Responsabilità magistrati giudicanti: la clausola di salvaguardia vale anche nel caso di principi di diritto consolidati da una giurisprudenza granitica?

Occorre chiarire se, in presenza di norme di diritto che non presentano equivoci, in considerazione dei principi di diritto ribaditi costantemente da oltre sessanta anni dalla giurisprudenza di legittimità in materia di liquidazione del debito aquiliano, il diverso trattamento riservato dalla sentenza di legittimità ad un debito risarcitorio, possa ex se ritenersi attratto nell’ambito dell’attività interpretativa delle norme, e dunque essere considerata attività valutativa ricadente nell’ambito della clausola di salvaguardia di cui all’art. 2, comma 2, l. n. 117/1988.

La terza sezione della Corte di Cassazione sentenze n. 12215/18, depositata il 18 maggio è stata chiamata ad affrontare una questione di indubbio interesse quale quella relativa alla responsabilità dello Stato per colpa grave imputabile ai magistrati giudicanti. I Giudici di legittimità, ravvisata l’importanza e la peculiarità della questione trattata, con l’odierna ordinanza, richiedono l’intervento chiarificatore delle sezioni unite. Il fatto. La vicenda che ha originato il presunto caso di responsabilità del magistrato giudicante concerne un’azione di responsabilità risarcitoria extracontrattuale. I proprietari di un fondo intraprendevano azione di responsabilità verso il Comune che accusavano di occupazione illegittima. In primo grado la domanda veniva accolta, in appello la condotta del Comune veniva riqualificata quale occupazione espropriativa con conseguente riduzione della posta risarcitoria. In Cassazione la sentenza era nuovamente ribaltata con accoglimento della qualificazione dell’occupazione quale usurpativa e liquidazione del valore venale del bene occupato il Giudice di legittimità ometteva tuttavia di rivalutare l’importo e riconosceva la decorrenza degli interessi dal dì dalla domanda, diversamente da quanto avevano fatto i giudici del merito. Il danneggiato proponeva ricorso per revocazione per errore di fatto finalizzato ad ottenere la rivalutazione monetaria e gli interessi dalla data del fatto. Il ricorso era respinto qualificando il Giudice la domanda come finalizzata a rimuovere un errore di diritto e non già di fatto, come invece dedotto. La parte lesa dalla decisione utilizzava lo strumento del ricorso per far valere la responsabilità dello Stato per colpa grave imputabile al magistrato giudicante, deducendo l’esistenza di una violazione di legge frutto di inescusabile negligenza. Il ricorso era giudicato inammissibile dal Tribunale prima e dalla Corte di Appello dopo, approdava così dinanzi alla Corte di Cassazione. L’organo di nomofilachia con ordinanza interlocutoria oggetto dell’odierno commento richiedeva l’intervento chiarificatore delle Sezioni Unite. La Cassazione premetteva che la Corte d’Appello aveva qualificato l’attività posta in essere dell’organo giudicante, del quale si chiedeva di accertare la responsabilità, di carattere interpretativo normativo sostenendosi che come tale l’attività era sottratta al sindacato di responsabilità operando in materia la clausola di salvaguardia di cui all’articolo 2, comma 2, l. n. 117/1988. Di differente avviso il ricorrente che riteneva il decreto affetto da grave violazione di legge, per negligenza inescusabile giacché la Corte di Cassazione, si era discostata, senza motivazioni plausibili, dall’applicazione di norme di diritto chiare e dai consolidati principi di diritto affermati in modo fermo dalla giurisprudenza in materia inoltre, il Giudice di legittimità aveva violato il giudicato interno formatosi sul punto nel momento in cui non aveva riconosciuto la rivalutazione monetaria e la decorrenza degli interessi. I presupposti di applicazione dell’azione di responsabilità dei magistrati. Giudici di nomofilachia hanno affermato che in materia la giurisprudenza, con orientamento costante da oltre cinquant’anni, ritiene che ove la liquidazione del danno venga eseguita per equivalente, debba tenersi conto della svalutazione monetaria intervenuta sino alla decisione definitiva, nonché della mancata disponibilità della somma durante il tempo trascorso dall’evento lesivo alla liquidazione giudiziale. Sotto il profilo dei presupposti dell’azione di responsabilità dei magistrati era invece sostenuto che la stessa ricorre allorché la violazione sia ascrivibile a negligenza inescusabile, che si configura ove vengano disattesa soluzioni normative chiare o siano violati principi elementari di diritto, ovvero ancora quando la soluzione adottata sia ascrivibile al dolo del magistrato. configurabile anche in caso di principi di diritto consolidati nella giurisprudenza? Pertanto, la questione che la Corte di Cassazione pone all’attenzione delle Sezioni Unite con l’ordinanza interlocutoria è se in presenza di norme di diritto che non presentivo difficoltà interpretative e considerando principi di diritto costantemente ribaditi da oltre sessanta anni dalla giurisprudenza, il differente trattamento riservato ad un debito risarcitorio, nella misura sopra illustrata, possa o meno configurare una ipotesi di attività interpretativa della norma che, in quanto tale, rientrerebbe nella clausola di salvaguardia di cui all’art. 2, l. n. 117/1988, ovvero se, in presenza di un consolidato livello interpretativo delle norme applicate, come nel caso di specie, per potersi ritenere operante la clausola di salvaguardia occorra che il distacco del Giudice dalle operazioni interpretative debba essere caratterizzato da un dubbio applicativo alla fattispecie concreta. Concludendo. In estrema sintesi la Corte di Cassazione richiedeva al Presidente di valutare la rimessione alle sezioni unite della questione relativa alla individuazione del discrimine della grave violazione di legge, onde distinguere l’attività interpretativa illecita, evidentemente preclusa e non rientrante nella circostanza esimente individuata dall’articolo 2 n. 2 della Legge Vassalli e l’attività interpretativa insindacabile del Magistrato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza interlocutoria 9 febbraio – 18 maggio 2018, numero 12215 Presidente/Relatore Olivieri Premesso in fatto Il Tribunale di Messina, con sentenza in data 22.2.2002, accertato l’illecito commesso dal Comune di Giardini Naxos per occupazione illegittima occupazione usurpativa di un fondo di proprietà di S.G. e F. danti causa di S.A., aveva liquidato i danni in Euro 273.076,58 oltre alla rivalutazione monetaria dalla disposta CTU 16.7.1991 ed agli interessi in misura legale sulla somma liquidata prima devalutata poi via via rivalutata dal momento della definitiva trasformazione del fondo luglio 1986 fino al soddisfo . La Corte d’appello di Messina, con sentenza in data 28.10.2004, accogliendo l’appello del Comune, riqualificava la condotta illegittima come occupazione espropriativa , riducendo conseguentemente il risarcimento del danno in applicazione dei criteri di liquidazione previsti per le occupazioni appropriative dall’art. 3, comma 65, della legge numero 662/1996 che aveva aggiunto il comma 7 bis all’art. 5 bis del DL 11.7.1992 numero 333 conv. in legge 8.8.1992 numero 359. La Corte di cassazione -adita dallo S. sul rilievo che la fattispecie avrebbe dovuto inquadrarsi nell’illecito da occupazione usurpativa, con conseguente liquidazione del danno nella misura corrispondente al valore venale del fondo rilevato che nelle more del giudizio la Corte costituzionale aveva, con sentenza numero 349/2007, dichiarata illegittima la norma di legge applicata dalla Corte d’appello, cassava la decisione impugnata e, decidendo nel merito , con sentenza 21.10.2011 numero 21881, riliquidava il danno in misura pari al valore venale del fondo nel medesimo importo determinato a seguito di c.t.u. svolta nel giudizio di primo grado , tuttavia omettendo di rivalutare la somma capitale e riconoscendo gli interessi, in misura legale, a decorrere dalla domanda , diversamente da quanto disposto sugli accessori dal giudice di prime cure e dal giudice di appello. In particolare la Corte di legittimità, intervenuta nelle more -con sentenza della Corte cost. numero 349/2007 la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 5 bis, comma 7 bis, DL 11 luglio 1992 numero 333 conv. con mod. in legge 8 agosto 1992 numero 359 nel testo introdotto dall’art. 3, comma 65, della legge 66/1996 , trattandosi di causa che era pendente alla data 1 gennaio 1997 e comunque relativa ad occupazione sine titulo anteriore al 30.9.1996, riteneva applicabile l’art. 55, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, numero 327 -nel testo introdotto dall’art. 2, comma 89, lett. e della legge 24 dicembre 2007, numero 244 finanziaria 2008 -, secondo cui Nel caso di utilizzazione di un suolo edificabile per scopi di pubblica utilità, in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio alla data del 30 settembre 1996, il risarcimento del danno è liquidato in misura pari al valore venale del bene , e quindi liquidava il danno da occupazione illegittima, nell’importo di Euro 273.076,58 calcolato dal CTU, in primo grado, secondo i prezzi di mercato immobiliare vigenti nel 1991, attribuendo sulla somma così liquidata interessi legali decorrenti dalla domanda introduttiva. Il ricorso per revocazione, per errore di fatto, proposto dallo S. avverso la predetta sentenza della SC, volto ad ottenere il riconoscimento della rivalutazione monetarie e degli interessi decorrenti dalla data dell’illecito, veniva dichiarato inammissibile con ordinanza di questa Corte in data 2.5.2013 numero 10293, in quanto vertente su errore di diritto e non di fatto. Esauriti i rimedi di impugnazione predisposti dall’ordinamento giuridico, S.A., ai sensi della legge numero 117/1988, proponeva ricorso facendo valere la responsabilità dello Stato per colpa grave imputabile ai magistrati giudicanti, deducendo la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile il ricorso veniva dichiarato inammissibile ex art. 5 della legge numero 117/1988 con decreto del Tribunale di Perugia in data 7.12.2016, confermato, in sede di reclamo, dalla Corte d’appello di Perugia, con decreto in data 7.6.2017, ritualmente impugnato per cassazione dallo S. con un unico complesso motivo. La Presidenza del Consiglio dei Ministri alla quale il ricorso è stato ritualmente notificato in forma telematica presso l’Avvocatura Generale dello Stato il 28.6.2017, ha depositato memoria difensiva presso la Cancelleria della Corte d’appello di Perugia in data 20.7.2017, e quindi con atto in data 4.9.2017 ha richiesto di essere avvisata per la partecipazione alla pubblica udienza, deducendo che la obbligazione risarcitoria in quanto originariamente illiquida, correttamente era stata intesa dalla Corte Suprema come obbligazione di valuta ed assoggettata al principio nominalistico e comunque si verteva in tema di attività strettamente ermeneutica coperta dalla clausola di salvaguardia della legge numero 117/1988 nel testo applicabile ratione temporis . Alla udienza pubblica il Pubblico Ministero ha concluso per la inammissibilità del ricorso. Considerato in diritto che la memoria di costituzione depositata presso la Cancelleria della Corte d’appello di Perugia in data 20.7.2017 dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, rappresentata -come emerge dalla intestazione dell’atto dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia e dall’Avvocatura Generale dello Stato -cui il ricorso è stato ritualmente notificato a mezzo PEC il 28.6.2017 e regolarmente ricevuto all’indirizzo ags.rm.mailcert.avvocaturastato.it deve essere dichiarata inammissibile in quanto tardiva. La memoria, è stata depositata oltre il termine perentorio di dieci giorni dalla scadenza dell’analogo termine di dieci giorni assegnati al ricorrente per il deposito del ricorso, previsto dall’art. 5, comma 4, della legge 117/1988, applicabile ratione temporis , decorrendo dalla notifica del ricorso eseguita in data 28.6.2017 il primo termine per la costituzione del ricorrente il ricorso per cassazione è stato notificato in data 28.6.2017 ed il primo termine, previsto per la costituzione del ricorrente, veniva pertanto a scadere in data 8.7.2017, ed essendo pertanto già scaduto -al momento del deposito in Cancelleria, in data 20.7.2017, della memoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri il secondo termine, stabilito per la costituzione della parte controricorrente, spirato il 18.7.2017 che la Corte d’appello di Perugia con il decreto impugnato ha dichiarato la inammissibilità del ricorso in quanto rivolto a contestare una attività di interpretazione normativa. A sostegno della decisione il Giudice di appello assume che a nella ordinanza della Corte di cassazione del 2.5.2013 numero 10293 -dichiarativa della inammissibilità del ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. si evidenziava come la determinazione dell’intero danno patrimoniale, estesa anche agli accessori della rivalutazione e degli interessi, era questione da ritenersi devoluta alla cognizione della Corte di legittimità, che nella specie aveva pronunciato nel merito ex art. 384co2 c.p.c., essendo stata impugnata la sentenza di appello in punto di quantum debeatur b la determinazione della decorrenza degli interessi e la loro qualificazione giuridica atteneva ad attività di natura squisitamente interpretativa di norme di diritto, come tale sottratta al sindacato di responsabilità operando la clausola di salvaguardia di cui all’art. 2, comma 2, della legge numero 117/1988 applicabile ratione temporis, non essendo consentito ridiscutere la correttezza o meno della interpretazione adottata nel provvedimento posto a base della domanda respinta c nulla sembrava impedire allo S. di ottenere in separato giudizio una liquidazione della rivalutazione o di entrambi gli accessori se la precedente statuizione si ritiene possa comportare una diversa valutazione rispetto alla pronuncia precedente che aveva stabilito la liquidazione degli interessi a far data dalla domanda d in ogni caso non sarebbe dato ravvisare la colpa grave in una valutazione contrastante con pronunce di legittimità di diverso tenore, emesse nella stessa materia che il decreto è stato censurato con un unico motivo di ricorso violazione art. 2 commi 1 e 3 lett. a della legge numero 117/1988 ed in relazione all’art. 2 comma 2 della stessa legge sul presupposto che nella specie l’errore del Giudice di legittimità non fosse ascrivibile ad attività di interpretazione di norme di diritto ma a grave violazione di legge per negligenza inescusabile, in quanto la Corte di legittimità modificando le statuizioni della sentenza di merito in quella sede impugnata a aveva violato il giudicato interno formatosi sulle statuizioni del Giudice di merito -non impugnate con i motivi di gravame-concernenti il riconoscimento della rivalutazione monetaria del capitale e degli interessi al tasso legale decorrenti dall’illecito b1 non aveva riconosciuto la rivalutazione monetaria sull’importo risarcitorio, riliquidato in base al valore venale accertato dal CTU nel giudizio di primo grado con stima risalente all’anno 1991, venendo in tal modo inescusabilmente, in assenza di qualsiasi indicazione motivazionale, a trattare il debito di valore come debito di valuta, in violazione degli artt. 2043, 2056, 1223 e 2058 c.c. b2 aveva liquidato il credito accessorio per interessi al tasso legale con decorrenza a far data dalla domanda , non considerando che in materia di illecito extracontrattuale si applicava la mora ex re e che gli interessi da ritardo dovevano applicarsi dalla data dell’illecito, così violando gli artt. 1219, comma 2, numero 1 c.c. e 1223 c.c. la grave negligenza inescusabile -intesa come violazione macroscopica e grossolana della norma di diritto era rinvenibile nella circostanza che le norme disapplicate erano di frequente uso e perché le determinazioni contestate sono in contrasto con le giuste statuizione che al riguardo erano state già assunte dalle precedenti sentenza di merito , avendo altresì omesso la Corte di legittimità di motivare tale eclatante scostamento per cui sussiste la totale mancanza di attenzione nell’uso degli strumenti normativi ed una trascuratezza marcata ed ingiustificabile essendo stati violati come nella fattispecie elementari principi di diritto che il magistrato non può giustificatamente ignorare che non riveste carattere di autonoma ratio decidendi la considerazione formulata in termini meramente ipotetici ed astratti dal Giudice di appello secondo cui interessi e rivalutazione potrebbero essere richiesti in un separato giudizio se la precedente statuizione si ritiene possa comportare una diversa valutazione rispetto alla pronuncia precedente, che aveva stabilito la liquidazione degli interessi dalla data della domanda . La ratio decidendi , ossia l’argomento logico sul quale trova fondamento la regola di giudizio che si impone alle parti del rapporto controverso, e che onera la parte soccombente alla impugnazione se intende impedire la formazione del giudicato, deve infatti necessariamente esprimere l’attuale affermazione del diritto nel caso concreto, e non può dunque rinvenirsi in una sequenza sintattica improntata al periodo ipotetico -nella specie del terzo tipo, essendo del tutto irreale la ipotesi che la ordinanza di inammissibilità della impugnazione per revocazione, pronunciata ai sensi dell’art. 391 bis c.p.c., possa interpretare in senso rescissorio la sentenza impugnata in ogni caso essendo stata implicitamente investita anche tale statuizione ipotetica , dal motivo di ricorso per cassazione nel quale si evidenzia tanto l’esaurimento di tutti i rimedi esperibili, quanto la conseguente impossibilità di immutare il giudicato formatosi sulla pronuncia di merito della Corte di legittimità che liquida il danno, la eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dal Pubblico Ministero deve ritenersi infondata che il procedimento sull’ammissibilità dell’azione risarcitoria in dipendenza di responsabilità civile del magistrato, di cui all’art. 5 della legge 13 aprile 1988, numero 117, si mantiene sul piano meramente delibativo solo quanto al riscontro degli elementi addotti a fonte di detta responsabilità, mentre ha carattere pieno e definitivo in ordine ai presupposti ed ai termini dell’azione, sicché l’attività cognitoria del giudice in sede di esame di ammissibilità comprende anche la verifica del carattere non interpretativo della lamentata violazione di legge da parte del magistrato del quale si richiede l’affermazione di responsabilità Corte cass. Sez. 1, Sentenza numero 14860 del 23/11/2001 id. Sez. 3, Sentenza numero 25133 del 27/11/2006 che, secondo la prospettazione del ricorrente, la negligenza inescusabile della che caratterizza la violazione di legge deve rinvenirsi nel fatto che la Corte di legittimità si era discostata -senza alcuna plausibile giustificazione dalla applicazione di norme di diritto assolutamente chiare nella portata dispositiva e dai consolidati principi di diritto dettati da una univoca e fermissima giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di applicazione degli interessi e della rivalutazione nella liquidazione del danno patrimoniale derivante da illecito extracontrattuale, atteso che le norme che regolano il risarcimento per equivalente del danno patrimoniale da ritardo derivante da illecito aquiliano artt. 2043, 2056, commi 1 e 2, 1219, comma 2, numero 1 , 1223, 1226 e 1227 c.c. avevano da tempo ricevuto dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare per quanto riguarda la funzione, cui assolve la obbligazione risarcitoria, della tendenziale completa reintegrazione del patrimonio del danneggiato dalla perdita subita a causa dell’illecito, una sistemazione concettuale ed interpretativa che, ad esclusione delle incertezze manifestate sul cumulo tra rivalutazione monetaria del credito capitale e danno da ritardo, che hanno trovato composizione nell’arresto della Corte cass. Sez. U, Sentenza numero 1712 del 17/02/1995, è praticamente rimasta immutata dagli anni cinquanta fino ad oggi cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza numero 2111 del 07/07/1955 Sez. 3, Sentenza numero 17/11/1962 Sentenza numero 03/02/1999 Sentenza numero 05/04/2007 Sentenza numero 03/03/2009 Sentenza numero 09/10/2012 Sentenza numero 18/02/2016 1787 del 24/07/1961 id. Sez. 3, Sentenza numero 3133 del id. Sez. 3, Sentenza numero 2408 del 13/11/1970 id. Sez. U, 1712 del 17/02/1995 id. Sez. 2, Sentenza numero 878 del id. Sez. 3, Sentenza numero 15823 del 28/07/2005 id. Sez. 3, 23225 del 16/11/2005 id. Sez. U, Sentenza numero 8520 del id. Sez. 3, Sentenza numero 10839 del 11/05/2007 id. Sez. 3, 22347 del 24/10/2007 id. Sez. 3, Sentenza numero 5054 del id. Sez. 2, Sentenza numero 3931 del 18/02/2010 id. Sez. 3, 5671 del 09/03/2010 id. Sez. 3, Sentenza numero 17155 del id. Sez. 1, Sentenza numero 6222 del 13/03/2013 id. Sez. 1, 15604 del 09/07/2014 id. Sez. 3, Sentenza numero 3173 del id. Sez. 3, Sentenza numero 6545 del 05/04/2016 id. Sez. 3, Sentenza numero 12288 del 15/06/2016 , per cui, indipendentemente dalla modalità o tecnica liquidatoria scelta dal Giudice indici Istat, saggio di interesse, altri parametri , se la liquidazione viene effettuata per equivalente, ossia con riferimento al valore del bene perduto o delle opere necessarie al suo ripristino all’epoca del fatto stesso, deve tenersi conto della svalutazione monetaria intervenuta sino alla decisione definitiva danno emergente , nonché della mancata disponibilità della somma de qua durante il tempo trascorso dall’evento lesivo e la liquidazione giudiziale lucro cessante , non potendo riverberare a danno dell’attore vittorioso la durata del processo, dovendo in ogni caso adottarsi meccanismi liquidatori di tali danni idonei ad evitare un’ingiustificata sovrapposizione e duplicazione di poste risarcitorie che la responsabilità di cui all’art. 2, comma 3, lett. a , della legge numero 117/1988 ricorre solo allorché la violazione di legge sia ascrivibile a negligenza inescusabile Cass. civ. Sez. 1, 26 luglio 1994 numero 6950 Cass. civ. Sez. 3, 14 febbraio 2012 numero 2107 cioè quando vengano disattese soluzioni normative chiare, certe e indiscutibili, o siano violati principi elementari di diritto, che il magistrato non può giustificatamene ignorare casi di colpa grave oppure quando ricorrano particolari circostanze che debbono essere specificamente dedotte in giudizio e dimostrate tali da evidenziare che, nel singolo caso controverso, l’adozione di una certa soluzione non possa che ascriversi al dolo del giudicante cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza numero 2637 del 05/02/2013, in motivazione la inescusabilità costituisce un quid pluris rispetto alla condotta negligente che ha determinato la grave violazione della legge, ed è stata rapportata dalla giurisprudenza di questa Corte a parametri sintomatici quali la violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell’interpretazione nel diritto libero cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza numero 7272 del 18/03/2008 id. Sez. 3, Sentenza numero 6791 del 07/04/2016 che la questione in diritto per la quale il Collegio ritiene opportuno richiede l’intervento risolutore delle Sezioni Unite è se, in presenza di norme di diritto che non presentano equivoci od incertezze alcuni, in considerazione dei principi di diritto costantemente ribaditi da oltre sessanta anni dalla Corte di legittimità e della consolidata ed univoca interpretazione delle norme indicate in materia di liquidazione del debito risarcitorio derivante da illecito aquiliano, il diverso trattamento riservato dalla sentenza di legittimità ad un debito risarcitorio, di natura patrimoniale, derivante da illecito aquiliano omessa attualizzazione ed applicazione degli interessi legali dalla data della domanda , possa ex se ritenersi attratto nell’ambito della attività interpretativa delle norme -intesa come ricerca ed attribuzione di significato prescrittivo all’enunciato ricavabile dai lemmi e dai sintagmi delle disposizioni lette singolarmente, in relazione al nesso logico interno alla struttura dell’atto fonte ed alla relazione sistematica con le altre norme dell’ordinamento giuridico e dunque essere considerata in senso oggettivo come attività comunque valutativa la quale -se pure errata od implausibile ricade nell’ambito della clausola di salvaguardia di cui all’art. 2, comma 2, legge numero 117/1988, o invece se il raggiunto livello di consolidamento del significato delle norme applicate in tema di liquidazione del danno patrimoniale derivante da illecito aquiliano nella materia del danno patrimoniale da occupazione espropriativa cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza numero 1464 del 26/02/1983 id. Sez. U, Sentenza numero 12546 del 25/11/1992 id. Sez. U, Sentenza numero 494 del 20/01/1998 id. Sez. 1, Sentenza numero 4070 del 20/03/2003 id. Sez. 1, Sentenza numero 19511 del 06/10/2005 id. Sez. 1, Sentenza numero 22923 del 09/10/2013 id. Sez. 2, Sentenza numero 11041 del 28/05/2015 id. Sez. 1, Sentenza numero 18243 del 17/09/2015. Quanto alla liquidazione del lucro cessante con la tecnica degli interessi Corte cass. Sez. 1, Sentenza numero 1814 del 18/02/2000 id. Sez. 1, Sentenza numero 9410 del 21/04/2006 id. Sez. 1, Sentenza numero 9472 del 21/04/2006 id. Sez. 1, Sentenza numero 13585 del 12/06/2006 id. Sez. 1, Sentenza numero 15604 del 09/07/2014 id. Sez. 1, Sentenza numero 18243 del 17/09/2015. Unica contraria l’isolata pronuncia Corte cass. Sez. 1, Sentenza numero 4766 del 03/04/2002 volta ad assimilare nella categoria delle obbligazioni di valuta la indennità di esproprio ed il risarcimento del danno in base al criterio di liquidazione, dall’art. 5 bis, comma settimo bis, legge 8.8.1992 numero 359 , implichi la necessità, affinché possa operare la clausola di salvaguardia, che il totale distacco del Giudice dalle opzioni interpretative di un indirizzo giurisprudenziale che può definirsi univoco e cristallizzato , debba essere connotato, quanto meno, da un evidenziato dubbio applicativo alla fattispecie concreta della norma intesa nel significato ad essa attribuito, ovvero da una rimeditata -non rileva se fondata o meno soluzione interpretativa, tale per cui la statuizione adottata risulti il portato di una attività valutativa e non di una mera distrazione od ignoranza dei principi giurisprudenziali consolidati che più esattamente si ritiene di particolare importanza la questione se il discrimine tra attività di interpretazione coperta dalla clausola di salvaguardia e inescusabilità della grave violazione di legge fonte di responsabilità civile dello Stato venga in rilievo soltanto nel caso in cui l’attività del Giudice si rifletta direttamente sull’enunciato della disposizione normativa, traendone un significato secondo il differente livello di chiarezza e precisione che questa esibisca , ovvero anche nel caso in cui si rifletta solo indirettamente su tale enunciato in quanto il significato risulti già enucleato costituendo il portato di una elaborazione giurisprudenziale, volta alla interpretazione della norma di diritto, che assuma consistenza tale da rendere stabile una determinata applicazione della norma di diritto, atteso che se il precetto fondamentale della soggezione del giudice soltanto alla legge art. 101 Cost. impedisce di attribuire all’interpretazione della giurisprudenza il valore di fonte del diritto essendo stato escluso in conseguenza che essa, nella sua dimensione dichiarativa, non può rappresentare la lex temporis acti , ossia il parametro normativo immanente per la verifica di validità dell’atto compiuto in correlazione temporale con l’affermarsi dell’esegesi del giudice Corte cass. Sez. U, Sentenza numero 15144 del 11/07/2011 , non può tuttavia essere messo in dubbio, come è stato posto in rilievo dalle Sezioni Unite di questa Corte, che la salvaguardia dell’unità e della stabilità dell’interpretazione giurisprudenziale massimamente di quella del giudice di legittimità e, in essa, di quella delle sezioni unite è ormai da considerare specie dopo l’intervento del D.Lgs. numero 40 del 2006 e della L. numero 69 del 2009, in particolare con riguardo alla modifica dell’art. 374 c.p.c. ed all’introduzione dell’art. 360 bis alla stregua di un criterio legale di interpretazione delle norme giuridiche , ed il presupposto sotteso alla funzione nomofilattica affidata alla Corte di legittimità dall’art. 65 dell’Ordinamento giudiziario, è che tra le possibili opzioni ermeneutiche, l’interpretazione della legge fornita dalla Corte di cassazione e massimamente dalle sezioni unite di essa va tendenzialmente intesa come una sorta di oggettivazione convenzionale di significato con la conseguenza che da tale interpretazione non possa perciò prescindersi tutte le volte che venga in discussione il contenuto di una norma nel suo significato oggettivo Corte cass. Sez. U, Ordinanza numero 23675 del 06/11/2014 e dunque il Giudice chiamato a decidere nel merito, non si trova di fronte ad una delle molteplici interpretazioni possibili ed alternative della norma di diritto dalla quale può derogare rimanendo nell’alveo, ma di fronte ad un significato normativo privilegiato , in relazione al quale deve ravvisare valide ragioni per discostarsene, in difetto di qualsiasi motivazione, esplicita od implicitamente desumibile dalla fattispecie esaminata, dovendo ritenersi inspiegabile in quanto non comprensibile in base contesto, una applicazione della norma in senso difforme dall’orientamento giurisprudenziale consolidato che un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sembra tanto più opportuno tenuto conto che il precedente di questa Corte Sez. 3, Sentenza numero 13000 del 31/05/2006 secondo cui nell’ordinamento giuridico che caratterizza lo Stato italiano e in cui non vige il principio dello stare decisis , anche per le stesse decisioni a S.U. di questa C.S., l’interpretazione giurisprudenziale della singola norma ai sensi dell’art. 12 preleggi, contenuta in particolare nella sentenza, non ha valore giuridico oltre il caso di specie, nel senso cioè che il giudice non è obbligato a decidere conformemente all’interpretazione già effettuata precedentemente dallo stesso o da altro giudice in relazione ad un’altra controversia aggiungendo, ma senza poi dare applicazione esplicita della affermazione non venendo in questione nel caso specifico , che Ovviamente queste considerazioni sul valore centrale del principio di legalità vanno armonizzate con l’evidente esigenza di garantire il più possibile l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto in particolare dalla Corte di Cassazione , e che la problematica evidenziata si riflette nella esigenza di una generale sistemazione della materia inerente i limiti di sindacabilità della attività del magistrato riconducibile all’esercizio delle funzioni, coinvolgendo oltre che la nuova disciplina legislativa della responsabilità civile introdotta dalla legge 27 febbraio 2015 numero 18 laddove, richiamandosi ai principi dell’ordinamento comunitari, predeterminata la ipotesi di colpa grave in termini di manifesta violazione di legge che legittima l’azione di rivalsa dello Stato se determinata da negligenza inescusabile , anche la disciplina legislativa degli illeciti disciplinari commessi nell’esercizio della funzioni Dlgs 23 febbraio 2006 numero 109, art. 2, comma 1, lett. g grave violazione di legge determinata da ignoranza o negligenza inescusabile , dovendo essere operato anche in tale settore il discrimine con l’attività insindacabile di interpretazione delle norme di diritto art. 2, comma 2, Dlgs numero 109/2006 , atteso che se, in sede disciplinare, rimane escluso che la mera inesattezza tecnico-giuridica possa di per sé configurare l’illecito , non potendo sconfinare l’esame del comportamento idoneo a comprometter la credibilità del magistrato ed il prestigio dell’Ordine giudiziario nella critica della interpretazione della legge, tuttavia alla valutazione di tale condotta non pare estranea la verifica della incontrovertibile difformità della seguita interpretazione della norma dalle interpretazioni della stessa già prospettate o ragionevolmente possibili che pertanto il Collegio ritiene opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza, concernente la individuazione del discrimine nella grave violazione di legge contemplata dalle fattispecie illecite individuate dall’art. 2, comma 3, lett. a della legge numero 117/1988 nel testo previgente alla modifica della legge numero 18/2015 e dall’art. 2, comma 1, lett. g del Dlgs 23 febbraio 2006 numero 109, tra attività interpretativa insindacabile ed attività sussumibile nella fattispecie illecita, con specifico riferimento alla ipotesi della violazione di norma di diritto in relazione al significato ad essa attribuito da orientamenti giurisprudenziali da ritenere consolidati.