L’indispensabile deposito delle copie analogiche con attestazione di conformità per la procedibilità del ricorso in Cassazione

La Cassazione approfitta della controversia oggetto di ricorso per ribadire gli adempimenti, a pena d’improcedibilità, a cui è chiamato il difensore che propone ricorso per cassazione contro il provvedimento notificato con modalità telematiche.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 18574/18, depositata il 13 luglio. Il fatto. La Suprema Corte, chiamata ad esprimersi su una questione relativa al diritto al risarcimento di un paziente e all’attribuzione esclusiva della responsabilità al medico operatore in qualità di causatore del danno con esclusione di colpa per la struttura sanitaria, pregiudizialmente ha ritenuto il ricorso improcedibile a causa dell’inosservanza dei requisiti formali degli atti depositati telematicamente in Cassazione. Gli Ermellini hanno rilevato il mancato deposito da parte del ricorrente della relata di notifica, in copia autentica, unitamente alla copia autentica delle sentenza impugnata, in questo modo violando l’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c L’improcedibità del ricorso senza l’attestazione di conformità. Sul punto la Cassazione ha ripreso l’ormai consolidato principio della giurisprudenza di legittimità secondo il quale nel ricorso per cassazione, se la notifica della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche il difensore, che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento notificato telematicamente, deve depositare nella cancelleria della Corte di Cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi dei comma 1- bis e 1- ter dell’art. 9, legge 21 gennaio 1994, n. 53, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio . Nel caso di specie mancano del tutto le prescritte copie analogiche sia della relata di notifica a mezzo PEC che del messaggio di posta elettronica, nonché delle relative ricevute di accettazione di consegna oltre a qualsiasi attestazione di conformità di queste con l’originale informatico. Il ricorso, secondo il Supremo Collegio, va pertanto dichiarato improcedibile e parte ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 giugno – 13 luglio 2018, n. 18574 Presidente Travaglino – Relatore Iannello Fatti di causa 1. Con sentenza depositata in data 5/2/2015 il Tribunale di Milano, in accoglimento della domanda proposta da D.C.A. , condannava l’Istituto Clinico Città Studi S.p.A. già Casa di cura S. Rita S.p.A. e T.C.A. , in solido, al risarcimento dei danni dal primo subiti a seguito dell’intervento di erniectomia, microdiscectomia e laminectomia effettuato dal T. , in data OMISSIS , presso la Casa di Cura Santa Rita. Accoglieva parzialmente la domanda di rivalsa proposta dalla struttura sanitaria nei confronti del medico, nei limiti del 50% dell’importo liquidato a titolo di risarcimento. Condannava inoltre l’Assicuratrice Milanese S.p.A., chiamata in garanzia dal T. , a tenerlo indenne di quanto lo stesso era tenuto a pagare in dipendenza della sentenza. 2. Pronunciando sui gravami proposti dall’I.C.C.S. esclusivamente in punto di estensione del credito di regresso e dell’Assicuratrice Milanese S.p.A. che reiterava la disattesa eccezione di inoperatività della polizza , la Corte d’appello di Milano, con sentenza depositata in data 12 agosto 2016, in accoglimento di entrambi e in conseguente parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava il T. tenuto a manlevare l’I.C.C.S. S.p.A. da ogni somma che la medesima risulti tenuta a pagare a favore di D.C.A. per i fatti di causa, con integrale accoglimento della domanda di regresso e dichiarava inoltre l’inoperatività della polizza stipulata dal T. con la predetta compagnia. 3. Avverso tale decisione T.C.A. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui resiste l’I.C.C.S. S.p.A. depositando controricorso. D.C.A. e Assicuratrice Milanese S.p.A. non svolgono difese nella presente sede. Chiamata avanti la sottosezione terza della sesta sezione civile, la causa, con ordinanza interlocutoria n. 581 del 12/01/2018, è stata rimessa avanti questa sezione terza per essere trattata in pubblica udienza in relazione alla rilevata questione dei requisiti formali degli atti da depositare in cassazione al fine di garantire la procedibilità del ricorso. La controricorrente ha depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo di ricorso T.C.A. deduce, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113 cod. proc. civ., 2049, 2055, 1218 e 1228 cod. civ., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria , per avere la Corte d’appello ritenuto la responsabilità integrale del medico operatore e l’assenza di obbligazioni e relativa responsabilità in capo alla struttura sanitaria, così accogliendo la domanda di regresso integrale da questa spiegata. Richiamando Cass. n. 280 del 2015 rileva che il principio generale di cui all’art. 1228 cod. civ. comporta che, così come il medico è responsabile dell’operato dei terzi della cui attività si avvale, per converso anche la struttura risponde non solo dell’inadempimento delle obbligazioni su di essa tout court incombenti, ma anche dell’inadempimento della prestazione svolta dal sanitario, quale ausiliario necessario all’organizzazione aziendale, donde la corresponsabilità in solido di entrambi i soggetti obbligati. Sostiene che l’impresa sanitaria, essendo tenuta ad adempiere le prestazioni oggetto del contratto di specialità, non può pretendere con l’azione di regresso di far ricadere integralmente le conseguenze pregiudizievoli dell’inadempimento o dell’inesatto adempimento sul proprio dipendente/ausiliario, specie se, come afferma accaduto nella fattispecie in esame, vi abbiano concorso altre condotte attive o omissive imputabili alla stessa impresa sanitaria . perché tenute da altri suoi dipendenti/collaboratori, come in caso di responsabilità di equipe . Rileva che, peraltro, nel caso di specie una concorrente responsabilità della struttura, in misura non inferiore al 50% del danno, è ravvisabile in ragione della riferibilità degli interventi effettuati anche agli altri componenti della equipe operatoria, dipendenti dall’Istituto. 2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113 cod. proc. civ., 1892 e 1893 cod. civ., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria , in relazione all’affermata inoperatività della polizza assicurativa contratta con la Assicuratrice Milanese S.p.A Rileva che l’art. 1892 cod. civ. prevede, al verificarsi dei presupposti ivi previsti, l’annullamento del contratto di assicurazione solamente nel caso in cui venga proposta apposita domanda in tal senso, in difetto della quale alla violazione della norma non può ricollegarsi l’effetto della inoperatività del contratto assicurativo osserva inoltre che, ai sensi dell’art. 1893 cod. civ., nel caso in cui il contraente non abbia agito con dolo o colpa grave, le sue eventuali dichiarazioni inesatte e reticenze non sono causa di annullamento del contratto, ma facultano soltanto l’assicuratore a recedere dal contratto. 3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia infine deduce, ai sensi dell’art. 360, comma primo, num. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ., 1892, 1893 e 2729 cod. civ., nonché motivazione insufficiente e contraddittoria , per avere la Corte d’appello ritenuto di provato che i fatti oggetto di contestazione, il fallimento dell’intervento e le doglianze del paziente al riguardo fossero già noti all’assicurato prima della stipula della polizza con la compagnia. Lamenta l’utilizzo al riguardo di ragionamento presuntivo fondato su elementi indiziari privi dei caratteri di gravità, precisione e concordanza quali le doglianze del paziente e la richiesta di risarcimento da questo inviata alla struttura sanitaria, dai quali ingiustificatamente la Corte desume presuntivamente anche, rispettivamente, la percezione delle stesse da parte di esso ricorrente e che la richiesta di risarcimento sia stata dalla struttura medesima portata a conoscenza anche del medico . 4. È pregiudiziale in quanto attinente alla procedibilità del ricorso il rilievo del mancato deposito, da parte del ricorrente, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata, in copia anch’essa autentica, della notificazione che si afferma essere stata notificata a mezzo p.e.c. in data 26 ottobre 2016 , in violazione dell’art. 369, comma secondo, n. 2, cod. proc. civ Secondo principio consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte successivamente alla sopra menzionata ordinanza della sezione sesta, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369, comma secondo, num. 2, cod. proc. civ., il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 9 della legge 21 gennaio 1994, n. 53, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio Cass. 22/12/2017, n. 30765 v. anche Cass. n. 657 del 2017 n. 17450 del 2017 n. 23668 del 2017 n. 24292 del 2017 n. 24347 del 2017 n. 24422 del 2017 n. 25429 del 2017 n. 26520 del 2017 n. 26606 del 2017 n. 26612 del 2017 n. 26613 del 2017 n. 28473 del 2017 . Nel caso di specie risultano prodotte solamente copia del provvedimento in questione con attestazione del difensore di conformità all’originale contenuto nel fascicolo informatico . Mancano del tutto invece le prescritte copie analogiche cartacee della relata di notifica a mezzo p.e.c. e del messaggio di posta elettronica e delle relative ricevute di accettazione e di consegna e, ovviamente, qualsivoglia attestazione di conformità di queste all’originale informatico. Tali copie e relative attestazioni di conformità non sono state nemmeno aliunde acquisite, non avendo nemmeno la società controricorrente fattane allegazione, né risultando esse presenti agli atti del fascicolo di ufficio. La notifica del ricorso non supera la c.d. prova di resistenza Cass. n. 17066 del 2013 , essendo stata effettuata in data 27 dicembre 2016, oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza 12 agosto 2016 . 5. Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. 6. Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. dichiara improcedibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.