Il protesto di un assegno in caso di mera denuncia di smarrimento

Nelle ipotesi di smarrimento o sottrazione del titolo di credito la normativa impone la levata del protesto, non essendo sufficiente una denuncia volta ad autorizzare la banca ad omettere la levata, posto che il titolo non perde la propria efficacia in presenza di una semplice denuncia da parte del correntista.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 11557/19, depositata il 2 maggio. La vicenda. La Corte d’Appello respingeva l’impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado con cui si era disattesa la domanda, proposta dagli attori, volta alla condanna di una società cooperativa al risarcimento dei danni derivanti dal protesto di 5 assegni denunciati già come smarriti. In particolare per la Corte territoriale le firme poste sugli assegni non sono corrispondenti allo specinem e sono illeggibili in 3 assegni su 5 pertanto il protesto poteva essere elevato solo a nome del correntista effettivo. Avverso tale decisione i soccombenti propongono ricorso in Cassazione. Il protesto. Partendo da un orientamento da tempo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, la banca presso cui il titolo di credito sia domiciliato per il pagamento, nell’ipotesi in cui il soggetto obbligato principale non fornisca la provvista per il pagamento richiesto dal giratario del titolo, è obbligato a far contestare il mancato pagamento mediante l’elevazione del protesto, a tutela delle ragioni di regresso del portatore . Ed inoltre non si può pretendere che la semplice denuncia di smarrimento o di sottrazione dell’assegno integri di per sé l’accertamento della falsità o dell’inefficacia dello stesso. Infatti, anche nei casi in cui il titolo di credito sia smarrito o sottratto, il legislatore impone la levata del protesto, non essendo sufficiente una denuncia volta ad autorizzare la banca ad omettere la levata, posto che il titolo non perde la propria efficacia in presenza di una semplice denuncia da parte del correntista. Per tali ragioni, il ricorso deve essere rigettato.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 21 febbraio – 2 maggio 2019, n. 11557 Presidente Genovese – Relatore Nazzicone Fatti di causa Con sentenza depositata il 18 settembre 2014, la Corte d’appello di Venezia ha respinto l’impugnazione proposta avverso la sentenza del 15 settembre 2010, con la quale il Tribunale di Verona aveva disatteso la domanda, proposta da R.L. e dalla R. s.r.l., volta alla condanna della Cereabanca 1897 soc. coop. a r.l. al risarcimento dei danni derivati dal protesto di cinque assegni già denunziati smarriti. La corte territoriale ha ritenuto che, dal momento che le firme di traenza poste sugli assegni non sono corrispondenti allo specimen e sono illeggibili per tre di essi, mentre nel quarto risulta solo l’iniziale B e del quinto si legge la B iniziale del cognome ed un nome del tipo A. o A. , il protesto potesse essere elevato solo a nome del correntista effettivo la causale corretta è quella utilizzata n. 35 , come prescritto dalla circolare ministeriale del 30 aprile 2001, n. 3512/C, da cui risulta il rifiuto di pagamento per essere l’assegno con firma illeggibile di traenza non corrispondente allo specimen. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso i soccombenti, sulla base di due motivi. Resiste la banca con controricorso. Le parti hanno depositato memorie illustrative. Ragioni della decisione 1. - I motivi di ricorso devono essere così riassunti 1 violazione dell’art. 1176 c.c., L. camb., artt. 45, 62 e 63, in quanto i protesti furono illegittimamente levati, posta la denuncia di smarrimento degli assegni, di cui la banca era bene a conoscenza, donde l’obbligo di informare i correntisti circa l’apocrifia della firma di traenza e di annullare i titoli, ormai privi di ogni valenza, perché disconosciuti ed oggetto di reato 2 violazione della circolare ministeriale del 30 aprile 2001, n. 3512/C, la quale indicava per l’evenienza il codice 37 assegno recante firma di traenza non corrispondente al nominativo del correntista e non il codice 35 assegno recante una firma di traenza illeggibile e non corrispondente allo specimen , utilizzato nel caso di specie, laddove invece le firme non erano affatto illeggibili. 2. - Il primo motivo è infondato. Secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la cui diffusione esime da citazioni, la banca presso la quale il titolo di credito sia domiciliato per il pagamento ha, nel caso in cui l’obbligato principale non fornisca la provvista per il pagamento richiesto dal giratario del titolo, l’obbligo di far constare il mancato pagamento mediante l’elevazione del protesto, a tutela delle ragioni di regresso del portatore. Nè si può pretendere che la mera denuncia di smarrimento o di sottrazione del titolo integri di per sé l’accertamento della falsità o della inefficacia dello stesso. Anche in ipotesi di smarrimento o sottrazione del titolo, pertanto, la normativa impone la levata del protesto, ancor più chiaro essendo che non è sufficiente una denuncia di tal fatta ad autorizzare la banca ad omettere la levata, posto che il titolo non perde la sua efficacia in presenza di una mera denuncia del correntista. 3. - Il secondo motivo è inammissibile. Va precisato come, nella specie, il ricorrenti non mettano in discussione il principio di diritto, seguito da alcune sentenze Cass. 23 luglio 2018, n. 19487, non massimata Cass. 16 aprile 2003, n. 6006 Cass. 16 luglio 2010, n. 16617 Cass. 18 ottobre 1974, n. 2936 , secondo cui in caso di firma illeggibile di traenza il protesto vada levato nei confronti del correntista effettivo, principio che si suole enunciare in conformità alla circolare ministeriale richiamata dal motivo, ma si limitino invece - in ossequio proprio a tale principio - a sostenere che, in realtà, le firme in calce agli assegni non fossero affatto illeggibili. Se, tuttavia, il principio in questione non è l’oggetto del thema decidendum, quest’ultimo assunto, dal suo canto, si infrange contro la natura di pura legittimità del giudizio di cassazione, che non può sindacare l’accertamento in fatto compiuto dalla sentenza impugnata circa l’impossibilità di individuare il nominativo del soggetto firmatario, essendo risultate le firme non leggibili. 4. - Le spese vengono compensate per la peculiarità della vicenda sostanziale sottesa. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa per intero le spese di legittimità. Dichiara che, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.