Il decreto ingiuntivo notificato tardivamente perde efficacia ma vale quale domanda giudiziale

La notificazione del decreto ingiuntivo oltre il termine di 60 giorni previsto dall’art. 644 codice di rito, comporta l’inefficacia del provvedimento, vale a dire rimuove l’intimazione di pagamento con esso espressa, ma non tocca la qualificabilità del ricorso per ingiunzione come domanda giudiziale ne deriva che, ove su detta domanda si costituisca il rapporto processuale, ancorché su iniziativa della parte convenuta in senso sostanziale, la quale eccepisca quell’inefficacia, il giudice adito, alla stregua delle comuni regole del processo di cognizione, ha il potere-dovere non soltanto di vagliare la consistenza dell’eccezione, con le implicazioni in ordine alle spese della fase monitoria, ma anche di decidere sulla fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente.

La fattispecie. Nel caso in esame, a seguito della notifica dell’ingiunzione di pagamento, il debitore aveva formulato opposizione asserendo che il provvedimento era stato notificato dopo lo spirare del termine di sessanta giorni dalla pubblicazione e, pertanto, doveva ritenersi inefficace. Il decreto notificato tardivamente è inefficace. Il giudice dell’opposizione ha osservato, aderendo al più ampio indirizzo giurisprudenziale di legittimità, che il decreto ingiuntivo notificato oltre in termine di sessanta giorni dalla pubblicazione diviene inefficace e, pertanto, viene meno l’intimazione di pagamento in esso contenuta. La tardività non incide sul ricorso come domanda giudiziale. Tuttavia la tardività non ha alcun effetto sulla qualificabilità del ricorso come domanda giudiziale e, pertanto, ove si costituisca il rapporto processuale, ancorché su iniziativa della parte convenuta sostanziale, il Giudice dell’opposizione ha il potere-dovere di pronunciarsi non solo sulla sollevata eccezione ma anche sulla fondatezza della pretesa del creditore istante. Clausola penale e codice del consumo. Nel merito il Magistrato ha osservato che nel difetto della prova della specifica negoziazione della clausola penale, onere che spetta al professionista, detta deve ritenersi nulla, nonostante la doppia sottoscrizione, ai sensi dell’art. 36 del codice del consumo. Ciò a maggior ragione se si considera che detta è contenuta in un modulo-formulario predisposto unicamente dal professionista.

Tribunale di Reggio Emilia, sez. II Civile, sentenza 18 maggio 2018, n. 751 Giudice Morlini Fatto La controversia trae origine dal decreto ingiuntivo meglio indicato in dispositivo, ottenuto da Plusvalore s.p.a. in liquidazione nei confronti di Giuseppe Cinardi, per il pagamento dei ratei mensili non onorati relativi alla restituzione di una somma di denaro concessa a titolo di finanziamento. Avverso l’ingiunzione propone la presente opposizione Cinardi, esponendo in rito e da un primo punto di vista che il decreto ingiuntivo è stato notificato oltre i termini di sessanta giorni previsti dall’articolo 644 c.p.c., con la conseguenza che l’ingiunzione doveva ritenersi inefficace e la domanda di pagamento inaccoglibile nel merito e da una seconda angolazione, che il calcolo della somma dovuta tiene conto delle clausole penali di cui all’articolo 15 e 16 del contratto, da ritenersi invece vessatorie ai sensi dell’articolo 33 lettera f del codice al consumo, e quindi invalide sempre nel merito e da una terza angolazione, che gli interessi moratori richiesti sono comunque usurari. Resiste Plusvalore, sul presupposto della correttezza del proprio operato. La causa è istruita con una CTU contabile affidata alla dottoressa Rosita Borghi, dottore commercialista. Diritto a Come esposto in parte narrativa, l’opponente contesta innanzitutto in rito la domanda di pagamento azionata in sede monitoria, in quanto la notifica dell’ingiunzione è stata posta in essere dopo il termine di sessanta giorni previsto dall’articolo 644 c.p.c., ciò che travolgerebbe l’ingiunzione stessa e non consentirebbe a controparte di coltivare in questa sede la domanda di pagamento. L’eccezione, tuttavia, non coglie nel segno. E’ infatti insegnamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, dal quale questo giudice non ha motivo di discostarsi, quello a tenore del quale la notificazione del decreto ingiuntivo oltre il termine di sessanta giorni dalla pronuncia, ai sensi dell'art. 644 c.p.c., comporta effettivamente l’inefficacia del provvedimento, vale a dire rimuove l’intimazione di pagamento con esso espressa, ma non tocca la qualificabilità del ricorso per ingiunzione come domanda giudiziale ne deriva che, ove su detta domanda si costituisca il rapporto processuale, ancorché su iniziativa della parte convenuta in senso sostanziale, la quale eccepisca quell’inefficacia con il giudizio di opposizione, il giudice adito, alla stregua delle comuni regole del processo di cognizione, ha il potere-dovere non soltanto di vagliare la consistenza dell’eccezione con le implicazioni in ordine alle spese della fase monitoria , ma anche di decidere sulla fondatezza della pretesa avanzata dal creditore ricorrente Cass. n. 3908/2016, Cass. n. 14910/2013, Cass. n. 951/2013, Cass. n. 21050/2006 . Ciò è proprio quanto accaduto nel caso di specie con l’opposizione ad un decreto ingiuntivo tardivamente notificato, e pertanto questo giudice, adito in opposizione rispetto a tale ingiunzione monitoria, deve anche decidere sulla pretesa avanzata dal creditore ricorrente, cioè da Plusvalore. b Venendo al merito, deve essere parzialmente condivisa l’eccezione della difesa di parte opponente in ordine alla vessatorietà della clausola 15, non anche 16, del contratto di finanziamento stipulato inter partes. Infatti, pacifico essendo che l’opponente riveste la qualità di consumatore, s’applica al caso che qui occupa l’articolo 33 del codice al consumo, D.Lgs. n. 206/2005, il cui primo comma recita che nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista, si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto” ed il cui secondo comma lettera f dispone che si presumono vessatorie fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente di importo manifestamente eccessivo”. Ciò premesso in linea di diritto, si osserva in fatto che l’articolo 15 del contratto di finanziamento prevede la corresponsione di interessi di mora del 2,5% mensili, con una clausola penale che questo giudice non dubita essere di importo manifestamente eccessivo rispetto al danno effettivamente subìto dal creditore a seguito dell’inadempimento. La clausola deve quindi considerarsi nulla, in quanto abusiva, ai sensi dell’articolo 36 del codice al consumo, indipendentemente dal fatto della sua specifica approvazione per iscritto poiché la clausola è contenuta in un modulo-formulario unilateralmente predisposto da Plusvalore, spettava infatti al professionista, ai sensi dell’articolo 34 del codice al consumo, l’onere di provare che le clausole o gli elementi di clausola, malgrado siano del medesimo unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore”. Ciò invece il professionista non ha fatto, poiché non ha provato, ed in realtà nemmeno offerto di provare o quantomeno dedotto, che la clausola in parola è stata oggetto di trattativa. Ne deriva, in conclusione sul punto, l’invalidità della clausola penale di predeterminazione del danno nella misura del 2,5% mensili a titolo di interessi moratori, con la conseguenza che il danno da inadempimento deve essere liquidato utilizzando gli interessi moratori al tasso legale e ciò consente di ritenere assorbita la terza doglianza di parte opponente, relativa alla pretesa usurarietà del tasso di mora applicato, atteso che tale tasso è comunque ritenuto invalido. Non può invece essere accolta l’ulteriore eccezione di parte attrice relativa alla pretesa eccessività dell’altra parte della clausola penale contenuta nell’articolo 15, che predetermina le spese di incasso rata, di esattoria, di insoluti e protesti, di invio delle comunicazioni di trasparenza trattasi infatti di spese che sono identificate, a seconda del singolo incombente, in misure variabili tra € 2 ed € 50, e quindi in misura che non appare manifestamente eccessiva, tenuto presente che per ciascuno singolo incombente è comunque necessario per la Finanziaria operare un adempimento ed effettuare una comunicazione al cliente. Parimenti infondata è l’eccezione relativa alla pretesa invalidità dell’articolo 16, il quale, del tutto ragionevolmente, prevede la decadenza dal beneficio del termine in caso di mancato pagamento di almeno due rate, nonché la possibilità, invero già derivante dai principi generali, di intimare in tal caso la risoluzione del contratto per inadempimento. c Chiarito quanto sopra, la controversia può essere decisa sulla base della CTU, svolta con motivazione convincente e pienamente condivisibile, in nessun modo contestata dalle parti con riferimento alla esattezza delle conclusioni matematiche aggiunte, dalla quale il Giudicante non ha motivo di discostarsi in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo stato di fatto analizzato. Ha infatti chiarito il perito che, alla data del 27 novembre 2014, allorquando è stato depositato il ricorso monitorio, il debito del Cinardi nei confronti di Plusvalore, tenuto conto dell’intero capitale da restituire a seguito della decadenza dal beneficio del termine, delle quote di interessi per rate insolute, degli interessi di mora al tasso legale, nonché delle spese di recupero crediti predeterminate con riferimento a incasso rata, esattoria, insoluti, protesti ed invio comunicazioni, ammontava a € 5.632,8. Pertanto, previa revoca del decreto ingiuntivo opposto ottenuto per una somma di importo doppio, l’opponente deve essere condannato a pagare all’opposto € 5.632,8. Sulla cifra capitale vanno poi conteggiati interessi moratori al tasso di cui all’articolo 1284 comma 4 c.c. dalla domanda, radicata con il deposito del ricorso monitorio il 27/11/2014, al saldo. d L’accoglimento della domanda attorea per un importo pari alla metà di quello domandato, nonché l’esistenza di una clausola oggettivamente vessatoria, integrano una forma di soccombenza reciproca, ciò che giustifica la integrale compensazione delle spese di lite cfr. Cass. n. 21569/2017, Cass. n. 16270/2017, Cass. n. 3438/2016, Cass. n. 22871/2015, Cass. n. 281/2015, Cass. n. 21684/2013, Cass. n. 134/2013, Cass. n. 22388/2012 e Cass. n. 22381/2009 in ordine alla configurabilità della soccombenza reciproca, non solo nel caso di accoglimento di una sola delle plurime domande azionate, ma anche di accoglimento di soli alcuni capi di un’unica domanda, ovvero di accoglimento dell’unica domanda per un importo inferiore sotto il profilo quantitativo da quello domandato . Per gli stessi motivi, anche le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con il separato decreto di cui a dispositivo, possono essere integralmente compensate tra le parti. P.Q.M. il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa - revoca il decreto ingiuntivo n. 7796/2014 emesso dal Tribunale di Reggio Emilia il 20-27/11/2014 - condanna Cinardi Giuseppe a rifondere a Plusvalore s.p.a. in liquidazione € 5.732,8, oltre interessi ex art. 1284 comma 4 c.c. dal 27/11/2014 al saldo - compensa integralmente tra le parti le spese di lite del presente giudizio - pone le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con separato decreto 5/4/2018 definitivamente a carico solidale delle parti.