Se sul terreno espropriato vi è un manufatto abusivo tale potrà essere oggetto di rifusione solo se…

Ai sensi dell’art. 38, comma 2-bis, d.P.R. n. 327/2001, il diritto all’indennità non è escluso dall’originaria abusività dell’edificazione ove l’immobile, alla data dell’esproprio, sia stato fatto oggetto di una domanda di sanatoria non ancora scrutinata dalla P.A. dovendo, in tal caso, quest’ultima effettuare una valutazione prognostica circa la sia condonabilità.

La Civica amministrazione deve rifondere altresì il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c. che può essere individuato nell’eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi. La fattispecie. Nel caso in esame l’Ente locale ricorrente ha impugnato l’ordinanza emessa dalla Corte d’Appello con la quale è stata quantificata l’indennità di esproprio a favore del soggetto espropriato quantificando sia il valore del terreno sia quello del manufatto ivi costruito in quanto, anche se abusivo, sanabile in quanto irrilevante e non incidente sulla destinazione urbanistica dell’area. La vicenda è, poi, giunta avanti alla Corte di legittimità la quale ha espresso i seguenti principi. L’esistenza di un immobile non sanato. Nell’ipotesi di espropriazione di un’area su cui insiste una costruzione abusiva, ai sensi dell’art. 38, comma 2- bis , d.P.R. n. 327/2001, il diritto all’indennità non è escluso dall’originaria abusività dell’edificazione ove l’immobile, alla data dell’esproprio, sia stato fatto oggetto di una domanda di sanatoria non ancora scrutinata dalla P.A. dovendo, in tal caso, quest’ultima effettuare una valutazione prognostica circa la sia condonabilità solo ove tale valutazione sia positiva la P.A. avrà l’obbligo di tenere conto del valore del bene. Gli interessi e il danno da svalutazione. La Corte ha avuto modo di asserire che la Civica amministrazione, oltre alle indennità, deve rifondere altresì il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, c.c. nocumento che può essere individuato nell’eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di stato di durata non superiore a dodici mesi e il saggio di interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’art. 1284, comma 1, c.c Ciò fatta salva la possibilità per il debitore di dimostrare che il creditore non ha subito un maggior danno o che la ha patito in misura inferiore a quella differenza. Qualora sia il creditore a pretendere il ristoro del nocumento in misura maggiore deve offrire la prova del danno effettivamente subito.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 29 aprile – 6 giugno 2019, n. 15410 Presidente Tirelli – Relatore Lamorgese Rilevato che P.N. ha chiesto la determinazione delle giuste indennità di espropriazione - disposta dal Comune di Roma, a beneficio della società Aga 2005, per la realizzazione di una complessa opera d’interesse pubblico, denominata Nuova Fiera di Roma - di un’area parte della quale era di sua proprietà, in omissis , costituita da un terreno di mq. 1600, delimitato da un muro di cinta, su cui insistevano un capannone, due rampe in cemento armato, un pozzo e alberi da frutto. L’adita Corte d’appello di Roma, istruita la causa in via documentale e mediante una consulenza d’ufficio, l’ha decisa con ordinanza del 26 novembre 2012 ha qualificato l’area come non edificabile e agricola e ha ritenuto l’eventuale sanabilità del manufatto abusivo irrilevante e non incidente sulla destinazione urbanistica dell’area ha stimato il terreno in Euro 141488,00, il manufatto non sanato in Euro 66530,00, i soprassuoli in Euro 21223,00, per un importo complessivo di Euro 229241,00, oltre interessi. La società Aga 2005 ha proposto ricorso per cassazione, cui il Comune di Roma ha aderito il P. ha resistito proponendo anche ricorso incidentale. Le parti hanno presentato memorie difensive. Considerato che Il primo motivo del ricorso principale, il quale denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, per avere sovrastimato il terreno per un importo fuori mercato, appiattendosi sulle conclusioni del ctu, pur correttamente qualificandolo come inedificabile, è inammissibile, risolvendosi nella richiesta di una impropria rivisitazione di apprezzamenti di fatto, incensurabili in questa sede. Il secondo motivo lamenta l’attribuzione dell’indennità di esproprio per il manufatto abusivo, in violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, comma 2, che prevede a tal fine che sia pendente un procedimento di sanatoria mediante presentazione di apposita domanda, corredata della documentazione comprovante l’avvenuto versamento dell’oblazione e degli oneri concessori, per l’accertamento della sanabilità ai soli fini della corresponsione dell’indennità, mentre nella specie l’opponente non aveva dato alcuna prova della definizione del suddetto procedimento. Il suddetto motivo deve essere esaminato congiuntamente al primo motivo del ricorso incidentale di P. , il quale denuncia violazione di legge, per avere stimato il manufatto come immobile non sanato, in termini riduttivi rispetto al valore di mercato, con riferimento al mero valore della struttura calcolato sui prezzi dei materiali e di costruzione, e per avere ritenuto irrilevante la sanabilità del manufatto, in contrasto con il principio, emergente dal D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, comma 2 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 302 del 2002, art. 1, secondo cui, ai fini della stima dell’immobile abusivo al valore di mercato, è necessario ma anche sufficiente che l’espropriante abbia accertato la sussistenza delle condizioni di sanabilità dell’immobile, come avvenuto nella specie, avendo il Comune di Roma con nota del 10 maggio 2006 accertato la sanabilità, avendolo considerato come una semplice tettoia . Entrambi i motivi sono fondati nei seguenti termini. La sentenza impugnata ha affermato la irrilevanza e non incidenza della questione della sanabilità del manufatto privo di concessione in sanatoria e quindi abusivo ai fini della valutazione del manufatto ed ha riconosciuto l’indennizzo per un importo che, tra l’altro, non è chiaro se calcolato in base al valore di mercato o al solo costo di costruzione e dei materiali , senza tenere conto del principio, di cui invece avrebbe dovuto fare applicazione nella fattispecie, secondo cui, in caso di espropriazione di area su cui insista una costruzione abusiva, ed alla stregua del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 38, comma 2 bis, il diritto all’indennità non è escluso dall’originaria abusività dell’edificazione, ove l’immobile, alla data dell’esproprio, sia stato fatto oggetto di una domanda di sanatoria non ancora scrutinata dalla P.A., dovendo, in tal caso, quest’ultima effettuare una valutazione prognostica circa la sua condonabilità il cui esito, se positivo, impone di tenerne conto nella quantificazione dell’indennità, altrimenti restando la stessa rapportata non già alle caratteristiche oggettive del bene sottoposto ad esproprio, ma ad una circostanza affatto casuale ed insignificante, quale l’avere la P.A. deciso o meno sull’istanza di condono, anche se - per ipotesi - in violazione dei termini all’uopo previsti Cass. n. 28694 del 2016, n. 3794 del 2019 . Il suddetto principio dovrà essere applicato dal giudice di rinvio, il quale dovrà esaminare anche le ulteriori deduzioni delle parti, in questa sede assorbite quella della ricorrente principale, in ordine al rilievo estimativo della superficie coperta dalla tettoia e dei soprassuoli pavimentazione esterna, recinzione, cancello e quella del ricorrente incidentale, in ordine al rilievo della demolizione dell’immobile da parte del beneficiario dell’espropriazione una volta acquisito l’immobile in proprietà che, si assume, avrebbe precluso la conclusione del procedimento di sanatoria. È fondato anche il secondo motivo del ricorso incidentale con il quale il P. denuncia violazione di legge art. 1224 e 2697 2729 c.c. , per avere negato il riconoscimento del maggior danno, di cui al comma 2 dell’art. 1224 cit., richiesto nel giudizio di merito. La Corte di merito si è limitata ad affermare che il maggior danno non era provato, senza confrontarsi con il principio - che dovrà quindi applicare in sede di rinvio - secondo cui, nelle obbligazioni pecuniarie, il maggior danno da svalutazione, di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, è in via generale riconoscibile, in via presuntiva, per qualunque creditore che ne domandi il risarcimento, dovendo ritenersi superata l’esigenza di inquadrare a tale fine il creditore in una delle categorie a suo tempo individuate. La misura di questo maggior danno va individuata nell’eventuale differenza, a decorrere dalla data di insorgenza della mora, tra il tasso del rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi o tra il tasso di inflazione se superiore ed il saggio degli interessi legali determinato per ogni anno ai sensi dell’art. 1284 c.c., comma 1. È fatta salva la possibilità per il debitore di provare che il creditore non ha subito un maggior danno o che lo ha subito in misura inferiore a quella differenza, in relazione al meno remunerativo uso che avrebbe fatto della somma dovuta se gli fosse stata tempestivamente versata. Per converso, il creditore che domandi a titolo di maggior danno una somma superiore a quella differenza, è tenuto ad offrire la prova del danno effettivamente subito, quand’anche sia un imprenditore, mediante la produzione di idonea e completa documentazione Cass. SU n. 19499 del 2008 . In conclusione, la sentenza impugnata è cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di merito, cui si demanda la liquidazione delle spese. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il primo motivo e accoglie il secondo motivo del ricorso principale accoglie il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.