Non occorre la traduzione del decreto di espulsione se sussiste la prova che lo straniero comprende l’italiano

L’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato o in quella veicolare, ai sensi dell’art. 13, comma 7, d.lgs. n. 286/1998, comporta la nullità del provvedimento di espulsione, salvo che vi sia la prova anche presuntiva del fatto che la lingua italiana sia conosciuta dal richiedente.

Così la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7614/20, depositata il 31 marzo. La vicenda. Il Giudice di Pace di Sassari rigettava l’opposizione proposta da un cittadino straniero avvero il decreto d’espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto e tradotto in lingua inglese. La decisione si fondava sul fatto che lo straniero non avesse mai presentato domanda di protezione internazionale, né poteva dirsi violato l’obbligo di traduzione del suddetto decreto in lingua conosciuta dal destinatario avendo egli dichiarato di saper parlare e comprendere l’italiano e di preferire l’inglese come lingua per le notifiche. La pronuncia è stata impugnata con ricorso per cassazione dal richiedente che si duole per la mancata traduzione del decreto nella propria lingua nonostante in udienza fosse presente un interprete. Traduzione. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato o in quella veicolare comporta la nullità del provvedimento di espulsione, salvo che vi sia la prova anche presuntiva del fatto che la lingua italiana sia conosciuta dal richiedente. Tale accertamento resta confinato nei limiti dell’accertamento di merito e non è dunque deducibile in cassazione. Nel caso di specie, emerge dagli atti che il ricorrente ha dichiarato nel foglio-notizia di parlare e comprendere la lingua italiana, indicando comunque l’inglese come lingua preferita per le notifiche. È dunque irrilevante la presenza del traduttore in udienza. In conclusione, il ricorso viene rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 16 gennaio – 31 marzo 2020, n. 7614 Presidente Sambito – Relatore Caiazzo Rilevato che Con ordinanza emessa l’11.10.18, il giudice di pace di Sassari rigettò l’opposizione proposta da R.M.M. avverso il decreto d’espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Sassari, e tradotto in lingua inglese, osservando che il ricorrente non aveva mai presentato la domanda di protezione internazionale, non essendo emerse le ragioni umanitarie dedotte non era stato violato l’obbligo di tradurre il decreto d’espulsione in una lingua conosciuta dal destinatario, in quanto dagli atti di causa si desumeva che nel foglio-notizie lo straniero aveva dichiarato di parlare e comprendere la lingua italiana, indicando l’inglese come lingua preferita per le notifiche la doglianza afferente alla violazione della direttiva Europea sul rimpatrio volontario era infondata in quanto il ricorrente già si era reso inottemperante ad un precedente provvedimento d’espulsione, sussistendo nella fattispecie il rischio di fuga di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 4 bis, lett. d - che impone l’accompagnamento alla frontiera con la forza pubblica - con esclusione della possibilità di concedere un termine per la partenza volontaria il decreto impugnato era stato notificato in originale il 18.4.18 come attestato nella relata di notifica del provvedimento, recando in calce la firma del vice-Prefetto. Ricorre in cassazione il R. con unico motivo. Il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione. Ritenuto che L’unico motivo del ricorso denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 e degli artt. 3 e 24 Cost., per mancata traduzione del decreto impugnato nella lingua propria del ricorrente, nonostante la presenza in udienza di un interprete di lingua Bangla, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. In particolare, il ricorrente si duole che il giudice di pace abbia ritenuto l’impossibilità di tradurre il decreto d’espulsione nella lingua propria in quanto dallo stesso decreto si evince che il traduttore presente in udienza era di lingua bangla, circostanza che avrebbe escluso la possibilità di utilizzare la lingua veicolare, censurando altresì quanto dedotto nella memoria difensiva della Questura secondo cui la traduzione in bangla non era neppure in astratto ipotizzabile data l’indisponibilità di programmi di videoscrittura con caratteri della lingua bangla . Il motivo è infondato. Invero, secondo l’orientamento di questa Corte, l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato o in quella cd. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana e che di tale circostanza venga fornita prova, anche presuntiva. Ne consegue che l’attestazione, contenuta nella relata di notificazione del decreto, della dichiarazione dello straniero di conoscere la lingua italiana costituisce prova della relativa circostanza, atteso il carattere fidefacente della relata quanto all’effettività della dichiarazione Cass., n. 18123/17 . Inoltre, è stato affermato che l’omessa traduzione del decreto di espulsione nella lingua conosciuta dall’interessato, o in quella c.d. veicolare, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, comporta la nullità del provvedimento espulsivo, salvo che lo straniero conosca la lingua italiana o altra lingua nella quale il decreto è stato tradotto, circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Cass., n. 2953/19 . Nel caso concreto, emerge che il ricorrente ha dichiarato nel foglio-notizia di parlare e comprendere la lingua italiana, ed ha indicato l’inglese come lingua preferita per le notifiche . Pertanto, è irrilevante la circostanza della presenza del traduttore bengalese in udienza, anche considerando quanto dedotto dallo stesso ricorrente e non riportato nel decreto impugnato circa l’impossibilità di procedere alla trascrizione della traduzione nella lingua bangla per l’indisponibilità di un sistema di video scrittura compatibile. Giova altresì rilevare che la censura relativa a tale ultimo profilo è diretta ad un inammissibile riesame del merito. Nulla per le spese, considerando che il Ministero si è costituito al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione inoltre, dato l’oggetto del giudizio, non s’applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.