Affissione dell’ordinanza di sequestro integrale: l’ufficiale giudiziario è responsabile di violazione della privacy

L’ufficiale giudiziario, che provveda all’affissione all’ingresso dell’immobile sequestrato dell’ordinanza integrale di imposizione del vincolo reale in seguito a sequestro preventivo del bene, viola la privacy del legale rappresentante della società indagata i cui dati personali sono inseriti nell’ordinanza. Negato però il diritto al risarcimento del danno alla reputazione.

Così la Cassazione con ordinanza n. 14678/18, depositata il 6 giugno. Il processo penale di abuso edilizio e la violazione della privacy. La vicenda, oggetto di ricorso per cassazione, aveva origine in seguito al sequestro preventivo di un’immobile da parte dell’Ufficio di polizia giudiziaria, su delega del PM, in relazione ad un procedimento penale nel quale il legale rappresentante della società interessata del sequestro veniva accusato di abuso edilizio. L’ufficiale giudiziario provvedeva quindi ad affiggere sul cancello d’ingresso dell’immobile copia integrale dell’ordinanza impositiva del vincolo, nella quale venivano riportati integralmente i dati di identificazione personale del legale rappresentante della società immobiliare. L’ordinanza veniva rimossa solo successivamente, a seguito di specifica diffida dell’avvocato dell’interessato e sostituita con altro avviso. Con ricorso l’indagato conveniva davanti al Tribunale di Roma l’ufficiale in prime persona e il relativo ufficio giudiziario, chiedendo la condanna al risarcimento per violazione della privacy dell’amministratore della società. I convenuti costituiti in giudizio chiedevano il rigetto della domanda per mancanza di prova del danno subito e eccepivano il difetto di legittimazione passiva e l’irresponsabilità del dipendente pubblico. Il Tribunale rigettava la domanda risarcitoria e condanna il richiedente alla rifusione delle spese di lite. Accertamento di responsabilità per violazione della privacy. Il soccombente avverso la pronuncia di merito ha proposto ricorso per cassazione lamentando con il primo motivo che il Giudice di merito abbia rigettato la domanda risarcitoria senza esprimersi sulla domanda di accertamento della illegittimità ed illiceità del comportamento tenuto dal ufficiale giudiziario. Con il secondo motivo il ricorrente censura, invece, il mancato riconoscimento del diritto al risarcimento per il danno alla reputazione subito. Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso, i Giudici di legittimità osservano che al contrario il Tribunale, prima di decidere sulla domanda risarcitoria, ha affermato che l’ufficiale giudiziario, nel caso di specie, si sia comportato da titolare del trattamento dei dati personali in quanto la delega dell’Autorità giudiziaria all’esecuzione del sequestro non comportava la divulgazione dei dati, ed avendo egli provveduto alla loro diffusione, ha violato la normativa vigente in materia di privacy . Diritto al risarcimento del danno alla reputazione. Ciò posto, continua la Suprema Corte valutando la seconda doglianza, altrettanto correttamente il Giudice di merito ha escluso il diritto al risarcimento osservando che il richiedente si fosse limitato a lamentare un possibile danno alla reputazione lavorativa in caso in cui terzi avessero visto l’ordinanza affissa all’ingresso dell’immobile oggetto di sequestro, in modo generico e non verificabile. Infatti la Cassazione ha ribadito sul punto che ove una condotta potenzialmente lesiva della reputazione sia sta stata posta in essere, ma in concreto tale comportamento non sia stato percepito da nessuno, non rimane integrato un danno civilisticamente risarcibile . In conclusione la Corte di Cassazione, rigettando anche le doglianze di controparte, ha rigettato il ricorso, compensando tra le parti le spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 22 marzo – 6 giugno 2018, n. 14680 Presidente Giancola – Relatore Di Marzio Fatti di causa nell’anno 2008 L.F. , in qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante della omissis S.r.l. presentava, al Municipio di Roma XI, la D.I.A. per l’esecuzione di lavori presso il compendio immobiliare sito nella capitale, alla omissis . L’Amministrazione inibiva il compimento di dette opere edili, dandone notizia anche al Servizio Guardiaparco del Parco Regionale dell’ omissis , competente per il territorio. A seguito di un controllo, eseguito in data 06.07.2009, veniva rilevato dagli Agenti del Servizio Guardiaparco che la suddetta Società, in violazione della diffida ricevuta, stava dando corso alla realizzazione di opere per le quali difettava un’espressa autorizzazione, con ciò incorrendo nel reato di abuso edilizio. Pertanto, l’immobile veniva sottoposto a sequestro probatorio, successivamente convalidato. Avverso il provvedimento di convalida, L.F. proponeva opposizione con procedimento conclusosi, in data 25.02.2010, con ordinanza di rigetto del G.I.P. di Roma, con la quale veniva disposto pure il sequestro preventivo di quanto sottoposto a vincolo probatorio”. Successivamente, il P.M. delegava l’Ufficio di Polizia Giudiziaria dell’Ente Parco Regionale dell’ omissis , ai fini della notifica e dell’esecuzione del sequestro preventivo. In data 03.03.2010 C.G. , quale Ufficiale di Polizia Giudiziaria responsabile del Servizio Guardiaparco, unitamente ad Agenti di P.G., provvedeva ad affiggere, sul cancello d’ingresso dell’immobile sottoposto a sequestro, copia integrale dell’ordinanza impositiva del vincolo reale, nella quale venivano riportati i dati di identificazione personale di L.F. . Solo a seguito di specifica diffida, ricevuta in data 13.03.2010 dall’avvocato dell’odierno ricorrente, l’Autorità preposta provvedeva alla rimozione dell’ordinanza, come affissa, e alla sua sostituzione con altro avviso che non conteneva i riferimenti personali della parte indagata nel processo penale. Con ricorso ex art. 152 D.Lgs. n. 196/2003, depositato in data 06.03.2012, L.F. conveniva innanzi al Tribunale di Roma, C.G. e l’Ente Parco Regionale dell’ omissis , al fine di sentir accertare che il comportamento tenuto dal Servizio del Parco Regionale dell’ omissis , nell’affiggere all’immobile sottoposto a sequestro il testo integrale dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma con la quale era stata rigettata l’opposizione al sequestro, configura una violazione del Codice della Privacy e chiedeva, inoltre, la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali a lui derivati dalla lesione del diritto alla riservatezza, da liquidarsi in Euro 100.000,00 o nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia. Si costituivano in giudizio il Parco Regionale dell’ omissis , rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e C.G. , i quali contrastavano il fondamento della domanda di parte attrice, invocandone il rigetto. Di contro alle richieste formulate dall’attore, veniva infatti eccepito il difetto di legittimazione passiva, l’inapplicabilità nel procedimento penale della disciplina in materia di diritto alla privacy, l’irresponsabilità del dipendente pubblico C.G. sottoposto, soltanto ed eventualmente, alla giurisdizione della Corte dei Conti per colpa lieve, ed infine il difetto di prova del preteso danno subito da controparte. Il Tribunale di Roma, all’udienza del 06.02.2013, pronunciando definitivamente, con sentenza n. 2774/2013 rigettava la domanda risarcitoria, condannando il ricorrente alla rifusione delle spese di lite. Rigettava, inoltre, l’istanza incidentale di controparte diretta a conseguire il risarcimento dei danni per lite temeraria. Avverso la pronuncia del Tribunale di Roma ha proposto ricorso per cassazione L.F. , affidandosi a due motivi. L’Ente Parco Regionale dell’ omissis e C.G. , si sono costituiti, quest’ultimo proponendo anche ricorso incidentale, affidandosi a tre motivi. Ragioni della decisione 1.1. - Con il primo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., il ricorrente critica il giudice di merito per aver omesso qualsivoglia pronunzia, ancorché implicita, in ordine alla domanda di dichiarare la illegittimità ed illiceità del comportamento tenuto da C.G. , in relazione alla normativa contenuta nel D. Lgs. n. 196/2003 in materia di diritto alla privacy, limitandosi la decisione al solo rigetto della domanda risarcitoria. 1.2. - Con il secondo motivo di impugnazione, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 11 e 15 del D.Lgs. n. 196/2003, il ricorrente lamenta il rigetto della domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni non patrimoniali, da riconoscersi in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ 1.3. - Con il primo motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., per violazione o falsa applicazione degli artt. 4, 11, 22, 46 e 47 del D.Lgs. n. 196/2003, nonché degli artt. 59 e 260 del cod. proc. civ., il controricorrente C.G. censura l’impugnato Tribunale di Roma per aver ritenuto applicabile la normativa contenuta nel Codice della Privacy nell’ambito di un procedimento penale, nonché per averlo reputato titolare del trattamento dei dati personali del ricorrente, e comunque per aver giudicato la sua condotta in contrasto con la disciplina relativa al diritto alla riservatezza. Nella fattispecie in esame, infatti, non sarebbe configurabile alcun trattamento dei dati personali ai sensi del D. Lgs. n. 196/2003, avendo il giudice di primo grado trascurato pure che il ricorrente incidentale ha agito quale delegato dell’Autorità Giudiziaria. 1.4. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale, introdotto ai sensi dell’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., per nullità del procedimento e violazione dell’art. 116 cod. civ., il controricorrente lamenta l’erronea qualificazione dell’elemento soggettivo sotteso alla propria condotta, nonché la mancata indicazione, sul punto, degli elementi di prova sui quali il giudice di merito avrebbe fondato il proprio prudente apprezzamento. 1.5. - Con il terzo motivo di ricorso incidentale, proposto ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione alla richiesta di condanna della controparte ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., il controricorrente critica il giudice di prime cure per aver omesso di valutare la complessiva condotta processuale posta in essere da parte attrice, nella quale sarebbe possibile ravvisare gli elementi costitutivi della lite temeraria e del conseguente abuso dello strumento processuale. 2.1. - Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente contesta la decisione del giudice impugnato per non aver pronunciato, neppure in forma implicita, sulla domanda di accertamento della illegittimità ed illiceità del comportamento tenuto da C.G. nel diffondere i suoi dati personali. Occorre rilevare, innanzitutto, che la critica risulta mal proposta. Diversamente da quanto afferma il ricorrente, il Tribunale una pronuncia implicita in materia l’ha emessa. Il Giudice ha affermato che il C. si è comportato da titolare del trattamento dei dati personali, perché la delega dell’Autorità Giudiziaria all’esecuzione del sequestro non comportava la divulgazione dei dati, ed avendo egli provveduto alla loro diffusione, ha violato la normativa vigente in materia di privacy. Annota il Giudice, tra l’altro, doversi rilevare come nella specie il P.M. non abbia disposto né implicitamente, né esplicitamente che il servizio Guardaparco delegato dovesse trattare i dati personali dell’indagato , inoltre la scelta volontaria e non certo imputabile a colpa lieve del C. non sembra rispondere ad alcuna ratio, che non sia la maggior comodità di esecuzione dell’atto . non era necessario alcun trattamento di dati personali . l’agente non avrebbe certamente potuto prescindere dall’osservanza dell’art. 11, D.L.vo 196/2003 in punto di principio di c.d. essenzialità del trattamento . Del resto, il Giudice impugnato concentra la sua analisi sull’esistenza di un danno risarcibile in favore dell’odierno ricorrente, attività che presuppone l’accertamento del comportamento contrario alla normativa vigente tenuto da controparte. Nel caso di specie, peraltro, avendo l’odierno ricorrente domandato il risarcimento del danno subito, occorre valutare se L.F. abbia un interesse alla pronuncia espressa in materia di illegittimità ed illiceità del comportamento tenuto da controparte. In ossequio al fondamentale canone dell’ordinamento, secondo cui per proporre una domanda in giudizio occorre avervi interesse, L.F. avrebbe dovuto dimostrare, già in grado di merito, quale fosse il suo interesse ad ottenere una mera pronuncia di responsabilità nel confronti della controparte, riproponendo poi la domanda innanzi al giudice di legittimità, non mancando di indicare in quale atto processuale la domanda fosse stata proposta e con quale formula, provvedendo inoltre a coltivare diligentemente la domanda, in modo da consentire a questa Corte il controllo che le compete non solo sulla fondatezza, ma anche sulla tempestività e congruità della domanda. A tanto il ricorrente non ha provveduto, ed il motivo di ricorso risulta pertanto inammissibile. 2.2. - Con il secondo motivo di impugnazione, il ricorrente censura la Corte di merito per non avergli riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, che risulta invece a lui dovuto, sul fondamento di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. Invero, il Giudice di prime cure ha rigettato la richiesta risarcitoria avanzata dall’odierno ricorrente, osservando che questi si era limitato a paventare di avere subito un discredito alla propria reputazione lavorativa dalla possibile visione, da parte di indeterminati terzi, dell’ordinanza integrale di sequestro del proprio immobile, nell’ambito del processo per presunti abusi edilizi . L’impugnante scrive in ricorso che sin dall’atto introduttivo l’esponente aveva allegato i pregiudizi non patrimoniali derivatigli dall’illecito comportamento dei resistenti disdoro del nome, addebito di reato in assenza del giudicato innanzi la pubblica opinione, ecc. . Deve allora riscontrarsi che, effettivamente, come ritenuto dalla Corte territoriale, i profili di pregiudizio prospettati appaiono generici e non verificabili. Il ricorrente si è richiamato, peraltro, alla giurisprudenza di Cassazione penale in materia di danno per lesione alla reputazione, ipotesi in cui si è ritenuto che il nesso causale sia di tale evidenza da far sì che il relativo onere di allegazione possa ritenersi soddisfatto attraverso il richiamo anche per relationem al contenuto ed alle modalità di diffusione delle affermazioni lesive Cass. pen. 17.2.2012, n. 6481 , con la conseguenza che, scrive ancora il ricorrente, le modalità di diffusione potranno, semmai, incidere sul quantum risarcitorio, ma non potranno mai azzerare come ha fatto il Tribunale l’esistenza . Diversamente, ove una condotta potenzialmente lesiva della reputazione sia stata posta in essere, ma in concreto tale comportamento non sia stato percepito da nessuno, non rimane integrato un danno civilisticamente risarcibile. Non si pone, quindi, soltanto una questione di quantificazione del valore del pregiudizio ristorabile sofferto, ma anche di verifica che lo stesso sia risultato effettivamente subito. Le generiche allegazioni del ricorrente, nel caso di specie, non consentono di ritenere integrato un danno alla sua reputazione di cui possa ordinarsi il risarcimento. Il secondo motivo di ricorso deve quindi essere respinto. 2.3. - Con il primo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente critica la decisione del Tribunale in relazione ad una pluralità di profili. Innanzitutto, il giudice di merito avrebbe ritenuto applicabile la normativa contenuta nel Codice della Privacy nell’ambito di un procedimento penale. Deve allora osservarsi che il Giudice di prime cure non ha valutato gli atti attinenti ad un procedimento penale in relazione allo svolgimento di questo, bensì la indebita condotta di diffusione non necessaria di dati personali contenuti in un atto di un procedimento penale, ma al di fuori di questo. Inoltre, secondo il ricorrente, il Tribunale lo avrebbe erroneamente reputato titolare del trattamento dei dati personali di L.F. , e comunque ha sbagliato nel valutare la sua condotta in contrasto con la disciplina relativa al diritto alla riservatezza. Nella fattispecie in esame, infatti, non sarebbe configurabile alcun trattamento dei dati personali ai sensi del D.Lgs. n. 196/2003, avendo il giudice di prime cure trascurato pure che il ricorrente incidentale ha agito quale delegato dell’Autorità Giudiziaria. Orbene, il trattamento dei dati personali consiste anche nella loro diffusione, che è appunto la condotta contestata al ricorrente incidentale che, senza necessità, ha reso suscettibili di essere conosciuti da terzi i dati personali del ricorrente. Il ricorrente incidentale C. , ha spiegato con chiarezza il Tribunale, non era il responsabile dei dati personali del ricorrente, ma ha agito indebitamente come se lo fosse. La delega conferita al ricorrente incidentale dall’Autorità Giudiziaria, in sede di esecuzione del sequestro, ancora, poteva evidentemente essere soddisfatta allegando il provvedimento, ma occultando i dati personali. Il primo motivo di ricorso incidentale si appalesa pertanto infondato, e deve essere respinto. 2.4. - Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente censura la qualificazione attribuita dal giudice impugnato all’elemento soggettivo della propria condotta, nonché la omessa indicazione degli elementi di prova sui quali il giudice di merito avrebbe fondato il proprio prudente apprezzamento. Occorre allora ricordare che, come si è segnalato sin dalla parte espositiva della presente decisione, il giudice di merito ha esaminato la condotta dell’odierno ricorrente incidentale, e chiarito per quali motivi egli ha ecceduto la delega ricevuta dall’A.G. e si è reso responsabile di una condotta potenzialmente lesiva, connotata da colpa non lieve. Il motivo di ricorso, perciò, domanda in realtà un riesame nel merito dei fatti di causa, senza allegare i ventilati elementi di nullità della pronuncia, e senza neppure apportare specifici elementi di critica per contestare la valutazione operata dal Tribunale impugnato. Il secondo motivo di ricorso incidentale deve pertanto essere dichiarato inammissibile. 2.5. - Con il terzo motivo di ricorso incidentale, il controricorrente C. domanda il riconoscimento del risarcimento del danno per c.d. lite temeraria. Invero, il giudice di merito ha rigettato la domanda dell’odierno ricorrente per difetto di prova, ma non ha mancato di censurare la condotta del ricorrente incidentale C.G. perché ritenuta illegittima. Questa decisione merita di essere confermata. Non ricorrono pertanto, all’evidenza, gli elementi costitutivi della lite temeraria. Anche questo motivo di ricorso incidentale deve quindi essere rigettato. Devono pertanto essere rigettati sia il ricorso principale sia quello incidentale. La peculiarità e la oggettiva complessità della fattispecie trattata, e la reciproca soccombenza delle parti, inducono a ritenere equo disporre la totale compensazione delle spese di lite. La natura del presente giudizio, in cui si controverte in materia di tutela del diritto alla reputazione, induce a ritenere opportuno disporre l’occultamento dei dati identificativi di tutte le parti, in caso di diffusione di questa decisione, a tutela del loro diritto alla vita privata cfr. art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ed alla riservatezza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso proposto da L.F. ed il ricorso incidentale proposto da C.G. . Dichiara compensate tra le parti le spese di lite. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, principale ed incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1 bis. Dispone, in caso di riproduzione per la diffusione della presente decisione, che le generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti menzionati siano omessi.