Produzione di documenti nuovi in appello: limiti e condizioni

Ai fini dell’ammissibilità di documenti nuovi in appello, occorre ripercorre l’evoluzione normativa che ne ha interessato i presupposti con i diversi interventi del legislatore sul testo dall’art. 345 c.p.c. in modo da poter individuare il testo applicabile alla fattispecie ratione temporis.

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 20793/18, depositata il 20 agosto. Il caso. La Corte d’Appello di Napoli rigettava la domanda dell’appellato, vincitore in primo grado, volta alla condanna degli appellanti al pagamento di un’ingente somma di denaro oggetto di ricognizione di debito contenuta in una scrittura privata. Trovava invece accoglimento la domanda riconvenzionale proposta dai convenuti fondata su un contratto di cessione di quote societarie. Il soccombente ricorre in Cassazione dolendosi, per quanto d’interesse, per la violazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c. come modificato dalla l. n. 69/2009 per aver la Corte d’appello ritenuto ammissibile il deposito in appello di una scrittura privata senza dar conto dei presupposti per la produzione di nuovi documenti. Ammissibilità di documenti nuovi. Il Collegio, pur intervenendo a correzione della motivazione fornita dal giudice di merito, non condivide la doglianza prospettata dal ricorrente. La produzione in appello di documenti nuovi infatti, di regola non consentita così come per i nuovi mezzi di prova, può essere ammessa qualora la parte dimostri di non aver potuto produrli o riprodurli nel giudizio di prime cure per causa ad essa non imputabile. Ciò posto, la Suprema Corte passa in rassegna i diversi interventi legislativi che si sono succeduti nel tempo a modifica della norma in parola in modo da individuare la disciplina applicabile ratione temporis al caso di specie. Emerge dunque la riconducibilità della fattispecie al testo dell’art. 345 c.p.c. come modificato dall’art. 46, comma 18, l. n. 69/2009 a tenore del quale non possono di regola essere prodotti nuovi documenti in appello salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero se la parte dimostri di non aver potuto produrli nel giudizio di primo grado. Gli Ermellini cristallizzano dunque il principio per cui, con riferimento ai giudizi iniziati in primo grado prima del 30 aprile 1995 ma ancora pendenti in primo grado al 4 luglio 2009 trova applicazione quanto il giudizio d’appello ed in virtù della norma transitoria di cui all’art. 58, comma 2, l. n. 69/2009, l’art. 345 c.p.c. come modificato dall’art. 46, comma 18, l. n. 69/2009. Ne consegue che le parti possono in tal caso chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova solo se il collegio li ritiene indispensabili ai fini della decisione ovvero se la parte stessa dimostra di non aver potuto produrli in primo grado per una causa ad essa non imputabile. In conclusione la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 17 maggio – 20 agosto 2018, n. 20793 Presidente Frasca – Relatore Iannello Rilevato in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Napoli, all’esito di c.t.u. grafologica e di c.t.u. contabile, in riforma della sentenza di primo grado a ha rigettato la domanda proposta da N.G. appellato, attore vittorioso in primo grado volta alla condanna di B.A. e della F.lli B. S.p.A. appellanti, in primo grado convenuti al pagamento della somma di Lire 350 milioni in quanto oggetto di ricognizione di debito contenuta in scrittura dell’8/3/1988 b in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dai convenuti e poi fatta propria in appello dai germani B.A. , C. , S. e G. , subentrati quali ex soci della cessata Euro Macello S.r.l. già F.lli B. S.p.A. - domanda a sua volta fondata su contratto di cessione di quote di una terza società, la Frigomacelli S.r.l., datato 4/2/1988 contratto prodotto in originale in appello, la cui autenticità è stata accertata dal c.t.u. grafologo - ha condannato il N. al pagamento, in favore dei predetti, della somma di Euro 164.787,85, oltre interessi, così determinata sulla scorta della ricostruzione dei rapporti di dare e avere operata dal c.t.u. contabile. 2. Avverso tale decisione N.G. propone ricorso per cassazione articolando cinque motivi, cui resistono i predetti germani B. , depositando controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione dell’art. 345, comma terzo, cod. proc. civ., come modificato dall’art. 46, comma 18, legge 18 giugno 2009, n. 69, per avere la Corte d’appello ritenuto tout court ammissibile il deposito in appello dell’originale della scrittura privata del 4/2/1988 - in primo grado prodotta in copia tempestivamente disconosciuta - senza dar conto dei presupposti che, ai sensi della norma menzionata, nel testo applicabile ratione temporis quale risultante dalla citata modifica , solo avrebbero permesso la produzione di nuovi documenti, altrimenti di regola non più consentita. 2. Con il secondo, terzo e quarto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di fatti asseritamente decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in tesi rappresentati, rispettivamente - dall’apposizione, alla scrittura del 4/2/1988, di postilla datata 18/2/1988, la cui esistenza - assume - era stata riconosciuta nella sentenza di primo grado e anche nell’atto d’appello - dal fatto che le quote della Frigomacelli S.r.l. - oggetto di cessione con la scrittura del 4/2/1988, i cui reciproci effetti obbligatori sono stati esaminati dal c.t.u. contabile - erano state cedute alla F.lli B. S.p.A. da ciascuno dei quattro soci della Frigomacelli S.r.l. per la propria rispettiva quota la decisività di tale fatto - assume il ricorrente - è in sé evidente atteso che la pluralità delle parti cedenti non può non incidere sull’interpretazione di tutti gli atti e documenti posti a base della decisione impugnata . rendendo inconfigurabile una responsabilità totale e non semplicemente pro quota del N. - dal fatto che l’atto ricognitivo dell’8/7/1988, posto a base della c.t.u. e poi della sentenza della Corte d’appello, per determinare l’ammontare dei debiti della Frigomacelli, era formulato al plurale a nome dei quattro amministratori della detta S.r.l. ed inoltre dal fatto che la responsabilità affermata nell’atto medesimo era limitata ai debiti eccedenti l’importo di quelli indicati negli elenchi allegati importo in realtà risultato superiore a quelli accertati dal c.t.u 3. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per mancata individuazione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, in violazione dell’art. 132, comma quarto, cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma sesto, Cost Lamenta che la sentenza impugnata non illustra le ragioni per le quali la scrittura privata del 4/2/1988 costituirebbe fonte della responsabilità del N. , e solo di lui, né perché solo ad esso ricorrente andrebbero addebitati tutti i pretesi debiti della Frigomacelli S.r.l. esistenti al momento della cessione delle quote. Deduce, inoltre, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ., asseritamente rappresentato dalla circostanza che, nell’atto di ricognizione di debito dell’8/3/1988, B.A. si era attribuita la facoltà di trattenere dall’importo di cui si riconosceva debitore le somme che il N. avesse dovuto corrispondere in esecuzione della scrittura del 4/2/1988, integrata il 18/2/1988. Osserva che trattenere dall’importo significa che la somma ipoteticamente dovuta dal N. non poteva essere superiore a 350 milioni di lire, tenuto conto altresì che la cessione era stata effettuata anche dagli altri tre soci della Frigomacelli. 4. Il primo motivo di ricorso - benché colga in effetti nella sentenza impugnata l’affermazione di una regula iuris quella secondo cui trattandosi di giudizio incardinato nel 1990 , l’art. 345, comma secondo, cod. proc. civ., nella formulazione applicabile ratione temporis, consentiva la produzione di nuovi documenti in appello non conforme a una corretta ricognizione della norma applicabile - non può essere accolto, sul punto occorrendo solamente provvedere alla rettifica della motivazione ai sensi dell’art. 384, comma quarto, cod. proc. civ Diversamente infatti da quanto affermato in sentenza, e come meglio sarà esposto subito appresso, secondo il testo applicabile nella fattispecie della citata disposizione, la produzione in appello di nuovi documenti , di regola non consentita, al pari dei nuovi mezzi di prova, lo è soltanto qualora il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile . Nondimeno la decisione rimane corretta, pur in mancanza della allegazione o dimostrazione di tali presupposti, perché la produzione in questione deve in realtà ritenersi, in radice, sottratta all’applicazione di tale norma, non potendo l’originale della scrittura già prodotta in copia in primo grado considerarsi nuovo documento . 4.1. Onde illustrare il primo dei superiori enunciati converrà qui di seguito passare in breve rassegna le diverse formulazioni dell’art. 345 cod. proc. civ. succedutesi nel tempo, nei limiti di quanto rileva nel presente giudizio. 4.1.1. Nel testo modificato dall’art. 36 legge 14 luglio 1950, n. 581, detta disposizione così stabiliva Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono rigettarsi d’ufficio. Possono però domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. / Le parti possono proporre nuove eccezioni, produrre nuovi documenti e chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova, ma se la deduzione poteva essere fatta in primo grado si applicano per le spese del giudizio d’appello le disposizioni dell’articolo 92, salvo che si tratti del deferimento del giuramento decisorio . Nessuna preclusione dunque alla produzione di nuovi documenti in appello, salvo solo l’eventuale incidenza di essa ai fini della regolamentazione delle spese. È questo evidentemente il testo che la Corte d’appello ha ritenuto applicabile alla fattispecie. 4.1.2. L’art. 52 legge 26 novembre 1990, n. 353 ha poi così disposto 1. L’articolo 345 del codice di procedura civile è sostituito dal seguente Art. 345. - Domande ed eccezioni nuove - Nel giudizio d’appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio. Possono tuttavia domandarsi gli interessi, i frutti e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa. / Non possono essere nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio. / Non sono ammessi i nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado, per causa ad essa non imputabile. Può sempre riferirsi il giuramento decisorio . Ai sensi dell’art. 92, comma 2, della legge medesima l’efficacia di tale disposizione è fissata a decorrere dal 30 aprile 1995, essendo inoltre espressamente previsto, con la norma transitoria di cui all’art. 90, comma 1, che ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 si applicano le disposizioni vigenti anteriormente a tale data salvo ulteriori specificazioni o eccezioni che non riguardano però l’art. 345 cod. proc. civ. . 4.1.2. È quindi intervenuto l’art. 46 legge 18 giugno 2009, n. 69, che, al comma 18, ha così disposto All’articolo 345, terzo comma, primo periodo, del codice di procedura civile, dopo le parole nuovi mezzi di prova sono inserite le seguenti e non possono essere prodotti nuovi documenti e dopo la parola proporli sono inserite le seguenti o produrli . La modifica ha in sostanza lasciato inalterata la portata precettiva del precedente testo, salvo solo chiarire definitivamente così positivizzando un approdo interpretativo già acquisito dalla giurisprudenza v. Cass. Sez. U. n. 8203 del 2005 e succ. conf. che esso riguarda non solo le prove costituende ma anche le prove precostituite, ossia i documenti. La norma transitoria di cui all’art. 58, comma 2, legge n. 69 del 2009 così poi per essa dispone Ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano gli articoli 132, 345 e 616 del codice di procedura civile ., come modificati dalla presente legge . 4.1.3. Vi è poi un successivo intervento modificativo - realizzato con l’art. 54, comma 1, lett. Ob d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, e concretizzatosi nella eliminazione del riferimento, quale motivo di eccezionale ammissibilità di nuovi mezzi di prova o nuovi documenti in appello, alla loro indispensabilità - il quale però pacificamente non potrebbe trovare applicazione nel presente giudizio, essendo la norma entrata in vigore il 12/8/2012, successivamente alla proposizione dell’appello. 4.1.4. Alla luce della superiore rassegna risulta evidente come il procedimento in esame, in quanto promosso in primo grado nel 1990 con atto di citazione notificato il 20/3/1990 e definito in primo grado con sentenza depositata in data 13/1/2010, rientra sia nella previsione della norma transitoria di cui all’art. 90, comma 1, legge n. 353 del 1990 che, giova ripetere, faceva salva per i giudizi pendenti al 30 aprile 1995 l’applicabilità del testo previgente dell’art. 345 cod. proc. civ. illimitata ammissibilità di nuovi documenti in appello , sia nella previsione della norma transitoria di cui all’art. 58, comma 2, legge n. 69 del 2009 che prevede invece l’applicabilità del nuovo testo dell’art. 345 cod. proc. civ., con i visti limiti all’ammissibilità di nuovi documenti in appello, ai giudizi in corso in primo grado alla data della sua entrata in vigore 4 luglio 2009 . Non può però dubitarsi che, nel conflitto tra le due discipline, debba prevalere la seconda in ordine temporale, per il principio lex posterior derogat priori art. 15 preleggi . Ad opposta conclusione potrebbe infatti pervenirsi solo negando l’esistenza di un conflitto, ossia postulando che la norma transitoria di cui all’art. 58 comma 2 legge n. 69 del 2009 a presupponga la triplice distinzione tra l’art. 345 cod. proc. civ. nel testo previgente alla sostituzione disposta dall’art. 52 legge n. 353 del 1990, l’art. 345 cod. proc. civ. come sostituito da tale ultima disposizione e infine l’art. 345 cod. proc. civ. come modificato dall’art. 46, comma 18, legge n. 69 del 2009 b nel dare prevalenza a tale ultima norma, la ponga in contrapposizione solo alla precedente e non anche alla versione ancora anteriore, la cui ultrattività per i giudizi in corso al 30 aprile 1995 rimarrebbe pertanto non impedita dalla successiva modifica del 2009. Perché ciò si possa sostenere si dovrebbe però ritenere che la modifica introdotta nel 2009, e la relativa norma transitoria, abbiano inteso riferirsi non già all’art. 345 cod. proc. civ. bensì all’art. 52 legge n. 353 del 1990 non dunque alla norma codicistica modificata ma alla norma modificante , del che però non si rinviene supporto argomentativo testuale o sistematico. In realtà in entrambi i casi appare evidente che le modalità del rinvio a fini, per così dire, modificativo-sostitutivi concretamente operato -prima dal citato art. 52 legge n. 393 del 1990 e poi dall’art. 46, comma 18, legge n. 69 del 2009 - all’art. 345 cod. proc. civ. induce a qualificarne la natura alla stregua di un rinvio c.d. mobile, ossia alla fonte normativa formale in sé considerata a prescindere dal contenuto storicamente contingente e non già di un ipotetico rinvio c.d. fisso allo specifico testo norma materiale eventualmente in vigore in un dato momento storico. Erronea deve pertanto ritenersi la ricognizione, operata in sentenza, del testo dell’art. 345 cod. proc. civ. applicabile ratione temporis, ricorrendo nella specie la condizione pendenza del giudizio in primo grado alla data del 4 luglio 2009 che rendeva applicabile la norma come modificata dall’art. 46, comma 18, legge n. 69 del 2009, a tenore della quale, come detto, non possono di regola essere prodotti nuovi documenti in appello salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado . Può pertanto sul punto affermarsi il seguente principio di diritto con riferimento ai giudizi iniziati in primo grado in epoca anteriore al 30 aprile 1995 ma ancora pendenti in primo grado alla data del 4 luglio 2009 trova applicazione quanto al giudizio di appello - in virtù della norma transitoria di cui all’art. 58, comma 2, legge n. 69 del 2009 prevalente, quale lex posterior, su quella di cui all’art. 90, comma 2, legge n. 353 del 1990 - l’art. 345 cod. proc. civ. come modificato dall’art. 46, comma 18, legge n. 69 del 2009. Pertanto, le parti, in presenza di dette condizioni, non possono produrre nuovi documenti, né chiedere l’ammissione di nuovi mezzi di prova salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado, per causa ad essa non imputabile . 4.2. Cionondimeno, come detto, la decisione di ammettere in appello il documento in questione, pur in mancanza di valutazione alcuna circa la ricorrenza delle condizioni predette, deve ritenersi corretta in ragione della non riconducibilità della fattispecie concreta alla previsione normativa citata. A privare, infatti, di fondamento la censura al riguardo dedotta vale, in radice, il rilievo che il documento prodotto non poteva considerarsi nuovo ai sensi della menzionata norma processuale, trattandosi in realtà solo dell’originale dello stesso documento già prodotto in copia in primo grado. In proposito questa Corte ha invero più volte evidenziato - con indirizzo al quale si intende qui dare continuità - che, in tema di appello, non costituisce nuova produzione ai sensi dell’art. 345, comma terzo, cod. proc. civ. il deposito in originale di un documento la cui copia è stata prodotta nel giudizio di primo grado, trattandosi della regolarizzazione formale del precedente deposito tempestivamente avvenuto Cass. 20/04/2018, n. 9893 28/09/2017, n. 22709 26/01/2016, n. 1366 . 5. I motivi secondo, terzo e quarto, così come l’analoga censura svolta nella seconda parte del quinto, si appalesano poi inammissibili sotto vari profili. 5.1. Anzitutto per l’evidente eccentricità rispetto ai presupposti e ai limiti dettati dal paradigma normativo del vizio evocato. Occorre al riguardo rammentare che, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. quale risultante dalla modifica introdotta dall’art. 54, comma 1, lett. b , d.l. n. 83 del 2012, cit., applicabile ai ricorsi proposti avverso sentenze depositate dall’11 settembre 2012 , dà luogo a vizio della motivazione sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia e che, in tale nuova prospettiva, l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053 Id. 22/09/2014, n. 19881 . Ben diversamente, nella specie, gli elementi del cui omesso esame si duole il ricorrente rappresentano nient’altro che singoli contenuti estrapolati da documenti in realtà specificamente considerati in sentenza, ma diversamente valutati. 5.2. Le censure inoltre si appalesano inconferenti in relazione al fondamento motivazionale della sentenza, il quale chiaramente è rappresentato dagli esiti della c.t.u., i quali non risultano specificamente contestati nel giudizio di merito. Varrà al riguardo rammentare che, secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per Cassazione per vizio di motivazione, la parte che si duole di carenze o lacune nella decisione del giudice di merito che abbia sostanzialmente basato il proprio convincimento sull’accertamento tecnico eseguito in primo grado, non può limitarsi a censure apodittiche d’erroneità e/o inadeguatezza della motivazione od anche di omesso approfondimento di determinati temi di indagine, prendendo in considerazione emergenze istruttorie asseritamente suscettibili di diversa valutazione e traendone conclusioni difformi da quelle alle quali è pervenuto il giudice a quo, ma, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione ed il carattere limitato di tale mezzo di impugnazione, è tenuta ad indicare le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità e adeguatezza al fine di consentire l’apprezzamento causale del difetto di motivazione, richiamando le difese svolte al riguardo e disattese dal giudice, riportando per esteso le pertinenti parti della consulenza tecnica ritenute insufficientemente od erroneamente valutate e svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione Cass. 05/05/2003, n. 6753 v. anche Cass. 28/03/2006, n. 7078 . 6. La censura poi, svolta con il quinto motivo, di nullità della sentenza per mancanza assoluta di motivazione si appalesa, oltre che contraddittoria con i motivi sopra esposti, i quali tutti evidentemente postulano l’esistenza di una motivazione intellegibile tanto da essere criticata per specifici aspetti, comunque manifestamente infondata. Non può infatti dubitarsi che una motivazione esiste e che non sia meramente apparente, consentendo la stessa di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata. Ciò vale certamente ad escludere la dedotta violazione dai doveri decisori di cui all’art. 132 cod. proc. civ. denunciata dal ricorrente, che si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza sottoporli ad alcuna effettiva disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo del suo ragionamento, mentre rientra nell’ambito dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. ed è soggetta ai relativi visti limiti, la censura con la quale si contesti il contenuto intrinseco di tale motivazione. 7. Il ricorso va pertanto rigettato. Essendosi tuttavia resa necessaria la correzione della motivazione della sentenza impugnata, nei sensi sopra esposti, si ravvisano i presupposti per l’integrale compensazione delle spese. Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. rigetta il ricorso. Compensa integralmente le spese processuali. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.