Giudice e convenuto amici fin dai tempi della scuola: l’istanza di ricusazione può essere proposta in appello?

Laddove la parte sia venuta a conoscenza della circostanza che avrebbe obbligato il giudice di prime cure ad astenersi solo in un momento successivo alla conclusione del relativo grado di giudizio, può dedurre in appello tale situazione come motivo di nullità della sentenza impugnata solo se il giudice avesse avuto un interesse diretto in causa tale da giustificare una sua eventuale partecipazione al giudizio.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20831/18, depositata il 21 agosto. La vicenda. Il provvedimento in commento origina dalla richiesta di risarcimento avanzata da due coniugi nei confronti dei proprietari dell’appartamento soprastante per i danni causati dai continui rumori provenienti da quell’abitazione. I convenuti resistevano in giudizio affermando la tollerabilità dei rumori, nonché il turbamento loro recato dagli attori con le continue rimostranze, sottolineando l’avvio di un procedimento penale a loro carico. Il Tribunale di Catanzaro respingeva la domanda attorea. Nel giudizio di seconde cure, gli appellanti evidenziavano la situazione di incompatibilità in capo al giudice onorario che aveva deciso la causa in primo grado, della quale erano venuti a conoscenza solo in quel momento gli appellanti avevano infatti assistito personalmente all’incontro fortuito nell’atrio del tribunale tra il giudice onorario e i convenuti che si erano salutati familiarmente in quanto conoscenti fin da bambini. La Corte d’Appello rigettava il gravame affermando di non poter valutare nel merito l’illecito disciplinare del giudice di primo grado, fermo restando che l’eventuale violazione dell’obbligo di astensione non inficiava la validità della sentenza impugnata. I soccombenti ricorrono dunque in Cassazione. Tempi e modi dell’istanza di ricusazione. Per quanto qui d’interesse, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c. che prevede l’obbligo di astensione del giudice, affermando l’erroneità dell’affermazione secondo cui la sentenza sarebbe nulla solo se il giudice, inadempiente rispetto all’obbligo citato, avesse avuto un interesse proprio e diretto nella causa. Il Collegio ricorda che la consolidata giurisprudenza di legittimità afferma che l’istanza di ricusazione deve avvenire entro il grado di giudizio a cui la stessa sia riferita. In difetto di ricusazione, la sentenza pronunciata dal giudice in violazione dell’obbligo di astenersi non è affetta da nullità. Il caso di specie presenta però la particolarità dell’ipotesi in cui la parte sia venuta a conoscenza della circostanza che obbliga il giudice all’astensione solo dopo la conclusione del relativo grado di giudizio. In tal caso, come correttamente affermato dalla Corte territoriale, pacifica essendo la deducibilità in appello, si assiste alla nullità della sentenza impugnata soltanto laddove il giudice avesse avuto un interesse diretto in causa tale da giustificare una sua eventuale partecipazione al giudizio. Nelle altre ipotesi, pur riconducibili all’art. 51 c.p.c., il giudice non aveva l’obbligo di astenersi ma una semplice possibilità, previa valutazione di opportunità, che in caso di esito negativo non mina la validità del provvedimento emesso. In conclusione, la Corte afferma che la mancata proposizione dell’istanza di ricusazione nei termini e con le modalità previste dal legislatore, salvo il residuale caso summenzionato, preclude la possibilità di far valere la condizione legittiminante l’astensione in sede di impugnazione come motivo di nullità del provvedimento. Essendo infondati i restanti motivi attinenti al merito della decisione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 29 gennaio – 21 agosto 2018, numero 20831 Presidente Travaglino – Relatore Rubino I fatti di causa Nel 2009 i coniugi avv. P.D. e C.C. convenivano in giudizio i coniugi ing. B.M. ed Cr.El. , proprietari dell’appartamento soprastante, chiedendone la condanna a pagare Euro 25.000 a titolo di risarcimento dei danni biologici, morali ed esistenziali, conseguenti ai continui rumori provenienti dall’appartamento dei convenuti originati, nella allegazione degli attori, da grida del figlio minore dei convenuti, che veniva lasciato giocare in modo incontrollato, dal trascinamento continuo di sedie, dall’uso di tacchi alti in casa anche in ora notturna, rumori tutti che impedivano il riposo pomeridiano e notturno e pregiudicavano lo stato di salute degli attori . Si costituivano in giudizio i convenuti, contestando che dalla loro abitazione promanassero rumori superiori o diversi dalla norma, e rappresentando che erano piuttosto i coniugi P. a turbare la loro vita, con continue rimostranze in ordine agli asseriti rumori, e che per tale motivo gli stessi erano stati raggiunti dall’avviso ex art. 415-bis c.p.p. per il procedimento penale istaurato a loro carico su querela dei coniugi B. . Chiedevano pertanto il rigetto della domanda e la condanna degli attori al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. e alle spese. Con sentenza ex art. 281-sexies c.p.c., depositata il 26/03/2009, il Tribunale di Catanzaro respingeva la domanda e condannava gli attori a pagare Euro 3.289,98 a titolo di spese e competenze di lite. P.D. e C.C. proponevano appello chiedendo che, previa ammissione delle prove negate dal primo giudice, fosse accolta la domanda di risarcimento dei danni. Si costituivano gli appellati, B.M. ed Cr.El. , chiedendo il rigetto dell’appello e la condanna alle spese riproponevano, inoltre, la domanda di condanna degli appellanti al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c Respinte le prove richieste dagli appellanti, all’udienza questi ultimi evidenziavano di aver appreso solo in appello, casualmente, la grave situazione di incompatibilità in cui versava il giudice onorario che aveva deciso la causa in primo grado, in ordine alla quale avevano presentato un esposto al CSM e al Presidente del Tribunale in quanto, come affermato dallo stesso giudice di primo grado nelle proprie note difensive in quella sede, dopo l’inizio del procedimento di appello avevano assistito all’incontro fortuito, nell’atrio del tribunale, tra il giudice onorario e i convenuti, che si erano salutati familiarmente in quanto conoscenti dai tempi della scuola . Il Presidente del Tribunale, considerato che la causa era stata appellata, disponeva non luogo a provvedere anche il CSM archiviava la procedura. L’appello veniva rigettato. La Corte d’Appello premetteva che le fosse preclusa ogni valutazione nel merito della denuncia per illecito disciplinare nei confronti del giudice onorario di primo grado, ed escludeva, in ogni caso, che l’eventuale violazione dell’obbligo di astensione da parte del giudice di primo grado potesse provocare la nullità della sentenza impugnata. Riteneva inoltre la corte che le condotte che i coniugi P. lamentavano dannose per la loro salute rientrassero nell’uso normale dell’abitazione e nella normale tollerabilità e che non sussistessero nella specie comportamenti emulativi, posti in essere al solo scopo di disturbare, unico fattore potenzialmente idoneo ad integrare l’illecito e che i capitoli di prova formulati dagli appellanti non fossero di per sé idonei a dimostrare che le abitudini di vita degli appellati comportassero la produzione di immissioni di rumore intollerabili per frequenza e intensità. Infine, la Corte rigettava sia le doglianze degli appellanti sull’eccessività della condanna alle spese e sull’opportunità di compensare le stesse, sia la domanda riconvenzionale di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c Contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro numero 143/2014, depositata il 28 gennaio 2014, propongono ricorso per Cassazione, articolato in tre motivi, P.D. e C.C. . Resistono con controricorso illustrato da memoria B.M. ed Cr.El. . La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata. Le ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c. obbligo di astensione in relazione all’art. 360 numero 4 c.p.c Sostengono che la Corte d’appello abbia errato nel ritenere che, in caso di violazione dell’obbligo di astensione, la sentenza possa essere nulla solo se il giudice, che aveva l’obbligo di astenersi, avesse avuto un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte del giudizio circostanza ritenuta insussistente nel caso di specie , e che invece negli altri casi la violazione dell’obbligo di astensione possa costituire solo motivo di ricusazione all’interno dello stesso grado di giudizio, purché la relativa istanza sia stata proposta tempestivamente. Osservano, infatti, che la circostanza rivelatrice della allegata situazione si era disvelata solo nel corso del giudizio d’appello e che il dettato normativo da un lato non ipotizza che il giudice debba poter rivestire la veste di parte, dall’altro prevede l’opportunità dell’astensione in ogni caso in cui esistano gravi ragioni di convenienza. Il motivo è infondato. La giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che la tutela della parte avverso l’esistenza di situazioni che minano o sembrano minare la terzietà del giudice passa in primo luogo attraverso la proposizione della istanza di ricusazione, che deve intervenire entro il grado di giudizio a cui essa sia relativa. In difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è in genere deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza Cass. numero 13935 del 2016 . Come affermato da Cass. numero 21094 del 2017 conf. a Cass. numero 14807 del 2008 , in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa, giacché l’art. 111 Cost., nel fissare i principi fondamentali del giusto processo tra i quali, appunto, l’imparzialità e terzietà del giudice , ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire, nell’ipotesi anzidetta, l’imparzialità e terzietà del giudice tramite gli istituti dell’astensione e della ricusazione né detti istituti, cui si aggiunge quello dell’impugnazione della decisione nel caso di mancato accoglimento della ricusazione, possono reputarsi strumenti di tutela inadeguati o incongrui a garantire in modo efficace il diritto della parti alla imparzialità del giudice, dovendosi, quindi, escludere un contrasto con la norma recata dall’art. 6 della Convenzione EDU, che, sotto l’ulteriore profilo dei contenuti di cui si permea il valore dell’imparzialità del giudice, nulla aggiunge rispetto a quanto già previsto dal citato art. 111 Cost Occorre chiedersi se a diversa conclusione debba giungersi se si sia venuti a conoscenza del fatto integrante l’obbligo di astensione del giudice di primo grado solo dopo la conclusione di tale giudizio. Anche a voler ammettere in applicazione dell’ormai generale principio della rimessione in termini , la deducibilità del motivo in appello, occorre considerare che esso rileverebbe come ipotesi di nullità della sentenza. Deve a questo proposito ritenersi, come correttamente affermato dal giudice di appello, che esso possa spiegare una tale rilevanza soltanto nel caso in cui il giudice d’appello accerti che il giudice di primo grado avesse un interesse diretto in causa, tale da giustificare una sua eventuale partecipazione al giudizio. In questo solo caso, la violazione dell’obbligo di astensione minerebbe la terzietà del giudice e potrebbe rilevare come motivo di nullità della sentenza. In tutti gli altri casi in cui, pur sussistendo una delle situazioni indicate dall’art. 51 c.p.c., non un obbligo di astensione sussisteva, ma la semplice possibilità di astenersi a seguito di una valutazione di opportunità, in presenza di una situazione che possa anche solo far credere a terzi che il giudice possa non essere imparziale, lo strumento per la parte del giudizio per tutelarsi è esclusivamente la ricusazione, da esercitarsi tempestivamente nei confronti dello stesso giudice che si assume dovrebbe astenersi, mentre la mancata determinazione da parte del giudice in ordine alla opportunità di astenersi non mina in ogni caso la validità del provvedimento emesso in questo senso v. Cass. S.U. numero 16615 del 2005 Cass. S.U. numero 10071 del 2011 . Ne consegue che la mancata proposizione dell’istanza di ricusazione nei termini e con le modalità di legge, salvo l’ipotesi residuale sopra indicata ed esclusa nel caso di specie, preclude la possibilità di far valere l’esistenza di una condizione legittimante l’astensione in sede d’impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento. 2. Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 numero 4 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 844 c.c. in relazione all’art. 360 numero 3 c.p.c. l’omessa motivazione circa più fatti decisivi della controversia ex art. 360 numero 5 c.p.c. la contraddittorietà ed illogicità della stessa. Sostengono che solo l’ammissione delle prove testimoniali richieste avrebbe potuto consentire al Giudice del merito di prendere reale cognizione dei fatti accaduti e valutare oggettivamente la tollerabilità o meno delle immissioni denunciate. Osservano che, invece, tale fatto decisivo per la controversia sia stato totalmente ignorato dalla Corte d’appello, la quale ha anzi ritenuto che qualsiasi rumore nei rapporti di vicinato debba considerarsi tollerabile, così svuotando di ogni contenuto il disposto dell’art. 844 c.c Il motivo è in inammissibile. Va premesso che, entro i limiti già delineati da questa Corte, la mancata valutazione da parte del giudice di merito delle prove testimoniali delle quali una delle parti chiedeva l’ammissione può essere dedotto come fatto decisivo , la cui omessa considerazione mini radicalmente la intima coerenza della decisione, e quindi può sotto questo profilo rilevare all’interno del pur ristretto limite di attuale rilevanza del controllo del giudice di legittimità sulla motivazione. Si è infatti chiarito che il provvedimento giurisdizionale che dapprima non esamini le prove richieste dalla parte, né per accoglierle né per rigettarle, e poi rigetti la domanda ritenendola indimostrata, viola il minimo costituzionale richiesto per la motivazione. Nella specie, la corte territoriale, senza provvedere sulle istanze di prova testimoniale, aveva respinto la domanda perché non provata, per di più affermando che i documenti prodotti dalla parte erano all’uopo insufficienti consistendo in dichiarazioni neppure confermate in giudizio Cass. numero 9952 del 2017 . Nel caso in esame, però, non vi è stata alcuna omessa considerazione delle richieste probatorie da parte del giudice di appello, il quale ha invece esaminato i capitoli di prova proposti dagli appellanti e non li ha ammessi - con valutazione in fatto non rinnovabile in questa sede - perché li ha ritenuti inidonei a dimostrare, anche in caso di positive dichiarazioni da parte dei testimoni, l’esistenza di un comportamento da parte degli appellati idoneo ad integrare la violazione della norma relativa al divieto di immissioni nel caso di specie, sonore al di sopra della soglia della tollerabilità. La corte d’appello, a pag. 10 della motivazione, ha puntualizzato infatti che va inoltre negato che i capitoli di prova, così come formulati, valgano a dimostrare che, nell’ambito dei comportamenti che usualmente possono verificarsi in un appartamento per civile abitazione, quelli tenuti dagli appellati superassero, per intensità, frequenza e durata la normale tollerabilità, tanto da arrecare disturbo al sonno ed alla quiete delle persone. Questo perché - prosegue la corte d’appello - sul punto i capitoli di prova sono obiettivamente generici e non concludenti circa l’esorbitanza dalla normalità dei fatti imputati agli appellati . 3. Con il terzo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c. in relazione all’art. 360 numero 4 c.p.c. nonché l’omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia ex art. 360 numero 5 c.p.c Lamentano la mancata compensazione, anche parziale, delle spese e competenze dei giudizi, per soccombenza reciproca, nonostante che la domanda riconvenzionale dei convenuti, volta alla condanna degli attori per responsabilità processuale, sia stata rigettata sia in primo che in secondo grado. Anche quest’ultimo motivo è infondato. Il mancato accoglimento della sola domanda di condanna per lite temeraria proposta dalla parte vincitrice non equivale ad una soccombenza sul merito della causa e quindi non impone al giudice di operare una seppur parziale, compensazione delle spese di lite. Il ricorso va complessivamente rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza dei ricorrenti, la Corte, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese di giudizio sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per spese, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.