Irragionevole durata del processo e proposizione di successive domande di equa riparazione

La proposizione di successive domande di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata di uno stesso processo, conseguentemente al protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello accertato con una prima decisione, la determinazione del lasso temporale per il quale compete l’indennizzo deve tenere conto dell’eventuale periodo di tempo ritenuto ragionevole che sia stato già decurtato dalla durata complessiva del giudizio in occasione della precedente liquidazione dell’indennizzo .

Lo afferma la Corte di Cassazione con ordinanza n. 3204/19, depositata il 4 febbraio. Il caso. La ricorrente chiedeva la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento dell’indennizzo per la irragionevole durata del processo contabile intrapreso. Già prima la ricorrente aveva proposto analoga domanda per ottenere l’indennizzo per il ritardo maturato sino a quella data. La Corte d’Appello rigettava il gravame, così la odierna ricorrente giunge in Cassazione per ottenere il suddetto indennizzo. La proposizione di domande successive. Al riguardo, la Suprema Corte, con rifermento al caso in esame, decide di accogliere il ricorso con cassazione della sentenza impugnata, affermando che nell’ipotesi di proposizione di successive domande di equa riparazione per la violazione del ragionevole termine di durata di un medesimo processo, in conseguenza del protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello accertato con una prima decisione, la determinazione del lasso temporale per il quale compete l’indennizzo deve tenere conto dell’eventuale periodo di tempo ritenuto ragionevole che sia stato già decurtato dalla durata complessiva del giudizio in occasione della precedente liquidazione dell’indennizzo . Si tratta, dunque, dell’esercizio di una specifica facoltà prevista dalla legge che postula il riconoscimento dell’equo indennizzo in relazione alla durata dell’intero giudizio, trattandosi di una richiesta relativa ad un processo unitario.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, ordinanza 6 dicembre 2018 – 4 febbraio 2019, n. 3204 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione D.S.C. , con ricorso del 22 maggio 2012 chiedeva la condanna del Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento dell’indennizzo per la durata irragionevole del processo contabile intrapreso dalla ricorrente nei confronti dell’INPDAP, dapprima dinanzi alla Corte dei Conti sezione giurisdizionale della Campania e poi in appello dinanzi alla Corte dei Conti sezione centrale. A tal fine evidenziava che in precedenza aveva proposto altro analogo ricorso, depositato in data 8 giugno 2010 con il quale aveva richiesto analogo indennizzo per il ritardo sino a quella data maturato e che il procedimento d’appello era stato nelle more definito con sentenza del 1 febbraio 2012, avendo quindi interesse al riconoscimento dell’indennizzo per l’ulteriore durata del processo. La Corte d’Appello di Roma con decreto n. 9482 del 6 novembre 2017 ha rigettato il ricorso, compensando le spese di lite. Al riguardo ha osservato che il giudizio pensionistico era stato introdotto in primo grado in data 29/11/1999 e definito con la sentenza n. 1456/2007 della Corte dei Conti Sezione giurisdizionale della Campania, e che successivamente era stato proposto appello, nella pendenza del quale era stato presentato un primo ricorso per la liquidazione dell’equo indennizzo. Il decreto della Corte distrettuale dava poi atto che tale prima domanda di equa riparazione era stata definita con decreto n. 4584 del 2014 che aveva accolto la domanda della ricorrente, ma rilevava altresì che tra la data del deposito del secondo ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001 e la decisione della controversia pensionistica in appello 1/2/2012 era decorso un termine di anni 1 e mesi 8 che era inferiore al termine di durata ragionevole del processo di appello anni due , sicché la seconda richiesta di liquidazione non poteva essere accolta. Per la cassazione di questo decreto l’originaria parte ricorrente ha proposto ricorso sulla base di un motivo. Il Ministero non ha svolto difese in questa fase. Con il motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 e della CEDU, art. 6. Si deduce che erroneamente la Corte avrebbe escluso che l’ulteriore ritardo maturato nella definizione del giudizio di appello non potesse essere ritenuto meritevole di indennizzo in quanto inferiore al termine di durata ragionevole del giudizio di secondo grado, trascurando però che tale termine era già stato preso in esame e detratto dalla durata complessiva del procedimento in occasione della definizione della prima domanda di equo indennizzo, laddove la somma riconosciuta alla ricorrente era stata calcolata detraendo un termine di durata ragionevole del processo di cinque anni, comprensivo cioè sia della durata ritenuta conforme ai principi della CEDU per il primo grado che di quella prevista per il giudizio di secondo grado. Il motivo è fondato. Ed invero, come si ricava in maniera evidente dalla lettura del primo decreto emesso dalla Corte d’Appello sulla domanda di equo indennizzo proposta dalla ricorrente in pendenza del giudizio di appello decreto che nello stesso provvedimento gravato si dà atto di avere letto, e quindi preso in esame ai fini della decisione oggi gravata , la somma attribuita alla D.S. teneva conto di una durata eccedente il termine ritenuto ragionevole, e quindi già scontava la detrazione dalla durata effettiva del processo di un termine di cinque anni comprensivo di quello ritenuto ragionevole sia per il primo grado che per il giudizio di appello. Nel momento in cui con la seconda domanda di equo indennizzo veniva ad essere richiesto l’ulteriore ristoro del pregiudizio derivante dal protrarsi del giudizio di appello, e tenuto conto del fatto che, nel sistema anteriore alle modifiche introdotte dal legislatore nel 2012, ma rispristinato nella sostanza per effetto della sentenza della Corte Cost. n. 88 del 2018, si è precisato che cfr. Cass. n. 3207/2012 la proposizione di successive domande di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata di un medesimo processo, in conseguenza del protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello accertato con una prima decisione, costituisce esercizio di una specifica facoltà prevista dalla legge ed è funzionale al perseguimento delle sue finalità, postulando essa il riconoscimento dell’equo indennizzo in relazione alla durata dell’intero giudizio, dall’introduzione sino alla pronuncia definitiva, trattandosi comunque di richiesta relativa ad un processo che resta unitario, la porzione di tempo reputata irragionevole nella sua durata ed oggetto della seconda domanda, non può essere nuovamente decurtata del periodo di tempo ritenuto ragionevole per il grado ove il giudizio a quo prosegua, se di tale durata si è già tenuto conto in occasione della liquidazione del primo indennizzo. La decisione impugnata deve pertanto essere cassata con l’enunciazione del seguente principio di diritto, al quale il giudice del rinvio dovrà attenersi Nel caso proposizione di successive domande di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata di un medesimo processo, in conseguenza del protrarsi della violazione anche nel periodo successivo a quello accertato con una prima decisione, la determinazione del lasso temporale per il quale compete l’indennizzo deve tenere conto dell’eventuale periodo di tempo ritenuto ragionevole che sia stato già decurtato dalla durata complessiva del giudizio in occasione della precedente liquidazione dell’indennizzo. Al giudice di rinvio che si designa in altra Sezione della Corte d’Appello di Roma è rimessa anche la liquidazione delle spese del presente giudizio. P.Q.M. Accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.