Sussistenza dell’illecito disciplinare dell’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. e , d.lgs. n. 109/2006, sussiste l’illecito disciplinare dell’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato laddove la condotta del giudice sanzionato disciplinarmente sia stata idonea, almeno astrattamente, a mettere in pericolo la libertà di determinazione e la serenità di giudizio del magistrato destinatario.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 3163/19 depositata il 1° febbraio. Il caso. Un magistrato veniva sanzionato disciplinarmente per gli illeciti di cui artt. 3, lett. a e 2, lett. e , d.lgs. n. 109/2006. Avverso la decisione, il magistrato ha proposto ricorso per cassazione. Illecito disciplinare. Il Collegio ricorda che la fattispecie in esame, ovvero l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato, è oggetto di un consolidato orientamento giurisprudenziale confermato anche dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 27434/17 che riconosce la sussistenza dell’illecito disciplinare nel magistrato allorquando la condotta del magistrato interferente sia idonea, almeno astrattamente, a mettere in pericolo la libertà di determinazione e la serenità di giudizio del magistrato destinatario. L’art. 2, comma 1, lett. e , d.lgs. n. 109/2006 configura infatti un illecito di pericolo, non quale fonte di pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale, ma quale lesione e messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma. Come precisa la S.C., l’astratta idoneità a interferire non implica, infatti, l’effettiva deviazione dal percorso decisionale, riannodabile all’interferenza, né che il magistrato soggetto a pressione si sia sentito in concreto condizionato . In conclusione, sottraendosi da ogni censura la sanzione disciplinare inflitta e rimanendo esclusa la rivalutazione del merito nel giudizio di legittimità, la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 15 gennaio – 1 febbraio 2019, n. 3163 Presidente Cappabianca – Relatore Perrino Fatti di causa M.C. , consigliere presso la sezione lavoro della Corte d’appello di L’Aquila, è stato incolpato degli illeciti disciplinari rispettivamente previsti dal D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3, lett. a , e art. 2, lett. e . Per un verso, gli si è ascritto di aver fatto uso della propria qualità di magistrato con alcuni soggetti, amministratori di fatto o di diritto del cosiddetto gruppo D.N. , giacché dapprima ha loro promesso la propria intermediazione presso il collega V.N. , relatore del procedimento concernente la domanda di concordato preventivo con riserva proposta da una società riconducibile a quel gruppo, poi si è speso per la società e ha tranquillizzato falsamente i propri interlocutori sul buon esito dell’intermediazione, anche chiamando per telefono in loro presenza il collega V. , a lui rivolgendosi in tono confidenziale e allusivo e ciò allo scopo di ottenere l’adempimento, anche da parte di terzi, degli obblighi retributivi concernenti due mensilità dovute alla propria coniuge dalla società interessata alla procedura o, comunque, al fine di ottenere una somma di pari importo non altrimenti dovuta. Per altro verso, gli si è addebitato di aver realizzato plurime e ingiustificate interferenze nell’attività giudiziaria del collega V. , in relazione alla suddetta procedura preconcordataria, nell’ambito di numerose conversazioni sia telefoniche, sia di persona, nel corso delle quali l’incolpato avrebbe specificato il proprio interesse per l’esito della domanda di ammissione alla procedura, perché a esso era collegato il destino lavorativo della moglie, dipendente della società istante. La sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha ritenuto l’incolpato responsabile degli addebiti ascritti e gli ha inflitto la sanzione della censura. Il giudice disciplinare ha dato conto delle numerose telefonate che il dr. M. ha fatto al collega V. , anche in presenza di uno dei soggetti interessati alla domanda concordataria per conto della società interessata e ha precisato che i tentativi di contatto si sono intensificati nei giorni nel corso dei quali l’incolpato ha ricevuto comunicazione dell’avvenuto bonifico dell’importo corrispondente a una delle due mensilità spettanti alla coniuge. Ha quindi aggiunto che l’incolpato si è reso conto di non avere spazio per ulteriori insistenze al cospetto della palpabile diffidenza manifestatagli dal collega e che, quando si era determinato a intervenire in maniera più decisa per effetto delle pressioni degli istanti, la domanda di ammissione al concordato era già stata respinta. In base a questi fatti, la sezione disciplinare ha ravvisato la fattispecie dell’interferenza nell’insistenza spesa dal dr. M. nel voler incontrare il collega V. e, in particolare, nella seconda telefonata avuta con lui il 22 luglio 2015, allorquando l’incolpato si è rivolto al collega, in presenza di uno dei soggetti interessati, con toni suggestivi, tentando di fissare un appuntamento, del quale ha indicato ellitticamente l’oggetto, con implicito, ma chiaro riferimento al procedimento in questione. Sicché ha riconosciuto che l’incolpato ha speso la propria qualità per ottenere un trattamento di favore, in modo da gettare discredito sull’ordine giudiziario, incidendo negativamente sulla fiducia e sulla considerazione di cui deve godere il giudice. Ha quindi escluso la configurabilità della scarsa rilevanza del fatto, anche tenendo conto della circostanza che per questi fatti il dr. V. ha subito un procedimento penale, sia pure conclusosi con l’archiviazione. Contro questa sentenza propone ricorso M.C. per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi, cui non v’è replica. Ragioni della decisione 1.- Col primo motivo di ricorso si denuncia, in relazione al primo degli addebiti disciplinari, la violazione dell’art. 521 c.p.p., là dove il giudice disciplinare avrebbe violato il principio di correlazione tra la sentenza e l’accusa contestata in relazione al primo degli addebiti. Secondo il ricorrente la sezione disciplinare, nell’identificare l’obiettivo dell’incolpato col perseguimento di una corsia preferenziale nella corresponsione degli stipendi arretrati, oppure col fine di ottenere un trattamento di favore, avrebbe introdotto un fatto diverso da quelli oggetto dell’incolpazione. La censura è infondata. L’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il dott. M. ha speso la propria qualità di magistrato allo scopo di ottenere un trattamento di favore, difatti, è mera chiosa a sostegno della ricostruzione dei fatti così come tratteggiati nell’incolpazione e emersi in giudizio, ossia che l’incolpato ha agito al fine, appunto, di ottenere l’adempimento della prestazione incombente sul datore di lavoro Opera Scolastica Ausiliatrice srl relativa ai versamenti di due mensilità dello stipendio . La circostanza che le somme fossero dovute alla moglie dell’incolpato a titolo retributivo è difatti neutra, considerato che per ottenerle il dr. M. si è dovuto spendere, e anche con insistenza il che evidenzia che i pagamenti dei quali dà conto la sentenza hanno sostanziato nei fatti un trattamento di favore, dovuto giustappunto agli sforzi profusi per ottenerli. 2.- Inammissibile è poi il secondo motivo di ricorso, col quale il dr. M. si duole della mancanza e della manifesta illogicità della motivazione della sentenza, relativamente al primo capo d’incolpazione, quanto all’accertamento della condotta abusiva della qualità di magistrato, funzionale all’ottenimento di una posizione di vantaggio. Pur dopo la modifica dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , dovuta alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, al giudice di legittimità è inibita la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, poiché gli è estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali Cass., sez. un., 18 aprile 2018, n. 9557 sez. un., 2 novembre 2018, n. 28056 . 2.1.- E, nel caso in esame, delle condotte insistenti tenute dall’incolpato volte a stabilire un contatto col collega titolare della procedura, e a far in modo che vi assistessero i soggetti interessati, i quali, nel medesimo torno di tempo, hanno fatto affluire i pagamenti corrispondenti alle due mensilità arretrate dovute alla coniuge del ricorrente, c’è ampia descrizione nella sentenza impugnata. 2.2.- In questo contesto del tutto irrilevante è la considerazione che il buon esito dell’istanza fosse indipendente da interventi sul giudice fallimentare, dipendendo dalla volontà adesiva dei creditori. Ciò perché l’interlocuzione con i creditori si colloca in una fase logicamente e cronologicamente successiva all’ammissione alla procedura concordataria, la quale pur sempre postula il relativo decreto del tribunale fallimentare di ammissione dell’istante alla procedura di concordato e, prima ancora, nel caso in cui, come quello in esame, la domanda sia di concordato c.d. in bianco, le valutazioni concernenti i tempi di deposito della domanda, del piano concordatario e della documentazione necessaria valutazioni, queste, rimesse al tribunale fallimentare e, quindi, all’impulso del giudice designato come relatore del procedimento. 3.- Infondata è poi la censura frammentata nel terzo e nel quarto motivo, che vanno esaminati congiuntamente, perché connessi, coi quali il ricorrente rispettivamente si duole, sul piano della motivazione di cui lamenta mancanza e illogicità manifesta , nonché su quello della violazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. e , delle valutazioni della sezione disciplinare che ha ravvisato nella condotta dell’incolpato la commissione dell’illecito di ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria di altro magistrato. Invero, per consolidato orientamento di queste sezioni unite si veda, in particolare, Cass., sez. un., 20 novembre 2017, n. 27434 , l’ingiustificata interferenza nell’attività giudiziaria costituisce illecito disciplinare del magistrato, ai sensi del D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 2, comma 1, lett. e, quando la condotta del magistrato interferente sia idonea, almeno astrattamente, a mettere in pericolo la libertà di determinazione e la serenità di giudizio del magistrato destinatario sicché esso configura un illecito di pericolo, che non va inteso come fonte di pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale, ma come lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma in termini anche sez. un. 26 novembre 2014, n. 25136 e 13 settembre 2011, n 18701 . L’astratta idoneità a interferire non implica, difatti, l’effettiva deviazione dal percorso decisionale, riannodabile all’interferenza, né che il magistrato soggetto a pressione si sia sentito in concreto condizionato Cass., sez. un., 31 luglio 2017, n. 18993 . 3.1.- Orbene, i fatti evidenziati, e, in particolare, la ricostruzione contenuta in sentenza delle reiterate insistenze dell’incolpato, anche dopo aver percepito il senso di fastidio del collega, sono stati illustrati, in maniera non illogica, come tentativo di influire sull’autonomo percorso decisionale del giudice delegato alla trattazione della procedura preconcordataria. Dalla lettura del provvedimento emerge, pertanto, che il giudice disciplinare ha valutato con attenzione gli elementi posti a base del contestato illecito, giustificando il proprio convincimento in merito alla rilevata sussistenza dell’addebito, senza discostarsi, nel contempo, dai principi fissati in materia da questa Corte, per cui il relativo giudizio sfugge ai rilievi di legittimità. 4. È, infine, infondato l’ultimo motivo di ricorso, col quale l’incolpato denuncia l’apparenza e comunque la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla mancata applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis. Anche per quest’aspetto, si è già statuito tra varie, Cass., sez. un., n. 27434/17 che il D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 3-bis secondo cui l’illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza , introduce nella materia disciplinare il principio di offensività, proprio del diritto penale, secondo il quale la sussistenza dell’illecito va, comunque, riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto, compiuto ex post. Pertanto, ai sensi del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, la condotta disciplinare irrilevante va identificata, una volta accertata la realizzazione della fattispecie tipica, con quella che non compromette l’immagine del magistrato. 4.1.- Ebbene, nel provvedimento impugnato si è spiegato in modo non illogico che non era possibile accedere alla richiesta di applicazione del D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 3-bis, in quanto la condotta dell’incolpato era stata percepita dal destinatario, dott. V. , come forma di sollecitazione a determinarsi in un modo anziché in un altro, con conseguente lesione del principio della indipendenza del magistrato da ogni influenza esterna ed interna all’ordine giudiziario, che è il valore tutelato nella fattispecie in esame. 4.2.- Tale valutazione, che costituisce compito esclusivo della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, resta sottratta al sindacato di legittimità in quanto non risulta viziata da un errore di impostazione giuridica e nemmeno si rivela motivata in modo insufficiente o illogico, in base ai parametri dinanzi evidenziati. 5.- Il ricorso va quindi respinto. Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso.