La povertà estrema in patria non è una forma di persecuzione: niente protezione per lo straniero

Respinta la domanda presentata da un uomo originario del Bangladesh, che aveva raccontato di essere fuggito dal Paese di origine proprio per le condizioni di estrema povertà subite. Impossibile, spiegano i Giudici, parlare di persecuzione.

L’estrema povertà vissuta nel proprio Paese di origine non è presentabile come una vera e propria forma di persecuzione. Ciò significa che la precaria condizione economica in patria non è sufficiente per consentire allo straniero extracomunitario di ottenere protezione in Italia Cassazione, ordinanza n. 29053/19, sez. I Civile, depositata oggi . Povertà. Riflettori puntati sulla storia di un uomo originario del Bangladesh e approdato in Italia per scappare, parole sue, da una condizione di estrema povertà . Il suo racconto, seppur credibile, non è però ritenuto sufficiente per concedergli protezione su questo fronte, difatti, la sua richiesta viene respinta prima dalla ‘Commissione territoriale’, poi dal Tribunale e infine dalla Corte d’appello, tutti concordi nel considerare irrilevante il fatto che lo straniero abbia lasciato il Paese di origine per ragioni economiche . Identica linea di pensiero, ora, per la Cassazione, dove l’ulteriore ricorso dello straniero viene respinto in modo definitivo. L’uomo mette sul tavolo la eccezionale gravità degli atti persecutori da lui subiti , spiegando di essere stato costretto a scappare dal proprio Paese per sopravvivere alla povertà estrema . I magistrati riconoscono che il richiedente asilo ha dichiarato di avere lasciato la patria per ragioni economiche, ricorrendo ad un gravoso prestito ma poi aggiungono che non si tratta quindi di persecuzione , poiché si parla genericamente di condizione di povertà che non può essere identificata come forma di persecuzione . Peraltro, in secondo grado è stato evidenziato che malgrado le criticità rappresentate dallo scontro in atto in Bangladesh tra i maggior partiti politici, le condizioni di povertà del Paese si sono ridotte grazie alla cooperazione internazionale .

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 24 settembre – 11 novembre 2019, numero 29053 Presidente Travaglino – Relatore Russo Rilevato che 1.- Ra. Mo., cittadino del Bangladesh, ha chiesto il riconoscimento della protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o in subordine della protezione umanitaria. Ha dichiarato di avere lasciato il suo paese per le condizioni di estrema povertà, di avere contratto un mutuo molto gravoso e di avere frequentato in Italia un corso propedeutico all'apprendimento della lingua italiana. 2.- La Commissione territoriale di Milano ha reso, in data 18.9.2015, provvedimento di diniego che il Ra. ha impugnato innanzi al Tribunale di Milano. Il Tribunale, con ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. del 1.6.2016, ha respinto la domanda. L'appello proposto dal Ra. è stato rigettato dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza del 27.7.2018. 3.- Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione il Ra. affidandosi a quattro motivi. Non si è costituito il Ministero dell'Interno. Ritenuto che 4.- Con il primo motivo del ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 2,3,4,5,6, e 14 del D.Lgs. 251/2007, nonché degli artt. 8 e 27 del D.Lgs. numero 25/2008 e artt. 2 e 3 CEDU nonché omesso esame di fatti decisivi, ai sensi dell'art. 360 numero 3 e 5 c.p.c. Il ricorrente lamenta che la Corte d'appello non abbia riconosciuto la eccezionale gravità degli atti persecutori da lui subiti nonostante egli abbia chiaramente indicato il motivo della sua persecuzione e il nesso casuale con le ragioni della fuga, pur riconoscendo che in Bangladesh vi sono forti elementi di instabilità politica si sottolinea che il ricorrente è stato costretto a scappare dal proprio paese per sopravvivere alla povertà estrema . Il motivo è infondato. La Corte d'appello di Milano ha messo in evidenza che il richiedente asilo ha dichiarato di avere lasciato il paese per ragioni economiche, ricorrendo ad un gravoso prestito, così come peraltro si conferma nella esposizione del motivo di ricorso. Non si tratta quindi di persecuzione, perché gli atti persecutori consistono in gravi atti che integrano violazione dei diritti umani esemplificati nell'art. 7 del D.Lgs. 251/2007 atti di violenza psicofisica, provvedimenti discriminatori, denegata tutela giurisdizionale riconducibili ai motivi previsti dall'art. 8 del D.Lgs. 251/2007 e cioè dovuti all'appartenenza ad un'etnia, associazione, credo politico o religioso, ovvero in ragione delle proprie tendenze e stili di vita Cass. 30105/2018 e altre . Di questi atti di persecuzione non vi è cenno nel ricorso, parlandosi genericamente di condizione di povertà e identificandola di per sé - e con ciò leggendo la norma in modo erroneo - con una forma di persecuzione. Né è stato evidenziato un soggetto agente o alcun nesso casuale tra le criticità proprie della situazione del Bangladesh, come ricostruite in sentenza, e la condizione di povertà del soggetto di contro, nel ricostruire le condizioni del paese di origine, il giudice di appello evidenzia come, malgrado le criticità rappresentate dallo scontro in atto tra i maggior partiti politici, le condizioni di povertà del paese, grazie alla cooperazione internazionale, si siano ridotte. 5.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, in quanto il giudice di appello non avrebbe rispettato i parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo fissati dall'art. 3 del D.Lgs. 251/2007. Il motivo è inammissibile perché si limita ad una mera enunciazione di quali siano i parametri normativi per la valutazione della credibilità del richiedente senza muovere specifiche censure alla motivazione resa dal giudice di appello in punto di credibilità. La Corte di merito, peraltro, ha ritenuto credibile il richiedente asilo e il rigetto della domanda è dovuto, piuttosto, alla mancata corrispondenza tra la sua storia personale e i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale. Il motivo è quindi inconferente rispetto alla ratio deciderteli e, probabilmente, anche frutto di sovrapposizione con altre situazioni, non oggetto di trattazione in questo processo, laddove alla pagina 8 del ricorso si afferma che la Corte d'appello avrebbe scritto, a pag. 3 della sentenza impugnata, che egli ha sempre riferito di episodi che riguardano altre persone in particolare la compagna e la figlia riconducibili a delinquenza comune -passaggio motivazionale che invece non si rinviene nella sentenza in esame, dove, come si è detto, si prende in considerazione un racconto di migrazione per ragioni di povertà. 6.- Con il terzo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento agli arti. 2,3,14 del D.Lgs. 251/2007, agli artt. 8,27 D.Lgs. 25/2008 e 2,3, CEDU. Secondo il ricorrente, la Corte d'appello non avrebbe valutato il danno grave che potrebbe derivargli dalla situazione del suo paese. In particolare si lamenta che la Corte non abbia assunto informazioni sulla condizione degli oppositori del regime né tenuto conto della persistente e attuale violazione dei diritti umani in Salvador e che la situazione di pericolo descritto è oggettivamente collegabile ad una condizione di violenza diffusa. Anche questo motivo è inammissibile. Le generiche affermazioni sulla sussistenza di un danno grave non tengono in alcun conto che la sentenza impugnata ha analizzato un racconto in cui il richiedente asilo non afferma di essere un oppositore di alcun regime, né ha parlato di situazioni di violenza inoltre il soggetto non proviene dal Salvador, per cui non rilevano nel suo caso le condizioni di dedotta violazione del diritti umani in quel paese. Il motivo è quindi manifestamente inconferente rispetto alle rationes decidendi della sentenza impugnata. 7.- Con il quarto motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 5 del D.Lgs. 286/1998 nonché il vizio di motivazione apparente sulla sussistenza dei requisiti per la protezione umanitaria e sulla vulnerabilità del soggetto. Il ricorrente espone che nel paese di origine si verificano gravi violazioni dei diritti umani, in particolare ai danni di persone di orientamento non rigorosamente eterosessuale ed ai danni della etnia rohingya, che è praticata la tortura ed è prevista la pena di morte. Ciò espone le persone ad altissimo rischio, nell'incapacità delle autorità di assicurare efficace protezione. Il motivo è inammissibile per assoluta genericità, e ciò rende superflua la sospensione del procedimento in attesa della decisione delle sezioni unite di questa Corte sulle questioni sollevate con le ordinanze interlocutorie nnumero 11749, 11750, 11751 del 2019, depositate il 3 maggio 2019, v. Cass. numero 22851/2019 La Corte d'appello ricostruisce, con un accertamento in fatto incensurabile in questa sede, in modo analitico la situazione individuale del soggetto, correttamente attualizzandola al momento della decisione Cass. numero 9427/2018, Cass. numero 28990/2018, Cass. numero 17075/2018 ed esplicita le ragioni per le quali ritiene che detta condizione non integri una condizione di speciale vulnerabilità da tutelare mediante la protezione umanitaria Cass.numero 14005/2018 . A fronte di tale motivazione individualizzata sul caso di specie, il ricorrente si limita ad esporre generiche enunciazioni sulle violazioni dei diritti umani in Bangladesh, riferite a situazioni omosessuali, etnie minoritarie non pertinenti al caso di specie e inconferenti con le rationes decidendi esposte dalla Corte di merito. Ne consegue il rigetto del ricorso. Nulla sulle spese in difetto di costituzione della controparte. Il richiedente è ammesso la patrocino a spese dello Stato e pertanto non è tenuto è tenuto al versamento del contributo unificato, stante la prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del D.P.R. 115/2002, e, di conseguenza, neppure dell'ulteriore importo di cui all'art. 13, comma 1- quater, del decreto citato cfr, Cass. 7368/2017 numero 32319 del 2018 , se ed in quanto l'ammissione non risulti revocata. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.