I requisiti della contemplatio domini

In materia di rappresentanza, la contemplatio domini non richiede espressioni solenni, ma può essere manifestata attraverso un comportamento del rappresentante che sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente che egli agisce per un soggetto diverso.

Questo è il principio ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 22616/19, depositata il 10 settembre. Il caso. Un ingegnere citava in giudizio il presidente del consiglio di amministrazione e il consigliere di amministrazione di una s.r.l., nonché la società stessa, per sentirli condannare al pagamento della sua opera professionale, consistita nella redazione del progetto di ristrutturazione e del computo metrico relativo ai lavori. Si costituivano in giudizio i convenuti i quali sostenevano che l’opera sarebbe stata eseguita in favore della società e non richiesta da loro. Il Tribunale accoglieva la domanda attorea e in secondo grado la Corte d’Appello confermava la decisione di primo grado. Interviene sul caso la Suprema Corte di Cassazione. I professionisti associati. Innanzitutto, i Giudici di legittimità ricordano che lo studio professionale associato, anche se privo di personalità giuridica, rientra nel novero dei fenomeni di aggregazione di interessi tali per cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, dotati di capacità di stare in giudizio in persona dei loro componenti o di chi ne abbia la legale rappresentanza. Tuttavia, si è altresì detto che i professionisti che si associano non trasferiscono all’associazione costituitasi tra loro la titolarità del rapporto di prestazione d’opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente e non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio. Ebbene, nel caso in esame, come giustamente affermato dalla Corte territoriale, il rapporto professionale d’opera era intercorso direttamente tra l’ingegnere e gli appellati, pertanto l’aver prestato la suddetta opera quale contitolare dello studio” è un’affermazione inidonea a trasferire all’associazione professionale la titolarità del rapporto, che appunto rimaneva tra il professionista e il proprio cliente. Il conferimento dell’incarico professionale in questione era avvenuto in nome proprio e non in nome della società, di cui non si era fatto menzione al momento della stipula orale del contratto d’opera. Pertanto, il suddetto motivo di ricorso risulta essere inammissibile. Le prove della contemplatio domini. Per quanto riguarda invece l’esternazione del potere rappresentativo, occorre ribadire che nei contratti a forma libera, per manifestare il potere rappresentativo è sufficiente che dalle modalità in cui si è svolta l’attività negoziale i terzi possano riconoscere l’inerenza all’impresa sociale così da poter desumere che l’attività è espletata nella qualità di rappresentante di un altro soggetto. Infatti, la contemplatio domini non richiede espressioni solenni, ma può essere manifestata attraverso un comportamento del rappresentante che sia idoneo a portare a conoscenza dell’altra parte contraente che egli agisce per un soggetto diverso. E tali valutazioni, nel caso in esame, non sono state fatte dalla Corte distrettuale, la quale ha omesso di verificarne la sussistenza. Per quanto riguarda, dunque, questo motivo di ricorso si impone la cassazione della sentenza.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 26 marzo – 10 settembre 2019, n. 22616 Presidente Orilia – Relatore Bellini Fatti di causa Con atto di citazione, notificato in data 6-13 11.2007, l’ing. F.G. citava in giudizio innanzi al Tribunale di Milano B.G. e S.G. , entrambi in proprio e nella qualità rispettiva di Presidente del Consiglio di Amministrazione e di Consigliere di Amministrazione della ALEN SERVIZI IMMOBILIARI s.r.l., nonché la ALEN stessa, per sentirli condannare in solido al pagamento della sua opera professionale, consistita nella redazione del progetto di ristrutturazione nonché del computo metrico relativo ai predetti lavori. Si costituivano in giudizio con un unico difensore entrambi i convenuti, i quali eccepivano, in via pregiudiziale, il loro difetto di legittimazione passiva per non aver commissionato all’attore la suddetta opera professionale e assumendo che, comunque, tale opera sarebbe stata eseguita in favore della società. I convenuti chiedevano, quindi, il rigetto della domanda. Espletata l’istruttoria, con sentenza n. 11422/2011, depositata in data 28.9.2011, il Tribunale di Milano accoglieva la domanda attorea, condannando i due convenuti in solido tra loro al pagamento della somma di Euro 7.378,00, oltre IVA e CPA e interessi, nonché alle spese di lite. Avverso detta sentenza proponeva appello il B. con atto di citazione notificato in data 9.11.2012. Si costituiva in giudizio S.G. con appello incidentale adesivo a quello dell’appellante principale. Si costituiva il F. chiedendo il rigetto di entrambi gli appelli e la conferma della sentenza impugnata, con la condanna degli appellanti al risarcimento dei danni derivanti dalla proposizione di lite temeraria ai sensi dell’art. 96 c.p.c La Alen Servizi Immobiliari s.r.l., nonostante ritualmente citata, rimaneva contumace. Con sentenza n. 262/2014, depositata in data 22.1.2014, la Corte d’Appello di Milano rigettava l’appello principale e quello incidentale, confermando la sentenza di primo grado e condannando gli appellanti in solido alle spese di lite del grado. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione B.G. sulla base di tre motivi, illustrati da memoria resiste F.G. con controricorso gli intimati non hanno svolto difese. Ragioni della decisione 1.- Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la Violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. e insufficiente motivazione sul punto , poiché sia nella comparsa di costituzione depositata nel giudizio di primo grado, sia nell’atto di citazione in appello, il B. aveva eccepito la carenza di legittimazione attiva dell’ing. F. , avendo questo prestato l’opera professionale per la quale è causa quale contitolare dello Studio INPRO di Varese , soggetto diverso dal F. , inteso come professionista singolo. Da ciò, il ricorrente opina il difetto di legittimazione attiva del F. , rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado. 1.1. - Il motivo è inammissibile, là dove denuncia il vizio di insufficiente motivazione, con riferimento alla nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 cfr. Cass. sez. un. 8053 del 2014 . 1.1.1. - Per il resto il motivo è infondato. 1.2. - È ben vero che questa Corte ha affermato che lo studio professionale associato, quantunque privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, dotati di capacità di stare in giudizio in persona dei loro componenti o di chi ne abbia la legale rappresentanza secondo l’art. 36 c.c. Cass. n. 8768 del 2018 conf. Cass. n. 8853 del 2007 . Tuttavia, si è del pari chiarito che i professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività non trasferiscono per ciò solo all’associazione tra loro costituita la titolarità del rapporto di prestazione d’opera, ma conservano la rispettiva legittimazione attiva nei confronti del proprio cliente, sicché non sussiste una legittimazione alternativa del professionista e dello studio professionale Cass. n. 6944 del 2007 e sez. 2 Sentenza n. 1405/1989. Nella specie, la Corte distrettuale ha,. correttamente affermato - con apprezzamento di fatto insuscettibile di scrutinio in sede di legittimità, in quanto adeguatamente motivato in coerenza con siffatti principi - come il rapporto professionale d’opera de quo fosse intercorso direttamente fra gli appellanti e l’ing. F. sicché l’avere questo prestato detta opera professionale quale contitolare dello Studio INPRO di Varese risulta essere affermazione inidonea di per sé a trasferire all’associazione professionale la titolarità del rapporto, che permaneva tra professionista e proprio cliente. 2. - Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la Violazione o falsa applicazione dell’art. 1388 c.c. e art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, malgoverno ed erronea valutazione delle risultanze istruttorie e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia , sottolineando di avere eccepito la sua carenza di legittimazione passiva negli atti difensivi dei giudizi di merito. Tale eccezione era stata però disattesa dalla Corte d’Appello con motivazione insufficiente ed errata applicazione del disposto di cui all’art. 1388 c.c In particolare, il B. rilevava che il F. avesse errato nel convenirlo in giudizio quale persona fisica, in quanto i lavori sarebbero stati commissionati per un immobile di proprietà della Alen Servizi Immobiliari, per cui, al massimo, B. e S. avrebbero commissionato i lavori nella loro qualità rispettivamente di Presidente e Consigliere del CdA della società. 2.1. - Il motivo è inammissibile, nella parte in cui censura la motivazione v. sopra sub 1.1 . 2.1.1. - Per il resto il motivo è infondato. 2.2. - La Corte di merito ha osservato come correttamente il Tribunale avesse ritenuto provato il conferimento dell’incarico professionale in questione in nome proprio e non invece in nome della società immobiliare, di cui entrambi i convenuti non avevano fatto menzione al momento della stipula orale del contratto d’opera, non risultando dalle dichiarazioni, rese da un unico teste, che l’incarico fosse avvenuto con spendita del nome della società. 2.3. - Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’esternazione del potere rappresentativo può avvenire anche senza espressa dichiarazione di spendita del nome del rappresentato, purché il comportamento del rappresentante sia tale, per univocità e concludenza, da portare a conoscenza dell’altro contraente là circostanza ché egli agisce per’ un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto sono destinati a prodursi direttamente. L’accertamento circa la sussistenza o meno della spendita del nome del rappresentato è, poi, compito devoluto al giudice del merito, ed è incensurabile in sede di legittimità ove sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e da errori di diritto Cass. n. 15235 del 2001 conf. Cass. sez. un. 22234 del 2009 Cass. n. 13978 del 2005 . Nei contratti a forma libera, al fine di manifestare il potere rappresentativo non è necessario che il rappresentante usi formule sacramentali, ma è sufficiente che dalle modalità e dalle circostanze in cui ha svolto l’attività negoziale e dalla struttura e dall’oggetto del negozio i terzi possano riconoscerne l’inerenza all’impresa sociale sì da poter presumere, secondo i criteri correnti nella vita degli affari, che l’attività è espletata nella qualità di rappresentante di altro soggetto Cass. n. 23131 del 2010. La contemplatio domini non esige, dunque, l’impiego di formule solenni o l’osservanza di un preciso rituale, e può essere manifestata attraverso un comportamento del rappresentante che, per univocità e concludenza, sia idoneo a portare a conoscenza dell’altro contraente che egli agisce per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto concluso sono destinati a prodursi direttamente Cass. n. 13978 del 2005 Cass. n. 22333 del 2007 . 2.4. - Orbene, nella specie, la valutazione della Corte di merito risulta del tutto sbilanciata esclusivamente sulla motivazione dell’assunto della mancata prova della spendita del nomè della società Alen Servizi Immobiliari da parte. del Presidente e del Consigliere di amministrazione della stessa nel silenzio del teste al riguardo v. pagina 5 . Viceversa, la Corte ha omesso di verificare la sussistenza dell’ulteriore congruente profilo direttamente desumibile dai suddetti principi della configurabilità o meno di un comportamento dei rappresentanti tale, per univocità e concludenza anche rispetto alla dedotta esistenza di pregressa prassi negoziale tra le stesse parti , da portare a conoscenza dell’altro contraente la circostanza di agire per un soggetto diverso, nella cui sfera giuridica gli effetti del contratto fossero destinati a prodursi direttamente. Ed al riguardo, la Corte di appello avrebbe dovuto considerare la proprietà dell’immobile oggetto dei lavori, le modalità di fatturazione della prestazione, i luoghi in cui avvenivano gli incontri elementi, questi, emergenti dagli atti ed evidenziati nel ricorso . Si impone, pertanto la cassazione della sentenza, in parte qua. 3. - Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la Violazione o falsa applicazione dell’art. 1399 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, erronea valutazione delle risultanze istruttorie e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia . Il motivo è assorbito in conseguenza dell’accoglimento del secondo motivo. 4. - Il primo motivo di ricorso va rigettato. Viceversa va accolto il secondo motivo, con assorbimento del terzo. Conseguentemente, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio della causa alla Corte d’Appello di Milano, altra sezione, che provvederà anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo motivo, con assorbimento del terzo cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano, altra sezione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.