La trascrizione della scrittura privata, successivamente autenticata giudizialmente, consente l’opponibilità ai terzi

La sentenza che riconosce l’autenticità di una scrittura privata priva di sottoscrizione si integra con la stessa scrittura tale da costituire il titolo idoneo per la relativa trascrizione.

Così ha ribadito dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27169/18, depositata il 26 ottobre. Una scrittura privata non sottoscritta. Un immobile, una cessione parziale della nuda proprietà e un atto di trascrizione non sottoscritto. Sono questi gli elementi ad oggetto della controversia giunta sino in Cassazione. La questione controversa verteva sull’idoneità di una sentenza - volta ad accertare la validità di una scrittura privata non autenticata – a costituire un titolo idoneo per consentire l’opposizione di terzi. Nel caso di specie, sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano le domande volte a eccepire la declaratoria di nullità della trascrizione della citazione a giudizio e della successiva sentenza di accertamento di autenticità della scrittura privata. L’attore ricorre così in Cassazione deducendo che in Conservatoria mancava la prova in ordine all’inesistenza della copia autentica della citazione con riferimento agli artt. 2653 ss. c.c L’autentificazione giudiziale della scrittura. La Suprema Corte, coerentemente a quanto stabilito dalla Corte d’Appello, afferma che la scrittura priva non autenticata nelle sottoscrizione non avrebbe potuto costituire atto idoneo alla trascrizione e che, invece, l’unico strumento a disposizione della parte che avesse voluto far valere l’opponibilità di detta scrittura, era proprio rappresentato dal compimento della preveniva trascrizione della domanda di accertamento dell’autenticità di tali sottoscrizioni e, poi, dalla successiva trascrizione della relativa sentenza di accoglimento di siffatta domanda . Nel caso di specie, aderendo al principio secondo cui quando di un atto soggetto a trascrizione non esiste altro documento che una scrittura privata le cui sottoscrizioni non sono autentiche ai sensi dell’art. 2073 c.c. e, pertanto, difetta un titolo idoneo per eseguire la trascrizione di tale atto, quest’ultima non può essere conseguita che mediante l’azione di accertamento giudiziale sull’autenticità delle sottoscrizioni, di tal che la sentenza che accoglie suddetta azione si integra con la scrittura privata e costituisce titolo idoneo per la trascrizione, che, una volta compiuta, consente l’opponibilità ai terzi della scrittura medesima con decorrenza dalla data in cui è stata trascritta la domanda di accertamento , gli Ermellini rigettano pertanto il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 maggio – 26 ottobre 2018, n. 27169 Presidente Oricchio – Relatore Carrato Rilevato in fatto Con sentenza n. 8566/2008, il Tribunale di Napoli, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sui rapporti tra D.G. e C.E. e non definitivamente pronunciando sui rapporti il D. e N.L. , rigettava le domande volte ad ottenere la declaratoria di nullità e/o inopponibilità e/o annullamento della trascrizione della citazione del 30 luglio 2002 e della conseguente sentenza, dichiarava l’inammissibilità dell’opposizione di terzo revocatoria avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 8363/2003, con la condanna dell’attore al pagamento delle spese di lite, provvedendo come da separata ordinanza relativamente ai rapporti tra il D. e la N. . Decidendo sull’appello formulato dal D.G. e nella costituzione del solo appellato C.E. nel mentre la N.L. rimaneva contumace , la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 1503/2014 depositata il 3 aprile 2014 , rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado. A sostegno dell’adottata decisione, la Corte partenopea ravvisava l’infondatezza di tutti i motivi posti a fondamento del gravame, ovvero - della deduzione dell’omessa pronuncia sulla prospettata nullità/inopponibilità della trascrizione dell’atto di citazione ricollegabile al fatto che C.E. non aveva prodotto la domanda in originale in violazione dell’art. 2658 c.c. , nel mentre il giudice di prime cure aveva ritenuto valida la trascrizione - della doglianza secondo la quale esso appellante aveva documentalmente comprovato l’inesistenza agli atti della Conservatoria della copia autentica della domanda giudiziale - della lamentela relativa ad un’asserita omessa pronuncia sulla dedotta nullità della trascrizione della sentenza per difetto della preventiva trascrizione della scrittura privata intercorsa tra il C.E. e la N.L. dell’assunta, ma non riscontrata, univocità della data della scoperta dell’evento pregiudizievole dalla quale far decorrere il termine per la presentazione della domanda ai sensi dell’art. 404 c.p.c. - dell’ingiustizia e sproporzione della condanna alle spese con la sentenza di primo grado. Considerato in diritto 1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, il D.G. , al quale ha resistito con controricorso il solo C.E. , mentre l’altra intimata N.L. non ha svolto attività difensiva in questa fase. I difensori di entrambe le parti costituite hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c 2. Con la prima censura il ricorrente ha dedotto - in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. - la contraddittorietà circa la ritenuta mancata prova in ordine all’inesistenza della copia autentica della citazione presso la Conservatoria, con riferimento agli artt. 2653, 2658 e 2673 c.c., nonché, in relazione all’art. 115 c.p.c., la negligenza di articolazione di istruttoria. 3. Con il secondo motivo il ricorrente ha prospettato - ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. - la violazione degli artt. 2643, 2658 e 2659 c.c. in ordine al rigetto, in appello, della doglianza di nullità della trascrizione riferita alla sentenza di accertamento di autenticità delle firme della scrittura privata, senza, però, rilevare che il titolo da trascrivere non era la sentenza bensì la scrittura stessa, che, invece, non era stata mai trascritta né in originale né in copia autentica. 4. Con la terza doglianza il ricorrente ha denunciato - in ordine all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. - la violazione dell’art. 112 c.p.c. con riferimento al d.l. n. 90/1990, convertito nella legge n. 165/1990 art. 3, comma 14-quater e all’art. 40 della legge n. 47/1985, avuto riguardo anche all’art. 1418 c.c., sul presupposto del mancato rilievo della pacificità della carenza della dichiarazione di inserimento del bene nella dichiarazione dei redditi e dell’allegazione, nonché della carenza delle dichiarazioni di regolarità urbanistica e/o della dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà. 5. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha dedotto il vizio - non meglio precisato - di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., in ordine al rigetto della domanda diretta a far valere l’opposizione revocatoria, con riferimento all’assunta mancata prova univoca della data della scoperta del documento dalla quale far decorrere il termine per l’ammissibilità di tale forma di impugnazione. 6. Rileva il collegio che il primo motivo è inammissibile quanto al dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione mentre si profila infondato con riferimento alle asserite violazioni di legge. Invero, la doglianza relativa alla supposta contraddittorietà della motivazione incorre nella dichiarazione di inammissibilità siccome il ricorso è soggetto alla disciplina del novellato n. 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c Infatti, in seguito alla riformulazione di tale disposizione normativa ratione temporis applicabile nel caso di specie siccome la sentenza impugnata è stata pubblicata successivamente all’11 settembre 2012 , intervenuta per effetto dell’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi - che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza - di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale , di motivazione apparente , di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile , al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico , che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa soluzione della controversia cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014 e Cass. n. 23940/2017 . Quanto alle asserite violazioni di legge esse sono prive di pregio giuridico poiché la Corte di appello di Napoli - confermando il decisum del primo giudice - ha correttamente ritenuto che l’atto richiesto in copia di cui alla doglianza non rientrava tra quelli per cui è possibile il rilascio ai sensi dell’art. 2673 c.c., dal momento che l’obbligo per il Conservatore sussiste solo per quegli atti depositati presso di lui in originale ovvero depositati in originale presso un notaio o un pubblico archivio fuori della circoscrizione del Tribunale ove ha sede l’ufficio richiesto. Da ciò deriva che la Corte territoriale non ha compiuto alcun errore nella valutazione delle prove assunte come offerte dal D. . Peraltro - per come riscontrato nella stessa sentenza di appello - era emerso come fosse stato pacificamente accertato che l’avv. C. aveva presentato i documenti necessari per la trascrizione, ovvero la copia conforme all’originale dell’atto di citazione e, all’esito dell’espletamento delle relative formalità, aveva richiesto e ricevuto la nota di trascrizione che, in difetto dei relativi presupposti, invece il competente Conservatore avrebbe rifiutato . 7. Anche il secondo motivo è destituito di fondamento perché - per quanto motivatamente desumibile dalla sentenza qui impugnata - risulta essere rimasto accertato dalla Corte di merito che l’avv. C. aveva trascritto sia la domanda giudiziale, sia la conseguente sentenza di accoglimento con la quale era stata accertata l’autenticità delle sottoscrizioni apposte alla scrittura privata con la quale la N. aveva ceduto al C. il 35% della nuda proprietà dell’immobile di cui in controversia. E a tal proposito il giudice di appello - confutando esattamente l’assunto dell’appellante oggi ricorrente ha condivisibilmente statuito, sul piano giuridico, che la scrittura privata non autenticata nelle sottoscrizioni come quella che veniva in rilievo nella controversia in questione non avrebbe potuto costituire atto idoneo alla trascrizione e che, invece, l’unico strumento a disposizione della parte che avesse voluto far valere l’opponibilità di detta scrittura, era proprio rappresentato dal compimento della preventiva trascrizione della domanda di accertamento dell’autenticità di tali sottoscrizioni ai sensi dell’art. 2652, comma 1, n. 3 , c.c. e, poi, della successiva trascrizione della relativa sentenza di accoglimento di siffatta domanda, adempimenti effettivamente assolti dall’avv. C. , il quale, quindi, si era garantito l’effetto dell’opponibilità nei confronti dei terzi di tale scrittura. Deve, perciò, trovare conferma in questa sede l’affermazione del principio secondo cui quando di un atto soggetto a trascrizione non esiste altro documento che una scrittura privata le cui sottoscrizioni non sono autentiche ai sensi dell’art. 2703 c.c. e, pertanto, difetta un titolo idoneo per eseguire la trascrizione di tale atto, quest’ultima non può essere conseguita che mediante l’azione di accertamento giudiziale sull’autenticità delle sottoscrizioni, di tal che la sentenza che accoglie la suddetta azione si integra con la scrittura privata e costituisce titolo idoneo per la trascrizione, che, una volta compiuta, consente l’opponibilità ai terzi della scrittura medesima con decorrenza dalla data in cui è stata trascritta la domanda di accertamento cfr. Cass. n. 1101/1985 e, per opportuni riferimenti, Cass. n. 17391/2004 Cass. n. 1553/2013 e Cass. n. 26102/2016 . 8. Pure la terza doglianza è priva di fondamento poiché non si è propriamente configurato il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di appello in difetto della proposizione di un esplicito motivo circa la supposta nullità, oltretutto ancora una volta rivolta alla scrittura privata di trasferimento la cui questione - riferita come dedotta con la citazione di primo grado cfr. pagg. 15-17 del ricorso - non era stata, tuttavia, riproposta allo stesso giudice di secondo grado . Infatti, la possibile rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio della nullità del contratto ex art. 1421 c.c. deve coordinarsi con i principi fondamentali del processo tra i quali, oltre il principio della domanda e della disposizione delle prove, rientra quello della preclusione derivante dal giudicato interno. Pertanto il giudice d’appello non può rilevare d’ufficio la nullità del contratto qualora sull’eccezione di nullità si sia già implicitamente od esplicitamente pronunciato il giudice di primo grado respingendola e l’eccezione stessa non sia stata oggetto di motivo di gravame, come nella fattispecie, non risultando proposta in sede di appello alcuna censura specifica sul punto riferita alla supposta violazione di norme urbanistiche per come emerge dal contenuto complessivo della sentenza della Corte partenopea cfr., per tutte, Cass. n. 923/2017 . 9. Il quarto ed ultimo motivo rubricato, esclusivamente, sotto l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. è propriamente inammissibile perché censura - con la prospettazione di un vizio di motivazione - l’impianto argomentativo logico-giuridico del giudice di appello che ha confermato l’inammissibilità dell’opposizione di terzo revocatoria già statuita dal giudice di prima istanza. La doglianza del vizio logico nei termini prospettati dal ricorrente non è - come già chiarito - più deducibile ai sensi del nuovo n. 5 del comma 1 dell’art. 360 c.p.c. temporalmente applicabile nel caso di specie e, in ogni caso, non si è venuto a configurare alcun omesso esame della questione da parte della Corte partenopea, che ha appositamente statuito e motivato sulla stessa in risposta al terzo motivo di appello avanzato dal D. v. pag. 7 della sentenza di secondo grado . 10. In definitiva, alla stregua delle ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna, in virtù del principio della soccombenza, del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come in dispositivo, con attribuzione al difensore del controricorrente, avv. Maria Gabriella Cesare, per dichiarato anticipo. Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dello stesso ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge, con attribuzione al difensore antistatario del contro ricorrente, avv. Maria Gabriella Cesare. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002.