Il mancato deposito della copia autentica della sentenza con la relata di notifica determina l’improcedibilità del ricorso

Non è possibile desumere, dal fascicolo d’ufficio, la data del deposito della sentenza impugnata quindi, in caso di mancato deposito con il ricorso di copia autentica della sentenza e della relata, il ricorso deve essere dichiarato improcedibile.

Questo è il principio ribadito dalla terza sezione della Suprema Corte, con la sentenza n. 26306/19 emessa nella camera di consiglio del 2 luglio e depositata il successivo 17 ottobre, in un ricorso risalente al 2017, per la cassazione di una sentenza della Corte d’appello di Napoli dello stesso anno, in una questione in materia di responsabilità medica, che la Suprema Corte ha esaminato solo dopo aver rilevato l’improcedibilità del ricorso. Il caso. I ricorrenti introducevano il giudizio di primo grado per un’asserita responsabilità medica, per la morte del loro allora padre e marito, nei confronti di tre medici e della ASL di riferimento, i quali a loro volta chiamavano in giudizio le rispettive compagnie assicurative. Il Tribunale di Massa rigettava la domanda proposta per ottenere il risarcimento del danno sofferto dal loro padre e marito, avvenuta a loro dire a seguito di pretesa malpractice addebitabile, secondo la ricostruzione degli eredi, ai medici che l’avevano avuto in cura presso l’ospedale di Carrara. Gli eredi proponevano quindi appello, cui resistevano le controparti. L’appello veniva rigettato dalla Corte di Appello di Genova con sentenza del 26 luglio 2017, che pur censurando la sentenza di primo grado in punto di qualificazione dell’azione come deducente una responsabilità extracontrattuale e condividendo l’assunto degli appellanti in ordine alla qualificazione contrattuale, aveva respinto l’appello per la mancata dimostrazione del nesso causale tra l’operato dei medici e il supposto danno subito. Gli allora appellanti hanno quindi impugnato la sentenza della Corte d’Appello di Genova, con ben sei motivi, tra cui l’omessa disamina del contenuto della perizia e dunque omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, la falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 40 e 41 c.p. e dell’art. 2697 in materia di responsabilità civile, nonché infine la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova in materia di responsabilità civile medica. Solo una delle compagnie assicurative ha resistito con controricorso, chiedendo il rigetto del ricorso principale. Il ricorso. E’ causa di improcedibilità del ricorso, nell’ipotesi di sentenza di appello notificata a cura della controparte, il mancato deposito della sentenza impugnata in copia autentica completa di relata di notifica, risultando impossibile valutare la tempestività dell’impugnazione della sentenza di appello. La Cassazione ha ribadito il principio più volte espresso 2386/2017, 13751/2018 non potendo essere desunta d’ufficio la data di notificazione della sentenza, ai fini della valutazione sulla tempestività del ricorso e quindi sulla sua procedibilità, è assolutamente indispensabile che venga prodotta, con il deposito dell’atto introduttivo, copia autentica della sentenza impugnata, con la relativa relata di notifica. Nel caso in esame, questo non è accaduto, avendo la parte ricorrente dichiarato nel ricorso che la sentenza sarebbe stata notifica, a cura di parte appellata, il 12 settembre 2017, ma non avendo prodotto la copia autentica della sentenza con la relata di notifica, che non è stata depositata nemmeno dalla parte resistente. In questa situazione, quindi, si configura una causa di improcedibilità alla stregua del principio di diritto pronunciato dalla Cassazione a Sezioni Unite 10648/2017 , non essendo in tema di sentenza per la cui impugnazione il termine decorre dalla pubblicazione, non è possibile desumere detto termine dal fascicolo d’ufficio e il ricorso è quindi improcedibile, come è stato dichiarato dalla sentenza in commento, che ha anche condannato i ricorrenti al pagamento delle spese e dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 2 luglio – 17 ottobre 2019, n. 26306 Presidente Travaglino – Relatore Frasca Fatti di causa 1. G.P. , G.C. e G.G. hanno proposto ricorso per cassazione contro FI.GI. , GR.GI. , CA.GI. , l’Azienda USL omissis già azienda USL omissis , la Gestione Liquidatoria della ex USL n. omissis , la s.p.a. Generali Italia - indicata per quattro volte come già Spa Ina Assitalia -, la s.p.a. Allianz già Ras Assicurazioni e la generali Italia s.p.a., indicata come già Assitalia - Le Assicurazioni d’Italia s.p.a. , nonché nei confronti di G.F. in proprio e quale erede di G.T. e Ce.Ve. . Il ricorso è stato proposto contro la sentenza del 26 luglio 2017 della Corte d’Appello di Genova, la quale - pur censurando la sentenza di primo grado in punto di qualificazione dell’azione come deducente una responsabilità extracontrattuale e condividendo l’assunto degli appellanti in ordine alla qualificazione contrattuale - ha rigettato l’appello di essi ricorrenti e del G.F. avverso la sentenza del Tribunale di Massa del dicembre del 2014, la quale aveva rigettato la domanda proposta da loro e dalla madre Ce.Ve. poi deceduta nelle more del giudizio per ottenere il risarcimento del danno sofferto per la morte del loro padre e marito, avvenuta a loro dire a seguito di pretesa mal practice addebitabile al Fi. , al Ca. e al Gr. , medici che l’avevano avuto in cura in occasione di un ricovero presso l’Ospedale di . 3. La conferma del rigetto della domanda, sebbene con la diversa qualificazione riconosciuta all’azione, è stata motivata dalla corte territoriale con la condivisione dell’avviso del primo giudice in ordine alla mancata prova del nesso causale. Al ricorso ha resistito, con controricorso, soltanto la Generali Italia s.p.a 4. Le parti costituite hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Il Collegio rileva che il ricorso risulta notificato a mezzo PEC e l’oggetto della notificazione non è un documento nativo digitale, bensì un documento analogico che risulta sottoscritto dal difensore dei ricorrenti. La relata della notificazione e il messaggio di PEC con cui si è proceduto alla notificazione non risultano asseverate dal difensore notificante, di modo che l’iscrizione a ruolo risulta avvenuta sulla base della combinazione fra un ricorso analogico recante sottoscrizione diretta e non digitale e la documentazione dell’attività notificatoria a mezzo PEC non asseverata. Nella descritta situazione non risultano applicabili i principi di cui a Cass., Sez. Un., n. 22438 del 2018, che sono stati enunciati con riferimento all’ipotesi in cui anche il ricorso abbia natura nativa digitale, cioè rechi sottoscrizione apposta in forma digitale, e la situazione risulta quella di un ricorso depositato in originale con di seguito una relazione di notificazione a mezzo PEC, la quale non essendo asseverata, determina che sia il procedimento notificatorio a non essere autentico e ciò in non diversa guisa di come accadrebbe se, in presenza di una notificazione a mezzo ufficiale giudiziario oppure a mezzo posta si producessero le relate in copia fotostatica il tenore della rappresentazione fornita nel caso di specie è simile a quello delle ipotesi appena indicate. Ne segue che, mentre per la notifica alla parte resistente la circostanza della mancata documentazione del procedimento notificatorio in originale risulta irrilevante, essendosi essa costituita, per le altre rimaste intimate risulta rilevante e, mancando certezza sull’effettiva notificazione, sarebbe necessario ordinare ai ricorrenti di provvedere a rinnovare la notificazione, atteso che non può trovare applicazione il principio di diritto enunciato a suo tempo da Cass., sez. Un., n. 627 del 2008 assumendo rilievo, vertendosi in situazione riconducibile all’art. 331 c.p.c., il dover assicurare l’integrità del contraddittorio essenziale per l’inscindibilità della controversia in termini si veda Cass., Sez. Un., n. 14124 del 2010 . 1.1. Tuttavia, il Collegio rileva che non è necessario ordinare l’integrazione del contraddittorio, in quanto il ricorso risulta affetto gradatamente da una causa di improcedibilità ed i motivi sono comunque inammissibili, sicché l’applicazione dell’art. 331 c.p.c. risulterebbe del tutto defatigatoria Cass., Sez. Un., n. 6826 del 2010 . 2. La causa di improcedibilità discende dal fatto che parte ricorrente ha espressamente allegato nel ricorso che la sentenza impugnata sarebbe stata notificata il 12 settembre 2017, ma non ha prodotto la copia autentica della sentenza con la relata di notificazione ed essa non è stata prodotta nemmeno dalla parte resistente. In tale situazione si configura una causa di improcedibilità alla stregua del principio di diritto di cui a Cass. Sez. Un., n. 10648 del 2017, dovendosi rilevare che, non vertendosi in ipotesi nella quale il termine per l’impugnazione decorre dalla comunicazione di cancelleria del deposito della sentenza, non potrebbe la prova della notificazione della sentenza desumersi dal fascicolo d’ufficio del giudice a quo. Cass. ord. n. 2386 del 2017 in senso conforme Cass. n. 13751 del 2018 . Inoltre, essendo avvenuta la pubblicazione della sentenza il 26 luglio 2017 non giova a parte ricorrente nemmeno la c.d. prova di resistenza alla stregua del principio di diritto affermato da Cass. n. 17066 del 2013 e numerose conformi, giacché, al loro della sospensione del termine per il periodo feriale dal 1 agosto a 31 agosto 2017, il termine breve dalla data di pubblicazione scadeva il 25 ottobre 2017. 2.1. Il ricorso dev’essere, dunque, dichiarato improcedibile. 3. Peraltro, se lo scrutinio dei motivi fosse stato possibile, il suo esito sarebbe stato negativo per i ricorrenti. 3.1. Il primo motivo - deducente omessa disamina del contenuto della consulenza perizia, espletata su incarico del Procuratore generale della repubblica, dal Dott. Fa. e, dunque, omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5 - lamenta che la corte territoriale avrebbe omesso qualsiasi esame della consulenza, disposta in sede di indagini preliminari e sostiene, dopo avere riportato le conclusioni del consulente, che la sentenza impugnata avrebbe omesso qualsiasi riferimento a detta indagine peritale, così incorrendo nel vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non avendo disposto, peraltro, una propria c.t.u 3.1.1. Il motivo è in primo luogo inammissibile, in quanto omette di indicare se e dove con l’appello si era sollecitato l’esame della detta consulenza rectius perizia, dato il suo ambiente e, a monte, se e come si fosse argomentato in primo grado da detta perizia e se e come di essa si fosse occupato il primo giudice. In tale situazione risulta - anche per il tenore dell’esposizione del fatto, che omette qualsiasi riferimento al tenore dell’appello - mancata ogni attività evidenziatrice di una situazione per cui della perizia il giudice d’appello si sarebbe dovuto occupare. Si ricorda che Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 hanno precisato che L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia . Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il fatto storico , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività , fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. . Nel caso di specie, non solo si è omesso di far constare, in ottemperanza dell’onere di cui all’art. 366, n. 6, ed ancor prima della naturale applicazione del principio dei limiti della devoluzione in appello connaturati alla necessità di proporre motivi di critica alla sentenza impugnata, come e perché il giudice d’appello si sarebbe dovuto occupare della detta perizia, ma si è lamentata l’omesso esame di una risultanza istruttoria con l’automatismo di rilevanza che le Sezioni Unite hanno escluso. 3.2. Il secondo motivo - con cui si deduce omessa disamina delle risultanza della perizia, a mezzo del Dott. D. , disposta in sede di giudizio penale, e delle dichiarazioni rese dal perito in sede dibattimentale, e, dunque, omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5 - in realtà non espone dalla pagina 10 alla pagina 13 del ricorso l’omesso esame di un fatto , sebbene individuato nella perizia de qua, ma, dopo avere espressamente evocata, riproducendola, la motivazione della sentenza impugnata che ha considerato detta perizia, sostiene che tale motivazione sarebbe stata solo apparente perché, genericamente, fondata sull’assunto che il perito del giudice penale avrebbe prima sostenuto con forza e, poi, ridimensionato le proprie conclusioni. In tal modo si enuncia un vizio che, vigente il nuovo n. 5 dell’art. 360 le citate Sezioni Unite hanno individuato come deducibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, sotto il profilo della violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ma, anche a voler intendere il motivo in tale senso alla stregua dell’insegnamento di cui a Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013 , la prospettazione è palesemente priva di pregio la stessa lettura del passo motivazionale riportato evidenzia che la perizia è stata oggetto di valutazione e palesa le ragioni che hanno indotto la corte territoriale a valutarla nel modo enunciato, sicché la motivazione non solo esiste graficamente, ma esiste nella sostanza, sì che non è fondato l’addebito di essere generica e inconsistente da ridursi ad una mera petitio principii , che è anzi esso ad essere del tutto assertorio. L’illustrazione, del resto, si risolve in una sollecitazione a questa Corte a rivalutare passi della perizia, così ponendosi sotto tale profilo al d fuori del paradigma dell’art. 360, n. 5, che si è formalmente evocato. Il motivo sarebbe inammissibile. 3.3. Il terzo motivo deduce falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 40 e 41 c.p. e dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova del nesso causale materiale in tema di responsabilità civile, ex art. 360 c.p.c., n. 3 , ma addebita a torto alla corte territoriale di avere inteso il nesso causale anziché alla stregua del noto criterio del più probabile che non , mentre essa, come evidenzia il passo motivazionale criticato, se è vero che ha detto che dalle dichiarazioni del perito non emergeva certezza sulle cause della morte, ha, poi, proprio applicando quel principio, rilevato che tutte le cause possibili erano di pari grado. Inoltre, la parte di motivazione considerata nel motivo omette di considerare l’affermazione successiva a chiusura che d’altra parte il rifiuto dei parenti di fare sottoporre il loro congiunto ad un’autopsia che avrebbe chiarito le cause del decesso ha impedito di acquisire elementi di maggior certezza su un quadro clino che rimane tuttora indecifrabile . Sicché, la critica alla motivazione è anche parziale. Il motivo sarebbe stato, dunque, privo di fondamento. 3.4. Il quarto motivo deduce violazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova in materia di responsabilità civile e illegittima estensione dell’onere di allegazione del creditore alla specifica indicazione del ruolo svolto da ciascun medico nell’illecito dedotto, ex art. 360 c.p.c., n. 3 . Si tratta di motivo che addebita alla corte territoriale di avere preteso - in violazione dei principi affermati da Cass., Sez. Un., n. 577 del 2008 - l’onere di allegazione indicato nell’intestazione del motivo, ma quella corte, come emerge dalla stessa motivazione criticata non ha dato rilievo ad esso, bensì al fatto che non era stato possibile accertare la causa specifica del fatto dannoso, così nuovamente ribadendo in realtà l’assunto sulla mancanza di prova del nesso causale riguardo a tutti i pretesi responsabili. 3.5. Il quinto motivo deduce omessa disamina del contenuto della citazione, e, dunque, omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione fra le arti ex art. 360 c.p.c., n. 5 e, riproducendo il contenuto della stessa, sostiene che dunque, in sede di atto di citazione, come evincibile ex actis, parte ricorrente aveva avuto modo di soffermarsi accuratamente sulla descrizione della patologia da cui era affetto il de cuius e sulle omissioni imputabili ai resistenti, sia sotto il profilo diagnostico sia terapeutico , mentre non aveva perché nell’impossibilità di farlo, indicato lo specifico ruolo rivestito, nell’accaduto, da ciascuno dei convenuti . Il motivo risulterebbe infondato, una volta considerato che la ratio decidendi, come rilevato a proposito del motivo precedente, si è attestata sulla mancanza di prova del nesso causale per ciascun preteso responsabile. 3.6. Il sesto motivo denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in materia di onere della prova in materia di responsabilità civile medica ed, in particolare, del principio interpretativo per cui la prova della causa ignota e il correlato rischio incombe sul debitore della prestazione ovvero, nel caso di specie, sui medici convenuti, ex art. 360 c.p.c., n. 3 , ma addebita alla sentenza quanto indicato evocando un passo motivazionale di una decisione di questa Corte, la n. 17143 del 2012 che concerne, in realtà, a nesso causale provato secondo la regola del più probabile che non , il problema della colpa ed ha voluto sottolineare che, una volta raggiunta la prova del nesso causale, l’essere rimasta ignota in termini di certezza la causa del danno, non esonera, proprio perché il nesso è dimostrato secondo quella regola, dalla prova dell’assenza di colpa. 4. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato improcedibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto che l’esito della presente decisione è riconducibile all’ambito di tipologie di decisione che giustifica la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. La Corte dichiara improcedibile il ricorso. Condanna i ricorrenti alla rifusione ai resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro tremiladuecento, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto che l’esito della presente decisione è riconducibile all’ambito di tipologie di decisione che giustifica la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.