Protezione internazionale: come dimostrare che il giudice ha violato il dovere di collaborazione istruttoria?

Per dimostrare la violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito in tema di protezione internazionale, occorre che si dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che la decisione sia stata presa sulla base di informazioni non più attuali e che la valutazione delle fonti sia stata condotta con modalità tali da non considerare il concreto pericolo dedotto dal richiedente la protezione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26731/19, depositata il 21 ottobre. Respinta la richiesta di protezione internazionale. Il Tribunale di Napoli respingeva l’opposizione di un cittadino straniero che si era visto negare il riconoscimento della protezione internazionale da parte della Commissione territoriale. Anche la Corte d’Appello rigettava l’impugnazione proposta avverso la decisione di primo grado, ritenendo insussistenti i presupposti per la concessione della protezione internazionale e umanitaria, anche alla luce del fatto che la situazione di instabilità che interessava il suo paese d’origine fosse limitata ad una regione diversa da quella di provenienza dell’istante. Avverso la decisione propone ricorso in Cassazione il cittadino straniero lamentando che la Corte territoriale non abbia ravvisato la situazione di pericolo di danno grave all’incolumità della persona e non abbia considerato la sua situazione di vulnerabilità in relazione alla situazione sociopolitica del suo paese di provenienza. Corretta indicazione delle fonti utilizzare. La Cassazione, ritenendo inammissibili le censure sollevate, rileva che la Corte d’Appello ha adeguatamente ricostruito la situazione interna del paese d’origine e ha correttamente indicato la fonte utilizzata in concreto per decidere, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione. Inoltre, sottolinea la Suprema Corte, non è possibile valutare la risultanza istruttoria compiuta dal giudice di merito ove nel motivo di censura del ricorrente non vengono evidenziati precisi riscontri idonei a dimostrare che le informazioni poste alla base della decisione sono superate da altre fonti più aggiornate e qualificate. Infatti, solo laddove dalla censura emerga tale precisa dimostrazione si potrebbe ritenere che ci sia una violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito. In caso contrari, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale diverso da quello prospettato dal giudice si risolve solo nella richiesta implicita di rivalutazione delle risultanze istruttoria. Principio di diritto. Chiarito quanto sopra, la Suprema Corte afferma il principio secondo cui ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito in tema di protezione internazionale non è sufficiente la mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice di merito, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal predetto giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, ovvero che la valutazione delle fonti sia stata condotta con modalità tali da non considerare il concreto pericolo dedotto dal richiedente la protezione. A tal riguardo, la censura deve contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, ovvero specifici richiami alla condizione personale del richiedente la protezione, in modo da consentire alla Corte di Cassazione l’effettiva verifica circa la predetta violazione del dovere di collaborazione istruttoria . Alla luce di ciò, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 12 luglio – 21 ottobre 2019, n. 26731 Presidente Di Virgilio – Relatore Oliva Fatti di causa Con provvedimento dell’11.9.2015, notificato il 16.1.2016, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Caserta rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione cd. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria. Avverso tale provvedimento interponeva opposizione K.A. , che veniva respinta dal Tribunale di Napoli con decisione del 20.12.2016. Con la sentenza oggi impugnata, n. 2122/2018, la Corte di Appello di Napoli rigettava l’impugnazione proposta dal K. avverso la decisione di prime cure. Il giudice di merito riteneva insussistenti i presupposti per la concessione della protezione, internazionale e umanitaria, anche alla luce della condizione interna del Paese di origine del richiedente Senegal , che -secondo la Corte di Appello è interessato da una situazione di instabilità soltanto relativamente alla regione del Casamance, dalla quale non è certo che provenga il K. . Propone ricorso per la cassazione di tale decisione K.A. affidandosi a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità. Ragioni della decisione Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis perché la Corte di Appello non avrebbe dato rilievo al fatto che il Tribunale non aveva disposto la sua audizione personale nonostante l’assenza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi la commissione territoriale. La censura è infondata. Dall’esame degli atti processuali, consentita a questa Corte posto che il motivo configura un vizio di natura processuale, risulta che il giudice di prime cure ha fissato l’udienza per la discussione dell’opposizione proposta dall’odierno ricorrente nel provvedimento del Tribunale infatti si legge testualmente che All’udienza del giorno 25 ottobre 2016, acquisita documentazione, e il parere del PM, la causa veniva riservata per la decisione cfr. pag.1 . Nell’atto di appello il K. ha contestato il mancato riconoscimento della protezione, internazionale o umanitaria, senza tuttavia nulla dedurre in merito alla mancanza della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi la commissione territoriale e -soprattutto senza invocare, come specifico motivo di impugnazione, la sua mancata audizione personale in prime cure. Nè, per altro verso, risulta dalla sentenza della Corte partenopea qui impugnata che l’odierno ricorrente avesse proposto specifico motivo di censura in relazione alla sua mancata audizione in prima istanza. È ben vero che nelle conclusioni rassegnate in atto di appello il K. ha chiesto, in via istruttoria, alla Corte di Appello di autorizzare la sua audizione personale, ma ciò non si traduce necessariamente in un motivo di censura, laddove come nel caso di specie difetti qualsiasi critica della decisione di prime cure sul punto specifico piuttosto, la richiesta integra una mera istanza con la quale il K. ha chiesto alla Corte napoletana di essere ascoltato anche in seconde cure, cosa che tuttavia la legge non dispone come snodo necessario del processo. L’implicito rigetto, da parte della Corte di Appello, di detta richiesta, quindi, non si traduce in alcun vizio del procedimento. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5, 6, 7, 8 e 14 e delle norme in materia di protezione internazionale, perché la Corte partenopea avrebbe dovuto ravvisare quantomeno la situazione di pericolo di danno grave all’incolumità della persona richiesta per la concessione della protezione internazionale sussidiaria. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 perché la Corte territoriale non avrebbe considerato la sua condizione di vulnerabilità ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per omesso esame, da parte della Corte di seconde cure, della considerazione sociopolitica del Paese di provenienza. Le tre censure, che per la loro connessione meritano un esame congiunto, sono inammissibili. Ed invero la Corte territoriale ha -contrariamente a quanto deduce il ricorrente adeguatamente ricostruito la situazione interna del Senegal, dando atto in particolare cfr. pagg.6 e s. della condizione della regione del Casamance, anche se il richiedente la protezione non aveva adeguatamente chiarito, in atto di appello, di provenire effettivamente da quella zona. Questa Corte ha affermato, con le ordinanze n. 13449/2019, n. 13450/2019, n. 13451/2019 e n. 13452/2019, la prima delle quali massimata cfr. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv.653887 il principio per cui il giudice di merito, nel fare riferimento alle cd. fonti privilegiate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, deve indicare la fonte in concreto utilizzata nonché il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione, così da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione sul punto, cfr. anche Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, non massimata . Nel caso di specie, la decisione impugnata soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa indica le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito -sito OMISSIS , rapporto Amnesty International 2014-2015, sito viaggiare sicuri del Ministero degli Affari Esteri, cd. C.O.I. Country of Origin Information , rapporto Freedom in the World 2016, Annual Report 2015 della Croce Rossa Internazionale, Counrty Reports on Human Rights Practices Senegal del Dipartimento di Stato U.S.A. del 2016 ed il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, consentendo in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione. Nel secondo motivo di censura il ricorrente lamenta che le informazioni sulla base delle quali il giudice di merito ha deciso sarebbero smentite da altre fonti internazionali, tra cui il rapporto Amnesty international 2018, soprattutto con riferimento alla condizione carceraria, senza tuttavia dedurre alcunché di specifico in relazione al rischio che il richiedente la protezione, una volta rientrato nel Paese di origine, possa essere avviato alla detenzione. Questa Corte non può spingersi sino alla valutazione delle risultanze istruttorie compiuta dal giudice del merito, laddove nel motivo di censura non vengano evidenziati precisi riscontri idonei ad evidenziare che le informazioni sulla cui base il giudice territoriale ha deciso siano state superate da altre e più aggiornate fonti qualificate ovvero siano state considerate dal giudice di merito solo in modo generico e senza alcuna concreta aderenza alla condizione personale del richiedente la protezione. Solo laddove dalla censura emerga la precisa dimostrazione di quanto precede, infatti, potrebbe ritenersi violato il cd. dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice del merito, nella misura in cui venga cioè dimostrato che quest’ultimo abbia deciso sulla scorta di notizie ed informazioni tratte da fonti non più attuali o comunque non direttamente attinenti alla condizione personale del richiedente la protezione. In caso contrario, la semplice e generica allegazione dell’esistenza di un quadro generale del Paese di origine di quest’ultimo differente da quello ricostruito dal giudice di merito si risolve nell’implicita richiesta di rivalutazione delle risultanze istruttorie e nella prospettazione di una diversa soluzione argomentativa, entrambe precluse in questa sede. Può quindi affermarsi il principio secondo cui Ai fini della dimostrazione della violazione del dovere di collaborazione istruttoria gravante sul giudice di merito in tema di protezione internazionale non è sufficiente la mera prospettazione, in termini generici, di una situazione complessiva del Paese di origine del richiedente diversa da quella ricostruita dal giudice di merito, sia pure sulla base del riferimento a fonti internazionali alternative o successive a quelle utilizzate dal predetto giudice e risultanti dal provvedimento decisorio, ma occorre che la censura dia atto in modo specifico degli elementi di fatto idonei a dimostrare che il giudice di merito abbia deciso sulla base di informazioni non più attuali, ovvero che la valutazione delle fonti sia stata condotta con modalità tali da non considerare il concreto pericolo dedotto dal richiedente la protezione. A tal riguardo, la censura deve contenere precisi richiami, anche testuali, alle fonti alternative o successive proposte, ovvero specifici richiami alla condizione personale del richiedente la protezione, in modo da consentire alla Corte di Cassazione l’effettiva verifica circa la predetta violazione del dovere di collaborazione istruttoria . In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese, in difetto di svolgimento di attività difensiva nel presente giudizio di legittimità da parte del Ministero intimato. Poiché il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, va dichiarata la sussistenza, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dei presupposti per l’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.