le ragioni che hanno condotto a quella decisione ciò, a pena di nullità del motivo per mancato raggiungimento dello scopo, e quindi di inammissibilità ex art. 366 c.p.c. co.1, numero 4. Sul punto la Corte ribadisce un principio già affermato in precedenza il provvedimento menziona Cass. numero 359/2005 e, più di recente, Cass. numero 17330/2015 e Cass. SS.UU. numero 7074/2017 affermando testualmente che Il motivo di impugnazione è rappresentato dall'enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto di impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, poiché per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l'esercizio del diritto di impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell'esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere. Dunque, il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, primo comma, numero 4 cod. proc. civ.”. La questione appena trattata è assorbente, dice la Corte, ma in ogni caso il motivo è infondato anche nel merito. In primis, la lettura della sentenza fornita dal ricorrente non è esatta la Corte d’Appello non ha errato nella qualificazione della fattispecie il riferimento al conseguimento del certificato di abitabilità non quale elemento essenziale per la vendita, ma comunque quale oggetto di uno obbligo del venditore, era solo diretto a sostenere le ragioni del condomino e cioè a dire che in effetti l’omissione del condominio aveva impedito che l’immobile di proprietà del ricorrente conseguisse lo stato cui aveva diritto. In secundis, l’inquadramento nello schema della responsabilità ex art. 2043 c.c. piuttosto che in quella contrattuale non libera l’attore dall’onere della prova del nesso causale tra la condotta illecita e l’evento dannoso. Né può ammettersi l’ipotesi di una responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. – secondo cui Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito” - dal momento che il depuratore, non essendo esistente, non può considerarsi posto in custodia. Un atto non è un fatto il suo omesso esame vìola la corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, poi, che la Corte territoriale avendo escluso il nesso di causalità tra la mancata installazione del depuratore e il fallimento della vendita, avrebbe omesso di esaminare gli altri profili di danno prospettati dall’attore. Ciò costituirebbe la violazione di cui all’art. 360 co. numero 5 c.p.c. secondo cui tra i motivi di ricorso in cassazione vi è l’”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Ma, rileva la Corte, il fatto decisivo di cui all’art. 360 comma 1 numero 5 c.p.c. va inteso come un fatto storico, principale o secondario, che deve risultare dal testo della sentenza o di atti processuali si menziona sul punto la decisione di Cass. numero 8053/2014 . L’omesso esame di una domanda giudiziale non è quindi riconducibile all’ipotesi de qua perché non si tratta dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio anche su questo si richiama un precedente, quello costituito dalla sentenza di legittimità numero 5795/2017 . Al più, si potrebbe trattare di violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. e dunque il motivo di ricorso dovrebbe fare riferimento al numero 4 dell’art. 360 c.p.c., concernente la nullità della sentenza o del procedimento. Anche così riqualificato, nei limiti consentiti alla Cassazione si richiama sul punto Cass. SS. UU. numero 17931/2013 il ricorso sarebbe anche carente sotto l’aspetto della specificità, non spiegando né le prospettazioni originarie né quali siano state accolte dal giudice del primo grado. Mentre è pacifico che il condomino non abbia proposto appello incidentale, dunque, non avendo contestato l’eventuale rigetto o disattesa di domande risarcitorie nella decisione di primo grado, egli non può contestarne il mancato esame in grado in appello, non essendo quelle oggetto dell’effetto devolutivo dell’appello. L’attore parzialmente vittorioso non può essere condannato a pagare le spese alla controparte. Con il terzo motivo il ricorrente contesta la violazione dell’art. 92 c.p.c. riguardo alle spese di primo grado. E questo motivo per la Corte è fondato. Il ricorrente all’esito della decisione dell’appello è risultato parzialmente vittorioso in primo grado ciononostante, la sentenza dell’appello lo condanna al pagamento parziale delle spese di primo grado, motivando con la reciproca soccombenza. La statuizione viola gli artt. 91 e 92 c.p.c. precisa la Corte che sebbene il ricorrente abbia indicato solo la violazione dell’art. 92 c.p.c., la diversa qualificazione giuridica della fattispecie è rimessa al giudice anche in grado di cassazione richiama sul punto nuovamente la decisione delle SS. UU. numero 17931/2013 . Spiega la Corte che nel regime successivo alle modifiche dell’art. 91 operate dalla L. numero 69/2009, ove accolga parzialmente la richiesta attorea, il giudice può compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma non condannare l’attore a rifondere le spese della controparte tale ipotesi è infatti ammessa, in via eccezionale, solo nel caso in cui la domanda venga accolta in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa richiama Cass. ord. numero 26918/2018 e numero 1572/2018 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 27 giugno 2019 – 22 aprile 2020, n. 8036 Presidente Frasca – Relatore D’Arrigo Ritenuto A.F. , proprietario di un appartamento facente parte del Condominio omissis di omissis , conveniva in giudizio il Condominio e il Comune di Aci Castello, sostenendo di aver subito plurimi danni dalla mancata installazione di un impianto di depurazione. A tale omissione era conseguita, per un verso, l’insalubrità dei locali e, per altro verso, la mancata concessione del certificato di abitabilità mancanza che, a sua volta, aveva impedito all’A. di vendere a terzi l’appartamento. Il Tribunale di Catania, sez. dist. di Aci Castello, accoglieva la domanda, condannando il Condominio alla realizzazione dell’impianto di depurazione, nonché al pagamento della somma di Euro 92.000,00 a titolo di risarcimento dei danni patiti dall’A. per non essere riuscito a vendere l’immobile. Il Condominio impugnava la sentenza e la Corte d’appello di Catania, in parziale riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda risarcitoria dell’A. , fermo restando dunque l’obbligo del Condominio di realizzare l’impianto di depurazione. In particolare, la corte territoriale rilevava il difetto di prova in ordine al nesso causale fra l’assenza del certificato di abitabilità che non costituisce condizione di validità della compravendita e il mancato perfezionamento della vendita dell’immobile ad un terzo sfumato, secondo quanto accertato dalla corte territoriale, non per il difetto di abitabilità, bensì per la mancata erogazione del mutuo bancario in favore del promissario acquirente . L’A. ha impugnato la sentenza con quattro motivi. Il Condominio ha resistito con controricorso. Il Comune di Aci Castello non ha svolto attività difensiva. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380-bis c.p.c. come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e , conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in gamera di consiglio non partedpata. ha depositato memorie difensive. Considerato 1. Con il primo motivo l’A. si duole della circostanza che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ricondotto la fattispecie allo schema della responsabilità contrattuale, anziché di quella aquiliana, erroneamente considerando che sul Condominio gravassero gli obblighi del venditore dell’immobile. Il motivo è inammissibile, in quanto non si correla alla motivazione della sentenza impugnata, la quale ha accolto l’appello sulla scorta del difetto di prova del danno. Si tratta di questione dirimente e successiva rispetto a quella della qualificazione dell’azione. Pertanto, il profilo della sentenza qui censurato non assume rilievo quanto all’esito della lite. Infatti, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere. Dunque, il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un non motivo , è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, Sez. 3, Sentenza n. 359 del 11/01/2005, Rv. 579564 - 01 più di recente, fra le molte Sez. 3, Sentenza n. 17330 del 31/08/2015, Rv. 636872 - 01 nonché Sez. U., Sentenza n. 7074 del 28/03/2017, in motivazione . Sebbene il superiore rilievo di inammissibilità sia assorbente, la censura sarebbe comunque infondata anche nel merito, per due ordini di ragioni. Anzitutto, la lettura della sentenza d’appello proposta dall’A. non è corretta la corte territoriale non ha erroneamente qualificato la fattispecie, ma si è limitata a spiegare che, sebbene il rilascio del certificato di abitabilità non costituisca elemento essenziale per la validità della successiva compravendita dell’immobile, costituisce comunque oggetto di uno specifico obbligo del venditore far conseguire l’abitabilità dell’appartamento. Tanto è stato precisato, solo per dire che quindi l’A. ha titolo per lamentarsi della circostanza/fla condotta omissiva del Condominio abbia impedito al suo immobile di conseguire una condizione cui aveva diritto. In secondo luogo, quale che fosse la natura della ipotizzata responsabilità del Condominio del quale potrebbe forse pure dirsi che sia succeduto negli obblighi del costruttore , è assorbente la considerazione che l’inquadramento della stessa nello schema dell’art. 2043 c.c. non esonera l’attore dalla prova del nesso di causalità fra la condotta illecita e l’evento dannoso. Nè può ipotizzarsi, come sembra adombrare il ricorrente, che nel caso in esame si verta in un’ipotesi di responsabilità da cosa in custodia art. 2051 c.c. , trattandosi - al contrario - di una cosa il depuratore che, proprio perché non ancora realizzata, non può dar luogo ad alcun genere di custodia. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la Corte d’appello, avendo escluso il nesso di causalità fra la mancata realizzazione del depuratore e l’insuccesso delle trattative di vendita dell’immobile, avrebbe omesso di esaminare gli altri profili di danno prospettati dall’attore. Il motivo è inammissibile, in quanto il fatto decisivo , il cui omesso esame dà luogo al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve consistere in un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831 - 01 . Pertanto, l’omesso esame di una domanda non è riconducibile al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiché una domanda giudiziale non costituisce fatto decisivo per il giudizio v. Sez. 3, Sentenza n. 5795 del 08/03/2017, Rv. 643401 . Il vizio, semmai, dovrebbe essere inquadrato nell’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, sub specie di violazione dell’art. 112 c.p.c., ossia del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato. Ciò posto, anche qualora si volesse riqualificare il motivo nei limiti in cui ciò è consentito alla Cassazione v. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 - 01 , il ricorso sul punto sarebbe pure carente di specificità, in quanto non ci dice esattamente nè quali fossero le prospettazioni originarie, nè quali siano state accolte dal giudice di primo grado. Invece, è certo che l’A. non ha proposto appello incidentale, sicché - se, come sembra, il Tribunale ha implicitamente rigettato o comunque disatteso le ulteriori richieste risarcitorie - oggi egli non può dolersi del mancato esame di talune domande che non hanno costituito oggetto dell’effetto devolutivo dell’appello. 3.1 Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 92 c.p.c., con riferimento alle spese del giudizio di primo grado. Il motivo è fondato nei seguenti termini. Va premesso che la corte di merito ha riformato solo in parte la decisione appellata. Il Tribunale di Catania, infatti, aveva condannato il Condominio alla realizzazione dell’impianto di depurazione, nonché al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata vendita dell’immobile. La decisione di primo grado è stata riformata limitatamente alla seconda condanna, mentre la statuizione relativa all’obbligo del Condominio di realizzare il depuratore è rimasta ferma. L’A. , dunque, è stato parzialmente vittorioso in primo grado, con decisione sul punto definitivamente confermata. Nondimeno, la Corte d’appello ha condannato l’appellante al pagamento parziale delle spese del primo grado di giudizio, in ragione della reciproca soccombenza. Tale statuizione viola i principi posti dagli artt. 91 e 92 c.p.c. il ricorrente deduce la violazione del solo art. 92 c.p.c., ma trattasi di questione di qualificazione giuridica della fattispecie, rimessa al giudice anche nel processo di cassazione Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013, Rv. 627268 - 01 . Infatti, nel regime normativo posteriore alle modifiche introdotte all’art. 91 c.p.c. dalla L. n. 69 del 2009, in caso di accoglimento parziale della domanda il giudice può, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., compensare in tutto o in parte le spese sostenute dalla parte vittoriosa, ma questa non può essere condannata neppure parzialmente a rifondere le spese della controparte, nonostante l’esistenza di una soccombenza reciproca per la parte di domanda rigettata o per le altre domande respinte, poiché tale condanna è consentita dall’ordinamento solo per l’ipotesi eccezionale di accoglimento della domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa Sez. 3, Ordinanza n. 26918 del 24/10/2018, Rv. 651332 - 01 Sez. 3, Ordinanza n. 1572 del 23/01/2018, Rv. 647583 - 01 . Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata sul punto, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Catania affinché, attenendosi al principio di diritto sopra enunciato, provveda a rinnovare la propria statuizione in ordine alle spese del primo grado di giudizio. 3.2 Nell’ambito del medesimo motivo, l’A. deduce pure che la corte territoriale avrebbe errato nell’applicare la Tariffa Professionale di cui al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, così contravvenendo al principio secondo cui la spese processuali devono essere liquidate in base alle tariffe vigenti in quel momento. Tale doglianza si riferisce solamente alle spese del primo grado e, pertanto, è assorbita dall’accoglimento della prima parte del medesimo terzo motivo. 4. Il quarto motivo attiene alla liquidazione delle spese del giudizio di secondo grado. L’A. ne chiede la riforma, quale conseguenza della fondatezza del suo appello. La deduzione, pertanto, non rappresenta una vera e propria censura di legittimità, poiché non prospetta delie censure specificatamente relative al capo alla decisione impugnata. Pertanto, difettando il requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il motivo risultava inammissibile e comunque risulta assorbito, perché il grado giudichi il giudice del riuso comunque dovrà riproporsi alle sue. 5. In conclusione, in accoglimento del terzo motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente alla condanna parziale dell’A. al pagamento delle spese del primo grado di giudizio. Tutti gli altri motivi sono inammissibili. Il giudice del rinvio provvederà altresì alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e potrà confermare lo stato mozione nelle spese effetto. P.Q.M. accoglie il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile gli ulteriori motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Catania in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.