Protezione umanitaria: la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente

La valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente protezione umanitaria con riferimento al Paese di origine deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio.

Lo ha ribadito la Suprema Corte con ordinanza n. 7629/20 depositata il 31 marzo. Il caso. Il ricorrente, proponendo ricorso nei confronti del Ministero dell’Interno, adisce la Corte di Cassazione denunciando la violazione dei parametri valutativi ed interpretativi, dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria, dell’obbligo di congruità della motivazione ed erronea interpretazione di legge in relazione all’accertamento del suo diritto di protezione umanitaria. Valutazione comparativa. La Cassazione ha qui l’occasione di ribadire quanto sancito recentemente dalle Sezioni Unite con sentenza n. 29460/19 in ordine alla necessità di condurre una valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente la protezione umanitaria con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza. In particolare, la Suprema Corte ha affermato che non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamene ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, né il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza . Pertanto, continua la Corte, la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poiché, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già situazione particolare del singolo oggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo , e ciò al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare in qualche modo la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile della dignità umana. Nella fattispecie, la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 17 gennaio – 31 marzo 2020, n. 7629 Presidente Genovese – Relatore Di Mazio Fatti di causa 1. - Y.M. ricorre per un mezzo, nei confronti del Ministero dell’interno, contro sentenza del 1 agosto 2018 con cui la Corte d’appello di Ancona ha respinto l’appello avverso ordinanza del locale Tribunale di rigetto della sua domanda di protezione internazionale o umanitaria, in conformità al provvedimento della competente Commissione territoriale. 2. - L’amministrazione resiste con controricorso. Ragioni della decisione 1. - L’unico motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’accertamento del diritto alla protezione umanitaria, violazione di legge e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, art. 8, art. 9, comma 2, art. 13, comma 1 bis e art. 27, commi 1 e 1 bis e dell’art. 16 della Direttiva Europea numero 2013/32/UE, violazione dei parametri valutativi ed interpretativi, violazione dell’obbligo di congruità dell’esame e di cooperazione istruttoria, violazione dell’obbligo di congruità della motivazione, erronea interpretazione delle disposizioni di legge. 2. - Il ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6. Il motivo si diffonde da pagina 4 a pagina 22, dedicate a considerazioni di ordine generale sulla disciplina della protezione umanitaria, a parte le considerazioni svolte da pagina 4 a pagina 8 in ordine alla non retroattività del D.L. n. 113 del 2018, convertito in L. n. 132 del 2018, senza che riesca neppure lontanamente a comprendersi in che cosa consisterebbero le individuali condizioni di vulnerabilità del richiedente tali da giustificare il riconoscimento della protezione umanitaria difatti, il culmine di specificità della censura, nel quadro di riflessioni, come si diceva, di ordine generale, sulla materia, è toccato a pagina 18 del ricorso, laddove si dice che il richiedente vive nel nostro Paese ormai da quattro anni, e che nel corso degli anni ha costruito una sua stabile prospettiva di esistenza attraverso il suo stabile inserimento lavorativo documentato e la ricostruzione del suo contesto relazionale, sociale e culturale . Sicché, secondo quanto si premetteva, la censura è totalmente carente sotto il profilo dell’autosufficienza v. p. es. Cass., Sez. Un., 25 marzo 2010, n. 7161 Cass. 20 novembre 2017, n. 27475 , sia perché non localizza i documenti che sarebbero stati prodotti a sostegno della dimostrazione dello svolgimento di una non meglio identificata attività lavorativa, ma, soprattutto, a monte, perché, sul piano contenutistico, neppure prova a spiegare in che cosa consisterebbe il suo maturato radicamento in Italia e perché tale radicamento precluderebbe il rientro nel Paese d’origine, avuto riguardo ai criteri applicativi individuati dalla giurisprudenza di questa Corte. Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 13 novembre 2019, n. 29460, dando seguito alla già formata giurisprudenza della S.C., hanno stabilito che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza , sulla scia del principio secondo cui non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza Cass. 28 giugno 2018, n. 17072 , giacché la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poiché, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo Cass. 3 aprile 2019, n. 9304 , il tutto in vista della verifica se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità personale Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455 . Nel caso in esame non risulta dal ricorso nè quale sia la vita privata e familiare del richiedente in Italia, nè quale fosse la situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio. 5. - Le spese seguono la soccombenza. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito, dando atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.