Rimborsabili all’avvocato d’ufficio le spese per l’escussione dell’assistito insolvente

Laddove l'assistito non paghi il proprio difensore d’ufficio per l’attività difensiva svolta, è diritto del professionista ottenere il rimborso dei compensi relativi all’esperimento della procedura esecutiva da lui intrapresa diretta alla riscossione dell’onorario.

Così il Supremo Collegio con l’ordinanza n. 5609/19, depositata il 26 febbraio. I fatti. Il Tribunale di Milano accoglieva parzialmente l’opposizione avanzata dall’avvocato avverso il decreto che liquidava in 500euro i compensi a lui spettanti per la difesa d’ufficio di un imputato rimasto insolvente. Nello specifico, i Giudici del tribunale aumentavano l’importo spettante al professionista in 675euro ma non riconoscevano il compenso relativo all’attività che il difensore stesso aveva svolto per il vano esperimento delle procedure di escussione dell’assistito insolvente. Il professionista ricorre in Cassazione dolendosi del mancato riconoscimento del compenso per le attività intraprese volte a recuperare il suo credito nei confronti dell’assistito. Il rimborso. In riferimento alla doglianza esposta, la S.C. ribadisce che il difensore d’ufficio ha diritto al rimborso dei compensi relativi all’inutile esperimento della procedura esecutiva volta alla riscossione dell’onorario dall’assistito . Tale procedura, sottolinea di seguito la S.C., rappresenta un passaggio obbligato per chiedere la liquidazione dell’attività professionale prestata poiché i relativi costi circa le spese, i diritti e gli onorari rientrano fra quelli rimborsabili dall’erario e dunque non possono rimanere a carico del difensore. Per tali ragioni, la Corte accoglie il ricorso, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Milano.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 9 ottobre 2018 – 26 febbraio 2019, n. 5609 Presidente Orilia - Relatore Cosentino Rilevato che l’avv. A.L.M. ha proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per cassazione dell’ordinanza con cui il tribunale di Milano ha accolto parzialmente la sua opposizione avverso il decreto che aveva liquidato in Euro 500 i compensi alla stessa spettanti per la difesa di ufficio di un imputata sedicente E.C. insolvente che l’impugnata ordinanza ha aumentato l’importo liquidato alla professionista dall’ammontare di Euro 500 a quello di Euro 675,00 oltre spese, IVA e CPA , ma non ha riconosciuto alla stessa il compenso relativo all’attività svolta per il vano esperimento delle procedure di escussione dell’assistita insolvente che la causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 5 aprile 2018, nella quale il Collegio ha disposto rinnovarsi la notifica del ricorso per cassazione nei confronti del Ministero della Giustizia che a seguito del rinnovo di detta notifica, il Ministero della Giustizia ha depositato controricorso che quindi la causa è stata nuovamente chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 9 ottobre 2018, per la quale parte ricorrente ha depositato una memoria Considerato che con il primo motivo di ricorso l’avvocatessa A. denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82, 116, 117 e 170, nonché dell’art. 1, Capitolo II Tabella C penale del D.M. n. 127 del 2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in particolare, secondo la ricorrente, il tribunale avrebbe errato - nel valutare il pregio dell’opera professionale da lei svolta in base all’esito del processo, senza considerare che la prestazione del difensore è prestazioni di mezzi e non di risultato - nell’addebitare al difensore di non aver prodotto il verbale del dibattimento penale nel procedimento ex art. 170 - nel rilevare una - ad avviso della ricorrente insussistente duplicazione di voci di spesa - nel valorizzare la circostanza - ad avviso della ricorrente priva di concludenza - che la ricorrente non aveva prodotto la richiesta di copia degli atti del fascicolo del pubblico ministero - nel negare il compenso per l’attività di esame e studio che precede le udienze di mero rinvio - nell’aver liquidato gli importi dovuti per le diverse attività senza un criterio di omogeneità - nel non aver liquidato il compenso per la richiesta di controesame dei testi dell’accusa, né quello per le attività difensive svolte nell’udienza del 2.03.2011, né le spese documentate - che il motivo va disatteso, perché tutte le doglianze ivi proposte sollevano questioni di merito e attingono, in sostanza, il giudizio di fatto operato dal tribunale sulla qualità e quantità dell’attività professionale prestata dalla ricorrente esse quindi esulano dal perimetro del denunciato vizio di violazione di legge che con il secondo motivo di ricorso la ricorrente impugna il capo inerente il mancato riconoscimento del compenso per le attività svolte nel tentativo di recupero del suo credito nei confronti dall’assistita, denunciando la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82, 116, 117 e 170 che il motivo va giudicato fondato che, infatti, questa Corte ha più volte ribadito che, in sede di liquidazione giudiziale dei compensi del difensore d’ufficio, quest’ultimo ha diritto al rimborso dei compensi relativi all’inutile esperimento della procedura esecutiva volta alla riscossione dell’onorario dall’assistito, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, artt. 82 e 116 ciò in quanto tale esperimento costituisce un passaggio obbligato per chiedere la liquidazione del compenso ai sensi delle precitate norme, sicché i relativi costi, comprensivi di spese, diritti e onorari, non possono restare a carico del professionista, ma devono rientrare fra quelli rimborsabili dall’erario cfr. Cass. nn. 24104/11, 27854/2011, 15394/2012, 30484/17 che pertanto, in definitiva, il ricorso va accolto limitatamente al secondo motivo, rigettato il primo l’ordinanza gravata va quindi cassata, in relazione al motive accolto, con rinvio al tribunale di Milano, in persona di altro magistrato, che si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà anche a regolare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte rigetta il primo mezzo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza gravata in relazione al motivo accolto e rinvia al tribunale di Milano, in persona di altro magistrato, che regolerà anche le spese del presente giudizio.