Agire in giudizio per far valere un diritto altrui

Colui che in giudizio agisce per far valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, non può giovarsi dell’eventuale ratifica del suo operato da parte del titolare vero di quel diritto.

Sul punto è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 315/19, depositata il 9 gennaio. Il caso. Avverso la sentenza di primo grado che annullava, su richiesta dell’attore, una delibera condominiale, il Condominio proponeva appello, dolendosi del mancato rilievo del difetto di legittimazione di parte attorea, la quale, nel momento in cui proponeva l’impugnazione contro la delibera, non era più condomino, avendo donato alla figlia l’immobile compreso nel complesso condominiale. La Corte accoglieva l’eccezione di difetto di legittimazione dell’ex condomino sulla base del principio che nega la legittimazione ad impugnare la delibera assembleare a chi non rivesta la qualità di condomino dichiarava inammissibile, inoltre, l’intervento della figlia non essendo ella fra i soggetti legittimati a proporre opposizione di terzo. Quest’ultima, pertanto, propone ricorso per cassazione. L’intervento in giudizio. Innanzitutto con il motivo di ricorso la ricorrente rimprovera alla Corte territoriale di aver considerato l’intervento della ricorrente un comune intervento di un terzo in grado d’appello, mentre si trattava dell’intervento del titolare del diritto, che ha ratificato l’operato del padre. Tale censura è infondata perché, secondo un consolidato orientamento della Suprema Corte, colui che in giudizio agisce per far valere un diritto altrui, prospettandolo come proprio, non può giovarsi dell’eventuale ratifica del suo operato da parte del titolare vero di quel diritto, in quanto una ratifica è concepibile soltanto nel caso di chi agisca in nome e per conto di altri senza averne i poteri . Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 28 giugno 2018 – 9 gennaio 2019, n. 315 Presidente Manna – Relatore Tedesco Ritenuto in fatto - su ricorso di P.M. nei confronti del Condominio omissis , il Tribunale di Messina annullava in parte la Delib. Condominiale 7 aprile 2000 - contro la sentenza il Condominio proponeva appello, dolendosi del mancato rilievo del difetto di legittimazione del P. , il quale, nel momento in cui propose l’impugnazione contro la delibera, non era più condomino, avendo in precedenza donato alla figlia P.L. l’unità immobiliare compresa nel condominio - interveniva nel giudizio d’appello P.L. , che dichiarava di ratificare l’attività svolta dal P.M. fino a quel momento, confermando le domande ed eccezioni dal medesimo proposte - P.L. eccepiva a sua volta il difetto di legittimazione dell’amministratore la cui nomina era stata annullata dal Tribunale di Messina con sentenza n. 407/2007 - eccepiva ancora che la proposizione dell’appello non era stata preceduta da una valida delibera assembleare di autorizzazione - eccepiva inoltre che la ratifica era stata deliberata con un quorum inferiore a quello richiesto - a sua volta il Condominio, con la comparsa conclusionale, eccepiva l’inammissibilità della costituzione della P. , che non era stata parte del giudizio di primo grado e non aveva neanche chiarito a che titolo si costituiva per ratificare l’operato dell’appellato - nel decidere la causa, la corte di merito identificava innanzitutto il complesso delle questioni preliminari sollevate dalle parti carenza di legittimazione attiva del P. , inammissibilità dell’intervento di P.L. , inammissibilità dell’appello in quanto proposto da amministratore la cui nomina era stata annullata in sede giudiziale e in difetto di autorizzazione di assemblea e di valida ratifica - ciò posto precisava che le questioni così identificate rientravano nel novero delle questioni rilevabili d’ufficio, il che rendeva irrilevanti modi e tempi della loro proposizione ad opera delle parti - quindi rigettava l’eccezione di inammissibilità dell’appello del Condominio, in base al rilievo che l’assemblea aveva poi ratificato l’operato dell’amministratore, non essendo rilevante il difetto di quorum, che rendeva solo annullabile la delibera di ratifica e costituiva pertanto carenza non più deducibile una volta decorso il termine per l’impugnazione - accoglieva l’eccezione di difetto di legittimazione del P.M. , in applicazione del principio di giurisprudenza che nega la legittimazione ad impugnare la Deli. Assembleare a chi non rivesta la qualità di condomino il P. , al momento del ricorso, non era più proprietario di immobili compresi nel condominio - dichiarava inammissibile l’intervento svolto da P.L. in grado d’appello ai sensi dell’art. 344 c.p.c., non essendo la P. fra i soggetti legittimati a proporre opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 c.c., né successore a titolo particolare nel diritto controverso - in verità la corte chiariva che l’intervento sarebbe stato inammissibile anche se fosse stato spiegato in primo grado con la dichiarata intenzione di ratificare l’operato del P. , trattandosi di difetto cui si poteva rimediare solo con un nuovo e autonomo ricorso proposto nei termini di legge - contro la sentenza P.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi - il Condominio ha resistito con controricorso. Considerato in diritto - il primo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 101, 183 e 359 c.p.c. art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - la corte di merito, pur avendo ritenuto di dovere decidere sulla base di questioni rilevabili d’ufficio, ha omesso di sottoporre preventivamente quelle stesse questioni all’attenzione delle parti, rendendo quindi una decisione a sorpresa in violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio - il secondo motivo denuncia violazione di norme di diritto, violazione del principio del contraddittorio, nullità della sentenza e violazione dell’art. 112 art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 - si rimprovera alla corte di avere considerato l’intervento della P. alla stregua di un comune intervento di un terzo in grado d’appello, mentre si trattava dell’intervento del titolare del diritto, il quale, costituendosi nel giudizio, ha ratificato, con efficacia ex tunc, l’operato di P.M. , facendo proprie tutte le domande, eccezioni, istanze e conclusioni già formulate ed ha dunque sanato la carenza di capacità processuale dello stesso - il primo motivo è infondato - la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa si verifica allorquando la decisione venga calata ex abrupto sulle parti ignare della questione officiosamente rilevata e risolta senza alcun contributo delle parti stesse Cass. n. 22731/2012 n. 11453/2014 - invero, l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 101 c.p.c., comma 2, ha lo scopo di evitare le decisioni c.d. a sorpresa o della terza via tale obbligo, pertanto, vale solo per le questioni che il giudice rilevi effettivamente d’ufficio per non essere state dedotte dalle parti e non vale, invece, per le questioni che - pur rilevabili d’ufficio - siano state introdotte dalle parti sotto forma di eccezione c.d. in senso lato , in quanto tali questioni fanno già parte del thema decidendum Cass. n. 29098/2017 - la decisione impugnata è in linea con tali principi - la corte non ha rilevato alcunché d’ufficio, ma ha solamente evidenziato che le questioni, di cui si imponeva il preliminare esame, erano in astratto rilevabili d’ufficio, il che rendeva irrilevanti le modalità e i tempi con i quali sono state fatte valere dalle parti - è infondato anche il secondo motivo - la ricorrente imputa alla corte di avere considerato la propria costituzione in giudizio alla stregua di un comune intervento in grado d’appello, trattandosi invece dell’intervento del titolare del diritto, con funzione di ratifica, ex tunc, dell’operato di P.M. - la censura è infondata e il suo rigetto comporta l’assorbimento delle restanti censure adombrate con il motivo in esame - la giurisprudenza di questa corte ammette la ratifica degli atti processuali compiuti da un soggetto carente della capacità di stare in giudizio, ferme le decadenze processuali nel frattempo intervenute Cass. 12686/2016 n. 3700/2012 n. 17525/2003 - il principio è applicabile anche in tema di rappresentanza volontaria in presenza di un originario difetto di idoneo mandato, che è emendabile per iniziativa del soggetto legittimato che manifesti la sua volontà attraverso il suo diretto intervento in giudizio o il rilascio di regolare procura - anche in questo caso si precisa che la regolarizzazione del rapporto processuale può avere efficacia ex tunc solo fatti salvi i diritti anteriormente quesiti, compresi quelli che si ricollegano alla scadenza del termine di impugnazione Cass. n. 4652/1996 - non è dubbio, però, che nella specie P.M. , pur non essendo titolare del diritto, nell’impugnare la Delibera aveva agito in nome proprio, non in nome della figlia, cui aveva già trasferito la proprietà dell’unità immobiliare in condominio - in questi termini la censura richiama implicitamente una sorta di gestione di affari altrui - la titolare del diritto, intervenendo nel giudizio in corso, aveva inteso appropriarsi degli effetti di tale gestione - non si tiene conto però che il diritto altrui fatto valere dal P. in nome proprio non riguardava la gestione di un affare di natura patrimoniale, ma il ricorso al tribunale a norma dell’art. 1137 c.c. - il che pone l’attività del P. al di fuori della previsione degli artt. 2028 c.c. e segg., posto che l’ affare , nella previsione dell’istituto, deve avere carattere patrimoniale, nel senso di materiale gestione del patrimonio altrui Cass. n. 1365/1989 - l’attività di P.M. dovrebbe piuttosto inquadrarsi in una non consentita ipotesi di sostituzione processuale - a norma dell’art. 81 c.p.c., fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui - pertanto, per dottrina e giurisprudenza pacifiche, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, è da ritenersi inammissibile, per difetto di legittimatio ad causam, rilevabile anche d’ufficio, l’attività processuale esercitata in nome proprio per far valere diritti altrui cfr. Cass. n. 6843/1991 - d’altra parte è principio consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte che colui che agisce in giudizio per far valere un diritto altrui ma prospettandolo come proprio non può giovarsi dell’eventuale ratifica del suo operato da parte del vero titolare di quel diritto, in quanto una ratifica è concepibile soltanto nel caso di chi agisca in nome e per conto di altri senza averne i poteri Cass. n. 8820/2007 n. 6376/1986 n. 4000/1995 - pertanto, il rilievo della corte di merito, secondo cui l’intervento della P. non avrebbe potuto sanare il vizio originario dell’impugnazione effettuata in assoluta carenza di legittimazione attiva, è ineccepibile - invero all’iniziale difetto di legittimatio ad causam di P.L. poteva rimediarsi solo con la proposizione di un nuovo ricorso nei termini di legge ad opera della P. , quale unico soggetto legittimato così testualmente la sentenza impugnata - quindi l’intervento della P. rimaneva subordinato ai comuni requisiti dell’intervento in grado d’appello previsti dall’art. 344 c.p.c. - la corte ha correttamente negato la ricorrenza di tali requisiti e tale ratio decidendi non ha costituito oggetto di specifica censura - il ricorso, pertanto, è rigettato, con addebito delle spese - poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater - della sussistenza dell’obbligo del versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. dichiara ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.