L’esposizione al rischio di un danno grave per il riconoscimento della protezione internazionale

Per ottenere il riconoscimento, da parte del cittadino straniero, della protezione sussidiaria è necessario che il richiedente rappresenti una condizione caratterizzata da una diretta e personale esposizione al rischio di un danno grave, pur se derivante dalla situazione generale in cui versa il Paese di origine.

Sul punto è tornata ad esprimersi la Corte di Cassazione con ordinanza n. 28225/18 depositata il 6 novembre. Il caso. Il Tribunale di Trieste respingeva la domanda proposta da un cittadino pakistano per il riconoscimento dello s tatus di rifugiato e della protezione sussidiaria e umanitaria. La Corte d’Appello, adita in secondo grado dal richiedente, rigettava il gravame poiché riteneva che le sue dichiarazioni non fossero credibili e che rientrando in patria egli non sarebbe stato esposto ad un pericolo concreto. Così il cittadino pakistano propone ricorso per cassazione, chiedendo la sospensione del provvedimento. La sospensione del provvedimento. Sulla base del disposto normativo di cui all’art. 373 c.p.c., il ricorso per cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza, ma il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può disporre con ordinanza non impugnabile che l’esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione e può fare ciò su istanza di parte e se dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno. Ciò significa che il giudice a quo ha il poter di sospensione del provvedimento ed è espressione consapevole della funzione della Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità e non del fatto . Il riconoscimento della protezione sussidiaria. Per ottenere il riconoscimento, da parte del cittadino straniero, della protezione sussidiaria è necessario che questi rappresenti una condizione caratterizzata da una diretta e personale esposizione al rischio di un danno grave, pur se derivante dalla situazione generale in cui versa il Paese di origine in quel momento. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza di tale condizione, in virtù di una valutazione positiva della situazione generale del Paese. Il riconoscimento della protezione umanitaria. Con altro motivo di ricorso il richiedente lamenta violazione delle norme in tema di protezione umanitaria. A tal proposito, la Suprema Corte rileva che la circostanza che la valutazione sulla condizione del Paese di provenienza sia stata compiuta nella parte della motivazione relativa alla richiesta della protezione sussidiaria non toglie che le considerazioni svolte valgono anche in riferimento al riconoscimento della protezione umanitaria, ossia al riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che deve essere sempre riconnessa al rischio di subire una compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel Paese d’origine. Per tutte queste ragioni il Supremo Collegio rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 1, ordinanza 11 settembre – 6 novembre 2018, n. 28225 Presidente Genovese – Relatore Sambito Ragioni della decisione 1. L’istanza di sospensione del provvedimento impugnato è inammissibile. In base all’art. 373 c.p.c., il ricorso per Cassazione non sospende l’esecuzione della sentenza. Tuttavia il giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata può, su istanza di parte e qualora dall’esecuzione possa derivare grave e irreparabile danno, disporre con ordinanza non impugnabile che la esecuzione sia sospesa o che sia prestata congrua cauzione . Tale disposizione, la cui interpretazione è assolutamente pacifica nel rimettere il potere di sospensione al giudice a quo, è espressione consapevole della funzione della Corte di Cassazione, quale giudice di legittimità e non del fatto. 2. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 14 del D.lgs. n. 251 del 2007. 2.1 Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato. 2.2. Per il riconoscimento della protezione sussidiaria occorre, com’è nozione ricevuta, che il richiedente rappresenti una condizione, che, pur derivante dalla situazione generale del paese, sia, comunque, a lui riferibile e sia caratterizzata da una personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dall’art. 14 lett. c del d.lgs. n. 251 del 2007. Nella specie, la Corte di Appello ha escluso la sussistenza di tali presupposti, anzitutto, in virtù di una valutazione positiva della situazione generale della regione del omissis - zona di provenienza del richiedente - considerata esente, al lume delle acquisite informazioni, da particolari profili di problematicità e non interessata da un grado di violenza ed insicurezza generalizzata, tale da esporre il richiedente, in caso di rimpatrio, ad un concreto pericolo per la sua incolumità, restando così esclusa la pertinenza di ogni ulteriore questione al riguardo. Inoltre i giudici territoriali hanno dato una valutazione negativa sulla credibilità di S.K. , anche per la differenza delle fornite versioni dei fatti il che costituisce una tipica valutazione di merito, insindacabile in sede di legittimità - non mancando di precisare che, seppur veritieri, i fatti narrati costituivano espressione di mere faide familiari, non integranti quel fumus persecutionis richiesto dalla normativa vigente per la concessione dell’invocata misura. 3. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione delle norme in tema di protezione umanitaria, nello specifico la errata opzione della Corte triestina di valutare separatamente il contesto socio-politico del paese di provenienza e la vicenda personale narrata dal richiedente. 3.1. Il motivo è infondato. In disparte l’entrata in vigore del DL n. 113 del 2018, va rilevato che circostanza che la valutazione circa la condizione del Paese di provenienza sia stata compiuta nella parte della motivazione relativa alla richiesta della protezione sussidiaria non toglie che le considerazioni svolte, desunte dalle informazioni officiosamente reperite dalla Corte distrettuale, valgano, anche, in riferimento alla misura residuale, tenuto conto che la situazione di vulnerabilità tale da necessitare il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari deve esser sempre riconnessa al rischio di subire nel Paese d’origine una significativa ed effettiva compromissione dei diritti fondamentali inviolabili Cass. n. 4455 del 2018 . Il principio del non-refoulement nei casi, stabiliti dall’art. 19 del d.lgs. 286/98, in cui non possa disporsi l’allontanamento verso un altro Stato a cagione del rischio di persecuzioni o torture, non è richiamato a proposito alla stregua di quanto si è esposto al precedente § 2.2., e non avendo il ricorrente, mai, riferito alcun timore di poter esser sottoposto a torture o di poter subire trattamenti inumani o degradanti. 4. Non va disposto sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13, comma 1 bis, dello stesso art. 13.