Il diritto all’indennizzo per inumana detenzione si prescrive in 10 anni

Le Sezioni Unite hanno affermato che il diritto all’indennizzo per inumana detenzione ex art. 35-ter, comma 3, ord. pen si prescrive in 10 anni, che decorrono dal compimento di ciascun giorno di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 11018/18, depositata l’8 maggio. Il caso. Un detenuto citava in giudizio il Ministero della Giustizia richiedendo il risarcimento dei danni ex art. 35- ter ord. pen. derivanti dal trattamento inumano subito durante il periodo di detenzione. Il Tribunale di L’Aquila accoglieva la domanda dell’attore respingendo l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento sollevata dal Ministero. Avverso la pronuncia del Tribunale il Ministero ricorre per cassazione denunciando l’estinzione del diritto al risarcimento del danno per intervenuta prescrizione. L’art. 35-ter e la prescrizione. Il Supremo Collegio sottolinea come l’introduzione dell’art. 35- ter ord. pen. da parte del d.l. n. 92/2014 abbia creato un rimedio nuovo e distinto da quello desumibile dal contesto interordinamentale previgente , pertanto la natura di mero indennizzo e il radicarsi della responsabilità nella violazione di obblighi gravanti ex lege sull’amministrazione penitenziaria nei confronti dei soggetti sottoposti alla custodia carceraria, convergono nell’escludere l’applicabilità della regola specifica dettata per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito” dell’art. 2947, comma 1, c.c Vale, pertanto, la regola generale della prescrizione decennale . Il principio di diritto delle Sezioni Unite. La Suprema Corte, dunque, nel rigettare il ricorso e compensare le spese, fissa il seguente principio di diritto. Il diritto ad una somma di denaro pari a 8 euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, previsto dall’art. 35- ter , comma 3, ord. pen., si prescrive in 10 anni, che decorrono dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni. Coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, se non sono incorsi nelle decadenze previste dall’art. 2 d.l. n. 92/2014 convertito in l. n. 117/2014, hanno diritto all’indennizzo ex art. 35- ter , comma 3, ord. pen., il cui termine di prescrizione in questo caso non opera prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto legge .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 30 gennaio – 8 maggio 2018, n. 11018 Presidente Mammone – Relatore Curzio Ragioni della decisione 1. C.G. convenne in giudizio il Ministero della giustizia dinanzi al Tribunale di L’Aquila, esponendo di essere stato ristretto in varie case circondariali per una pluralità di periodi tra il 1996 e il 2014 e di aver subito un trattamento inumano a causa delle condizioni di detenzione. Chiese il risarcimento dei danni, ai sensi dell’art. 35-ter dell’ordinamento penitenziario, in misura di 25.512 Euro. 2. Il Ministero della giustizia, oltre a contestare nel merito le affermazioni del ricorrente, eccepì la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni per il periodo precedente ai cinque anni o, in subordine, ai dieci anni, in quanto la richiesta avrebbe potuto comunque essere oggetto di azione secondo le precedenti disposizioni di legge . 3. Il Tribunale accolse la domanda integralmente, respingendo l’eccezione di prescrizione perché il diritto al risarcimento del danno da detenzione in stato di degrado, non era riconosciuto dalla normativa interna prima dell’entrata in vigore della nuova legge e perché, la previsione di un termine di decadenza per l’esercizio di un diritto, è incompatibile con la decorrenza della prescrizione. 4. Ritenne poi che, a fronte dell’onere di allegazione del ricorrente, che deve indicare il trattamento disumano al quale assume di essere stato sottoposto, gravasse sul Ministero un onere di contestazione specifica e, a seguire, l’onere della prova dell’insussistenza delle condizioni di degrado, considerata la notorietà del sovraffollamento carcerario e la esclusiva disponibilità delle informazioni sulla situazione degli specifici istituti di detenzione. 5. Il Ministero ha proposto ricorso per cassazione. 6. Il motivo è unico e concerne solo il problema relativo alla prescrizione. 7. Sotto la rubrica violazione dell’art. 2935 e dell’art. 2947 c.c., nonché dell’art. 35-ter dell’ordinamento giudiziario , si sostiene che l’art. 35-ter ord. pen. non ha introdotto un diritto nuovo, ma solo una semplificazione processuale dell’azione di risarcimento danni prevista dall’art. 2043 cod.civ., relativamente alle ipotesi di violazione dell’art. 3 CEDU, per rendere il nostro ordinamento compatibile con le prescrizioni contenute nella sentenza Torreggiani della Corte EDU. Da tale ricostruzione consegue che il diritto del C. si era già estinto con riferimento ai periodi anteriori al quinquennio. 8. Il C. si è difeso con controricorso. 9. La terza sezione civile ha rimesso gli atti al primo presidente con ordinanza del 28 settembre 2017, ritenendo che la controversia ponga questioni di massima di particolare importanza, concernenti l’applicabilità alla fattispecie in esame del principio di diritto espresso dalla sentenza 16783/2012 delle sezioni unite civili e la natura giuridica del rimedio previsto dall’art. 35-ter, ord. pen. 10. Il primo presidente ha investito le sezioni unite. 11. La Corte Europea dei diritti dell’uomo, con sentenza dell’8 gennaio 2013, emessa nella causa Torreggiani ed altri c. Italia, si è occupata del problema del sovraffollamento carcerario in Italia e delle conseguenti condizioni di vita dei detenuti. 12. I ricorrenti assumevano di essere o di essere stati detenuti in celle in cui disponevano di uno spazio inferiore a 3 mq. per persona, oltre che con problemi relativi alla possibilità di fare una doccia con acqua calda e alle condizioni di luce. 13. Il ricorso esaminato dalla Corte EDU è il primo di una moltitudine di ricorsi aventi lo stesso tema, in quanto, come ha rilevato la Corte di Strasburgo, nel 2010 vi erano in Italia 67.961 persone detenute nelle 206 carceri, che avevano una capienza massima di 45.000 persone, con un tasso nazionale di sovraffollamento del 151%. 14. Tutti i Tribunali di sorveglianza investiti dei ricorsi dei detenuti, con la sola eccezione di quello di Lecce, avevano escluso che rientrasse nella loro competenza la possibilità di condannare l’amministrazione a risarcire i detenuti per i danni eventualmente subiti a causa delle condizioni di detenzione. 15. La Corte EDU, dopo aver rigettato l’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, ritenute non effettive, affermò che vi era stata violazione dell’art. 3 della Convenzione, in base al quale Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti . 16. Quanto alle vie per affrontare il problema sistemico del sovraffollamento, richiamando i suoi precedenti, la Corte rammentò che in materia di condizioni detentive i rimedi preventivi devono coesistere con quelli compensativi , nel senso che quando un ricorrente sia detenuto in condizioni contrarie all’art. 3 della Convenzione, la migliore riparazione possibile è la rapida cessazione della violazione del diritto a non subire trattamenti inumani e degradanti. Inoltre, chiunque abbia subito una detenzione lesiva della propria dignità, deve poter ottenere una riparazione per la violazione subita . 17. Secondo la Corte il rimedio previsto dall’ordinamento italiano, costituito dal reclamo al magistrato di sorveglianza ai sensi degli artt. 35 e 69 ord. pen., è uno strumento accessibile, ma non effettivo nella pratica perché non consente di porre rapidamente fine alla carcerazione in condizioni contrarie all’art. 3 CEDU, mentre lo stato italiano non ha dimostrato l’esistenza di un ricorso in grado di consentire alle persone incarcerate in condizioni lesive della loro dignità di ottenere una qualsiasi forma di riparazione per la violazione subita . 18. Di qui la conclusione per cui le autorità nazionali devono creare senza indugio un ricorso o una combinazione di ricorsi che abbiano effetti preventivi e compensativi e garantiscano realmente una riparazione effettiva delle violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento carcerario in Italia . 19. Tutto ciò premesso, la Corte ha condannato l’Italia a risarcire il danno morale subito dai ricorrenti ed ha liquidato i relativi importi, tenendo conto del tempo trascorso in cattive condizioni di detenzione. Ha poi dichiarato che, a causa della violazione dell’art. 3 della Convenzione, lo Stato italiano dovrà, entro un anno, istituire un ricorso o un insieme di ricorsi interni effettivi idonei ad offrire una riparazione adeguata e sufficiente in caso di sovraffollamento carcerario, conformemente ai principi della Convenzione come stabiliti nella giurisprudenza della Corte . 20. Il Governo è intervenuto emanando il decreto legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni nella legge 11 agosto 2014, n. 117. 21. Nella prima parte del provvedimento sì richiama la straordinaria necessità e urgenza di ottemperare a quanto disposto dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nella sentenza 8 gennaio 2013. L’art. 1 del decreto apporta una modifica all’ordinamento penitenziario legge 26 luglio 1975, n. 354 , mentre l’art. 2 detta una disciplina transitoria. 22. La disciplina a regime prevede, in coerenza con la giurisprudenza della Corte EDU, rimedi preventivi e rimedi compensativi. A tal fine l’art. 1 del d.l. ha introdotto l’art. 35-ter nell’ordinamento penitenziario. La nuova norma parte dal richiamo all’art. 69, comma 6, lett. b ord. pen., per il quale il magistrato di sorveglianza provvede, a norma dell’art. 35-bis, sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio del diritti . 23. In base all’art. 35-ter, primo comma, quando il pregiudizio consiste in condizioni di detenzione tali da violare l’art. 3 della Convenzione, il magistrato di sorveglianza dispone, a titolo di risarcimento del danno, una riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari, nella durata, a un giorno per ogni dieci durante i quali il richiedente ha subito il pregiudizio. Il risarcimento assume quindi la forma esclusiva di uno sconto di pena. Non vi sono misure economiche. 24. Il secondo comma si occupa del caso in cui la pena ancora da espiare non sia tale da consentire il risarcimento mediante riduzione della detenzione e prevede che in questa ipotesi, in aggiunta alla riduzione di pena nei limiti in cui è possibile, il magistrato di sorveglianza, per il periodo residuo, liquidi una somma pari ad otto Euro per ogni giornata in cui si è subito il pregiudizio. È una forma mista, in cui il ristoro è costituito in parte da riduzione della pena, nella parte residua da un compenso economico. 25. Il terzo comma prevede l’ipotesi in cui la carcerazione sia terminata. Il risarcimento del danno non potrà quindi, neanche in parte, consistere in un riduzione di pena, perché non vi è pena residua da scontare. È prevista pertanto solo una compensazione economica otto Euro per ogni giornata di detenzione in cui si è subito il pregiudizio. 26. In quest’ultima ipotesi la competenza non è del magistrato di sorveglianza, ma del Tribunale civile del capoluogo del distretto in cui l’ex detenuto ha la residenza. Il Tribunale decide in composizione monocratica nelle forme previste dall’art. 737 c.p.c. camera di consiglio e decreto motivato. Il decreto non è soggetto a reclamo, non si applica quindi la procedura prevista dall’art. 739 e ss. cod.proc.civ 27. Per espressa previsione legislativa, l’azione dinanzi al Tribunale è soggetta ad un termine deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla cessazione dello stato di detenzione o della custodia cautelare in carcere . 28. Il legislatore ha dettato anche una disciplina transitoria, contenuta nell’art. 2 del decreto, che riguarda due categorie di persone. 29. Una parte della disciplina transitoria riguarda coloro che, alla data di entrata in vigore del d.l. 92/2014, avevano terminato la carcerazione. Il primo comma dell’art. 2 del d.l., prevede che costoro possono proporre l’azione di cui al terzo comma dell’art. 35-ter, entro il termine di decadenza di sei mesi decorrenti dalla stessa data di entrata in vigore del decreto. 30. Una diversa disciplina transitoria è prevista per i detenuti e gli internati che abbiano già presentato ricorso alla Corte EDU. Costoro entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto possono presentare domanda ai sensi dell’art. 35-ter ord. pen., qualora non sia intervenuta una decisione sulla ricevibilità del ricorso da parte della Corte . i due commi successivi aggiungono che il ricorso deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’indicazione della data di presentazione del ricorso e la cancelleria del giudice adito deve informare il Ministero degli affari esteri di tutte le domande presentate nel semestre . 31. La Corte EDU è tornata sulla situazione italiana con la sentenza 16 settembre 2014 nella causa Stella c. Italia, in cui ancora una volta si è posto il problema del sovraffollamento carcerario e di condizioni di detenzione non conformi all’art. 3 della Convenzione. 32. La Corte ha dato atto degli ottimi risultati ottenuti grazie alle varie misure strutturali , che hanno permesso di portare il numero dei detenuti nel giro di due anni dall’aprile 2012 all’agosto 2014 , da 66.585 a 54.252 e di portare la capienza delle carceri, calcolando una superficie di 9 mq. per detenuto e aggiungendo 5 mq. per ogni persona supplementare presente nella cella, a 49.797 posti. 33. Ha poi dato atto che lo Stato italiano, parallelamente, ha riformato la legge sull’ordinamento penitenziario creando un nuovo ricorso interno di natura preventiva che permette alle persone detenute di lamentare dinanzi all’autorità giudiziaria le condizioni materiali di detenzione, nonché un ricorso risarcitorio che prevede una riparazione per le persone che hanno già subito una detenzione contraria alla Convenzione punto n. 41 . 34. Ha quindi esaminato analiticamente e valutato positivamente la disciplina del ricorso preventivo punti 45-54 e quella del ricorso risarcitorio punti 55-62 . In particolare, quanto alla riduzione di pena prevista dall’art. 35-ter ord. pen., ha ritenuto che costituisca una riparazione appropriata , oltre a contribuire a risolvere il problema del sovraffollamento. Quanto alla compensazione pecuniaria ha ritenuto che nella fattispecie, l’importo del risarcimento previsto dal diritto interno non può essere considerato irragionevole anche se inferiore a quello fissato dalla Corte e privare il rimedio del requisito della effettività. 35. Pur riservandosi un eventuale riesame della questione della effettività del ricorso in discussione affidata alla coerenza, uniformità e compatibilità con le esigenze della Convenzione della giurisprudenza interna punti n. 62 e 67 , ha concluso che i ricorrenti, nella misura in cui affermano di essere stati detenuti in condizioni contrarie all’art. 3 della Convenzione, devono avvalersi del ricorso introdotto dal decreto legge 92/2014 allo scopo di ottenere a livello nazionale il riconoscimento della violazione e, se del caso, una compensazione appropriata punto n. 66 , rigettando i ricorsi per mancato esaurimento delle vie di ricorso interno punto n. 68 . 36. Può ora essere affrontato il problema posto dal giudizio in esame, costituito dalla fondatezza o meno della eccezione di prescrizione quinquennale o, in subordine, decennale del diritto sollevata dal Ministero ricorrente. 37. Sulla questione si sono già più volte espresse le sezioni penali, occupandosi ovviamente della parte della disciplina dell’art. 35-ter di competenza del Tribunale di sorveglianza. Le affermazioni di queste sentenze, pur riguardando il primo ed il secondo comma dell’art. 35-ter, sono tuttavia rilevanti perché la norma ha una struttura unitaria e già il secondo comma aggiunge alla riduzione di pena il compenso economico, che poi è oggetto esclusivo del terzo comma. 38. Cass. pen. 876/2016 non ha dovuto affrontare il problema della prescrizione, ma ha affermato che con l’art. 35-ter è stato introdotto per la prima volta nell’ordinamento italiano un istituto con finalità riparatorie e di riequilibrio in parte compensatrici della lesione della libertà rivelatasi ingiusta, riconoscendo così la natura innovativa dell’istituto. 39. Cass. pen. 9658/2017, pur in assenza di specifica eccezione sul punto, si è posta il problema se sia o meno rilevabile la prescrizione del diritto ad ottenere il particolare ristoro previsto dall’art. 35-ter e ha escluso che la prescrizione decorra prima della sua introduzione, perché quanto previsto da tale norma costituisce uno strumento riparatorio del tutto nuovo , tanto con riferimento alla previsione della riduzione di pena, che con riferimento alla previsione di una indennità economica in misura fissa, entrambe riconosciute a prescindere dalla necessità dell’accertamento di una colpa dell’amministrazione. 40. Cass. pen. 31475/2017 si è occupata di un caso in cui il tema della prescrizione era stato oggetto di specifico motivo di reclamo da parte del Ministero della giustizia nei confronti del provvedimento del magistrato di sorveglianza di Sassari che aveva accolto il ricorso di un detenuto. Il reclamo era stato rigettato dal Tribunale di sorveglianza. La prima sezione penale ha condiviso la scelta di non ritenere prescritto il diritto affermando che quella introdotta dall’art. 35-ter, tanto nella parte in cui prevede una riduzione della pena che in quella in cui prevede un compenso economico, costituisce una forma di tutela decisamente innovativa, discontinua ed alternativa rispetto all’azione risarcitoria codicistica , con la conseguenza che il relativo termine di prescrizione non poteva decorrere prima della sua introduzione nell’ordinamento. 41. Da ultimo, sul tema sono intervenute le sezioni unite penali, con la sentenza 26 gennaio 2018, Tuttolomondo. 42. Il Ministero della giustizia aveva eccepito la prescrizione del diritto del detenuto con riferimento al periodo di carcerazione anteriore al quinquennio decorrente dal 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del d.l. n. 92 del 2014, muovendo dall’assunto che il diritto al ristoro del pregiudizio da detenzione preesisteva al d.l. 92/2014. 43. Le sezioni unite penali, hanno affermato il seguente principio di diritto La prescrizione del diritto leso dalla detenzione inumana e degradante azionabile dal detenuto ai sensi dell’art. 35-ter, commi 1 e 2, ord. pen., per i pregiudizi subiti anteriormente all’entrata in vigore del decreto legge n. 92 del 2014, decorre dal 28 giugno 2014 data di entrata in vigore del decreto legge . 44. La sentenza richiama i precedenti di legittimità sul carattere innovativo della previsione dell’art. 35-ter, ed afferma che la prescrizione inizia a decorrere solo dall’introduzione dell’art. 35-ter ord. pen., in quanto il rimedio risarcitorio in esame non era prospettabile prima della entrata in vigore della novella del 2014 . Aggiunge poi che l’assenza di un precedente strumento di tutela, accessibile ed effettivo, integra un impedimento all’esercizio del diritto rilevante ai sensi del generale principio di cui all’art. 2935 cod. civ. in base al quale la prescrizione decorre soltanto dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere . 45. La conclusione è condivisibile e deve essere ribadita in sede di giudizio civile. Il richiamo dell’art. 2935 cod. civ. richiede però una precisazione, in quanto la formula legislativa dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere contenuta in tale disposizione, per consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale, deve intendersi con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul corso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto ex plurimis Cass. 26 maggio 2015, n. 10828 6 ottobre 2014, n. 21026 7 marzo 2012, n. 3584 . 46. Tale ricostruzione comporta che il significato della norma finisce per circoscriversi all’impedimento della decorrenza per i casi nei quali l’efficacia del fatto costitutivo sia sottoposta a condizione sospensiva o a termine iniziale, mentre gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto non impediscono il decorrere della prescrizione, compresa la presenza di una norma costituzionalmente illegittima che limiti o escluda l’esercizio del diritto. 47. Nel caso in esame però la situazione è diversa il d.l. 92 del 2014, introducendo nell’ordinamento l’art. 35-ter ord. pen., ha creato un rimedio nuovo e distinto da quello desumibile dal contesto interordinamentale previgente, che aveva portato alla condanna dello Stato italiano al pagamento in favore del Torreggiani e degli altri ricorrenti di una serie di somme a titolo di risarcimento del danno morale in sede di Corte Europea dei diritti dell’uomo. 48. Il rimedio enucleato dal legislatore italiano introducendo nel 2014 l’art. 35-ter è anch’esso fondato sul principio dettato dall’art. 3 della Convenzione Europea, per cui nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti , e sull’art. 27, terzo comma, della nostra Costituzione per il quale Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato . 49. Pur radicato in questi principi fondamentali e comuni all’ordinamento italiano ed Europeo, esso presenta però tratti strutturali distinti e autonomi. Non era previsto, né era desumibile dall’ordinamento, in caso di violazione di quei principi, un diritto alla riduzione della pena e non era previsto un diritto ad un compenso economico con i peculiari connotati impressi dal secondo e dal terzo comma dell’art. 35-ter ord. pen. 50. La novità dell’istituto non ne esclude la retroattività. Se di norma, ai sensi dell’art. 11 disp. prel. cod. civ., la legge dispone per l’avvenire, nel caso in esame, tuttavia, il legislatore ha conferito carattere retroattivo alla nuova disciplina. Lo si desume dalla premessa e dal senso complessivo della normativa introdotta nel 2014, finalizzata a definire anche le situazioni pregresse. Ma lo si deduce, in modo chiaro sul piano testuale, dalla lettura della normativa intertemporale dettata dall’art. 2, che, disciplinando la materia della decadenza, fa inequivocabilmente riferimento, sia nel primo che nel secondo comma, a detenzioni degradanti ed inumane già conclusesi e quindi anteriori al momento dell’entrata in vigore della legge. 51. Nonostante la terminologia utilizzata dal legislatore, che, tanto con riferimento alla riduzione della pena, quanto con riferimento al compenso in denaro, assume che vengono riconosciuti a titolo di risarcimento del danno , deve concordarsi con quanto già più volte affermato dalle sezioni penali circa il fatto che si è in presenza di un mero indennizzo . 52. In particolare, deve ritenersi che la previsione di una somma di denaro pari ad otto Euro per ciascuna giornata in cui è stato subito il pregiudizio, indica che il legislatore si è mosso in una logica di forfetizzazione della liquidazione, che considera solo l’estensione temporale del pregiudizio, senza nessuna variazione in ragione della sua intensità e senza alcuna considerazione delle eventuali peculiarità del caso. Manca il rapporto tra specificità del danno e quantificazione economica che caratterizza il risarcimento e manca ogni considerazione e valutazione del profilo soggettivo. 53. Al fine di contenere i costi, semplificare il meccanismo di calcolo e ridurre le variabili applicative, si è scelta la via dell’indennizzo, cioè di un compenso di entità contenuta e di meccanica e uniforme quantificazione. Compenso che, peraltro, come si è visto supra, n. 34 , nella sentenza Stella la Corte di Strasburgo ha giudicato non irragionevole anche se inferiore a quello fissato in precedenza dalla medesima Corte e non privo di effettività. 54. La natura di mero indennizzo e il radicarsi della responsabilità nella violazione di obblighi gravanti ex lege sull’amministrazione penitenziaria nei confronti dei soggetti sottoposti alla custodia carceraria, convergono nell’escludere l’applicabilità della regola specifica dettata per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito dall’art. 2947, primo comma, cod. civ Vale, pertanto, la regola generale della prescrizione decennale. 55. Poiché il diritto all’indennizzo è strutturato dalla legge come diritto a percepire una cifra fissa di otto Euro al giorno che si incrementa solo in relazione al numero di giornate di detenzione degradante, deve ritenersi che, simmetricamente, esso maturi giorno per giorno , con le relative conseguente sul metodo di calcolo del termine di prescrizione. 56. Questo accadrà nel meccanismo a regime, perché, invece, con riferimento alle situazioni in cui la detenzione sia cessata prima dell’entrata in vigore della legge, il termine di prescrizione decorre da quest’ultima data, e cioè dal momento in cui il nuovo rimedio è stato introdotto nell’ordinamento v., supra, nn. 43-45 . 57. Come si è dimostrato in dottrina, la prescrizione non è in via generale incompatibile con la decadenza. Né possono essere meccanicamente applicati alla materia in esame i principi affermati dalla sentenza 2 ottobre 2012, n. 16783 in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo. Le due discipline e, più a monte, le situazioni regolate, presentano elementi di analogia, ma anche incisive differenze, che impongono di evitare sovrapposizioni ricostruttive, fonte di possibili confusioni. 58. Se nell’ambito della disciplina transitoria dettata dall’art. 2 del d.l. 92/2014 la prescrizione decorre dall’entrata in vigore della legge, questa forma di estinzione rimarrà assorbita in tutti i casi in cui il diritto viene meno perché l’azione non è stata proposta nel termine di decadenza di sei mesi dalla entrata in vigore della legge. 59. Al contrario, nel meccanismo a regime, potrà accadere che la prescrizione maturi in corso di detenzione e quindi prevalga sulla decadenza che, ai sensi dell’art. 1, decorre dalla cessazione dello stato di detenzione la carcerazione non costituisce impedimento al decorrere del termine di prescrizione con riferimento a pretese di natura civilistica, cfr. Cass. 11 febbraio 2015, n. 2696 . 60. In conclusione, deve affermarsi il seguente principio Il diritto ad una somma di denaro pari a otto Euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, previsto dall’art. 35-ter, terzo comma, ord. pen., si prescrive in dieci anni, che decorrono dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni. Coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima dell’entrata in vigore della nuova normativa, se non sono incorsi nelle decadenze previste dall’art. 2 d.l. 92/2014 convertito in l. 117/2014, hanno anch’essi diritto all’indennizzo ex art. 35-ter, terzo comma, ord. pen., il cui termine di prescrizione in questo caso non opera prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto legge . 61. In applicazione di questi principi, il ricorso del Ministero deve essere rigettato, perché il diritto previsto dall’art. 35-ter, terzo comma, ord. pen., nel caso in esame relativo a detenzione conclusasi prima dell’entrata in vigore del d.l. 92/2014 e quindi soggetto alla disciplina transitoria, come ha correttamente ritenuto il Tribunale di L’Aquila, non si è prescritto. 62. Le spese devono essere compensate, considerata la problematicità della materia. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.