Il Consiglio dell’Ordine può concedere a terzi il godimento di un locale di cui è il concessionario solo ex lege o dietro autorizzazione

Il Consiglio dell’Ordine, cui la legge attribuisce il diritto di godimento di determinati locali all’interno di ogni ufficio giudiziario art. 1 l. n. 99/1995 è titolare su essi di un diritto di godimento, non di un diritto reale che integra gli estremi di una concessione stabilita direttamente dalla legge. Il concessionario può, quindi, locare o concedere il godimento dell’immobile a terzi solo se autorizzato dall’amministrazione o se lo consente la legge. La subconcessione di fatto a terzi di beni demaniali da parte del concessionario, mentre vincola il concessionario, è in opponibile all’amministrazione concedente.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza numero 20984/18 depositata il 23 agosto. Il fatto. L’Agenzia del Demanio ingiungeva ad un esercente attività di vendita di valori bollati il pagamento di una determinata somma a titolo di indennizzo per aver occupato senza titolo, con la propria attività di rivendita alcuni locali siti all’interno del complesso immobiliare sito in Roma e destinato a sede di vari uffici giudiziari. Il rivenditore proponeva opposizione all’ingiunzione deducendo di avere legittimamente occupato quei locali poiché questi erano in uso al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e che su esplicita richiesta di quest’ultimo aveva svolto in essi la propria attività di rivendita di valori bollati. Nel giudizio interveniva volontariamente il Consiglio dell’Ordine deducendo essere in sua facoltà destinare quei locali ad una rivendita di valori bollati e sostenendo le ragioni dell’opponente. Il Tribunale adito accoglieva in parte l’opposizione condannando l’ingiunto al pagamento in favore dell’Agenzia del Demanio di una minore somma rispetto a quella ingiunta. La sentenza resa in primo grado veniva appellata da parte dell’ingiunto e la Corte distrettuale in accoglimento del proposto gravame dichiarava per l’effetto l’annullamento di dieci inviti di pagamento emessi dall’Agenzia e numericamente indicati. L’Agenzia del Demanio proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza resa in grado di appello. La Corte di Cassazione. Gli ermellini, hanno ritenuto fondato il motivo di ricorso proposto dall’Agenzia del Demanio sulla scorta del quale la stessa denunciava violazione e falsa applicazione di norme di legge ed, in particolare, dell’art. 2 l. numero 99/1995 sulla scorta del quale per i locali destinati al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati è corrisposto dallo Stato ai comuni proprietari degli edifici di cui all’art. 1 un contributo annuo commisurato al valore locativo dei locali stessi ”. Secondo i giudici di legittimità la ricorrente giustamente aveva ritenuto che la Corte distrettuale nella pronuncia oggetto di ricorso per cassazione, avesse totalmente frainteso il contenuto delle norme di legge di cui si invocava la violazione artt. 1 e 2 l. numero 99/1995 . Infatti, l’immobile concesso in godimento all’esercente non era di proprietà del Comune, bensì dello Stato circostanza questa pacifica tra le parti con la conseguenza che il Consiglio dell’Ordine non pagava alcun canone di locazione all’Ente civico. L’indennità richiesta all’esercente, dunque, non era destinata a cumularsi con nessun altro canone concessorio, ed illegittimamente la Corte di Appello aveva ritenuto il contrario. Concludendo. Nel caso di specie, la legge non prevedeva espressamente alcuna facoltà di sub concessione, inoltre mancava un’autorizzazione espressa dell’amministrazione concedente. I giudici concludono obiettando che era erroneo quanto sostenuto dalla Corte di Appello riguardo alla circostanza che i soggetti tenuti al controllo non avessero impedito l’occupazione” sulla scorta del principio ormai pacifico della giurisprudenza di legittimità secondo cui la concessione in uso di un bene demaniale può fondarsi solo sulla legge o su un provvedimento amministrativo, e non può mai scaturire per facta concludentia , sicché il protrarsi di una situazione di fatto non può generare un affidamento giuridicamente rilevante.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 marzo – 23 agosto 2018, n. 20984 Presidente Olivieri – Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2003 l’Agenzia del Demanio ingiunse a C.G. il pagamento della somma di Euro 39.805, a titolo di indennizzo per avere occupato senza titolo, con la propria attività di rivendita di valori bollati, alcuni locali siti all’interno del complesso immobiliare sito in e destinato a sede di vari uffici giudiziari, denominato omissis . C.G. propose opposizione all’ingiunzione, deducendo di avere legittimamente occupato quei locali espose che essi erano in uso al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di e che su esplicita richiesta di quest’ultimo aveva svolto in essi l’attività di rivendita di valori bollati. Nel giudizio intervenne volontariamente il Consiglio dell’Ordine, deducendo essere in sua facoltà destinare quei locali ad una rivendita di valori bollati, e sostenendo le ragioni dell’opponente. 2. Con sentenza 20.1.2009 n. 1128 il Tribunale accolse in parte l’opposizione, condannando C.G. al pagamento in favore dell’Agenzia del Demanio della minor somma, rispetto a quella ingiunta, di Euro 11.805. La sentenza venne appellata da C.G. . 3. Con sentenza 17.2.2015 n. 1074 la Corte d’appello di Roma accolse il gravame, e dichiarò per l’effetto di annullare dieci inviti di pagamento , numericamente indicati, emessi dall’Agenzia il 24.11.2004. 4. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dall’Agenzia del Demanio, con ricorso fondato su due motivi. Ha resistito C.G. e proposto ricorso incidentale. Ha resistito altresì il Consiglio dell’Ordine. L’Agenzia del Demanio ha resistito con controricorso al ricorso incidentale, e depositato altresì memoria. Ragioni della decisione 1. Il primo motivo del ricorso principale. 1.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta il vizio di nullità processuale, ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello, annullando dieci inviti di pagamento che mai avevano formato oggetto del giudizio, ha pronunciato ultra petita. 1.2. Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha concluso la propria decisione statuendo di accogliere l’appello proposto da C.G. , e pertanto di disporre l’annullamento degli inviti di pagamento emessi dall’Agenzia del demanio il 24.11.2004 e notificati il 9.12.2004, recanti i numeri di protocollo 25726, 25727, 25730, 25731, 25732, 25733, 25734, 25738, 25739, 25741 . I suddetti atti, tuttavia, non avevano mai formato oggetto del giudizio. 1.3. Né si può dire che l’anomalo dispositivo sopra trascritto costituisca un errore materiale, come dedotto dai due resistenti. Che il testo sopra trascritto costituisca un errore, non v’è dubbio che esso sia un errore emendabile con la procedura di correzione ex art. 287 c.p.c., invece che col ricorso per cassazione, non può invece sostenersi. L’errore materiale infatti è quello che balza evidente ictu oculi dalla sola lettura del provvedimento. Nel nostro caso, invece, questo requisito non ricorre. Nello svolgimento del processo della sentenza impugnata, infatti, non si dice affatto quale fu il provvedimento ingiuntivo che formò oggetto dell’opposizione proposta da C.G. , e tanto meno si dice quando iniziò il giudizio di primo grado. Se non si esaminassero gli atti di causa, non potrebbe stabilirsi se gli avvisi erroneamente annullati dalla Corte d’appello avessero formato oggetto del thema decidendum, né se essi fossero anteriori o successivi all’introduzione del giudizio. E se non può stabilirsi questo, ciò vuol dire che l’errore non è di immediata percezione e dunque non è un errore materiale emendabile per via amministrativa. 2. Il secondo motivo dell’appello principale. 2.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente sostiene che la sentenza impugnata sarebbe affetta da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c È denunciata, in particolare, la violazione dell’art. 2 della L. 27.3.1995 n. 99. Deduce, al riguardo, che la Corte d’appello ha ritenuto che l’occupazione di C.G. non fosse sine titulo, così ragionando - i locali occupati da C.G. erano in uso al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati - ai sensi dell’art. 2 della L. 99/95, cit., per tale uso lo Stato pagava un canone al Comune - pertanto la pretesa dell’Agenzia del Demanio avrebbe comportato un cumulo del canone già versato dal Consiglio dell’Ordine per l’utilizzo dei locali . Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello, così giudicando, avrebbe totalmente frainteso il contenuto degli artt. 1 e 2 della L. 99/95. Infatti l’immobile di OMISSIS è dello Stato, non del Comune nessun canone paga per esso il Consiglio dell’Ordine, e tanto meno lo paga al Comune. Pertanto l’indennità richiesta a C.G. non era destinata a cumularsi con nessun’altro canone concessorio, ed illegittimamente la Corte d’appello ritenne il contrario. 2.2. Il motivo è fondato. La Corte d’appello ha infatti falsamente applicato gli artt. 1 e 2 della I. 27.3.1995 n. 99 ad una fattispecie concreta rispetto alla quale tali norme non venivano in rilievo. L’art. 1 della suddetta legge recita infatti negli edifici adibiti ad uffici giudiziari, sedi di tribunale, è destinato al consiglio dell’Ordine degli avvocati e procuratori un numero di locali idonei ad assicurare il funzionamento del consiglio stesso, in relazione alle sue effettive esigenze, comprese quelle necessarie per le istruttorie e i dibattimenti disciplinari, per i rapporti con gli organi della giustizia locale, per la conservazione e la fruizione, anche da parte di magistrati, di biblioteche, e per ogni altro servizio utile alla amministrazione della giustizia. Alla determinazione del numero e alla valutazione della idoneità dei locali predetti provvedono la commissione di manutenzione, se costituita, ovvero i capi degli uffici giudiziari e il presidente del consiglio dell’Ordine interessato, tenuto conto della consistenza globale dell’edificio con riferimento alle esigenze connesse al regolare svolgimento dell’attività giudiziaria e di quella forense . Il successivo art. 2 della medesima legge soggiunge che per i locali destinati al consiglio dell’Ordine degli avvocati e procuratori è corrisposto dallo Stato ai comuni proprietari degli edifici di cui all’articolo 1 un contributo annuo commisurato al valore locativo dei locali stessi . . Le spese necessarie per illuminazione, riscaldamento, custodia, servizio telefonico ed ogni altro servizio, nonché per forniture e riparazioni di mobili, strutture ed impianti dei locali medesimi sono a carico dei consigli dell’Ordine . Nel caso di specie, tuttavia, non fu mai controverso tra le parti che l’immobile oggetto del contendere fosse di proprietà dello Stato, non del Comune di XXXX. La Corte d’appello ha pertanto errato - nell’applicare ad un immobile dello Stato una norma dettata per gli immobili comunali - nel ritenere che il Consiglio dell’ordine pagasse un canone concessorio, mentre non ne pagava alcuno. 2.3. I principi di diritto che la Corte d’appello avrebbe dovuto applicare, nell’esaminare l’appello proposto da C.G. , sarebbero dovuti essere invece i seguenti a il Consiglio dell’ordine, cui la legge attribuisce il diritto di godimento di determinati locali all’interno di ogni ufficio giudiziario art. 1 L. 99/95 è titolare su essi di un diritto di godimento, non di un diritto reale b l’attribuzione di questo diritto di godimento integra gli estremi d’una concessione, stabilita direttamente dalla legge c il concessionario può locare o concedere il godimento dell’immobile a terzi solo se autorizzato dall’amministrazione o se lo consente la legge ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 5346 del 26/04/2000, Rv. 536021 - 01 d la subconcessione di fatto a terzi di beni demaniali da parte del concessionario, mentre vincola il concessionario ed il subconcessionario, è inopponibile all’amministrazione concedente Sez. 3, Sentenza n. 7532 del 27/03/2009, Rv. 607867 - 01 e nel caso di specie la legge non prevedeva espressamente la facoltà di subconcessione, e un’autorizzazione espressa dell’amministrazione mancava. Né varrebbe in contrario quanto rilevato dalla Corte d’appello, ovvero che i soggetti tenuti al controllo non hanno impedito l’occupazione . È infatti pacifico, nella giurisprudenza di questa Corte, che la concessione in uso d’un bene demaniale può fondarsi soltanto sulla legge o su un provvedimento amministrativo, e non può mai scaturire per facta concludentia, sicché il protrarsi di una situazione di fatto non può generare un affidamento giuridicamente rilevante ex multis, Sez. 1, Sentenza n. 11396 del 01/06/2016, Rv. 639831 - 01 . 2.4. Resta da aggiungere che i principi appena riassunti non sembrano scalfiti dalle deduzioni svolte nel proprio controricorso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, secondo cui concedere a terzi i locali nella disponibilità del Consiglio, per lo svolgimento di attività funzionali all’esercizio della professione, costituirebbe una legittima facoltà concessa al Consiglio dall’art. 1 della I. 99/95, cit Nel presente giudizio, infatti, non è mai stato non solo accertato in fatto, ma neanche dedotto, che la vendita di valori bollati da parte di C.G. avvenisse solo in favore di avvocati. Ed un esercizio commerciale accessibile a chiunque non può dirsi un servizio utile alla amministrazione della giustizia , secondo la previsione di cui all’art. 1, comma primo, ultimo periodo, L. 99/95. 3. Il motivo unico del ricorso incidentale. 3.1. C.G. ha dichiarato di proporre ricorso incidentale al solo fine di procedere alla correzione dell’errore materiale commesso nel dispositivo della sentenza qui impugnata. Tale censura resta assorbita dall’accoglimento del primo motivo di ricorso. 4. Le spese. Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio. P.Q.M. la Corte di cassazione - accoglie il ricorso principale dichiara assorbito il ricorso incidentale cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.