Semaforo rosso: determinante per l’irrogazione della sanzione il superamento della linea di arresto

Qualora il conducente di un veicolo superi, nel momento in cui il semaforo è rosso, la linea di arresto, tale circostanza consente l’irrogazione della sanzione amministrativa prevista dal codice della strada, a nulla rilevando la direzione successivamente imboccata dal conducente.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 9276/18, depositata il 16 aprile. Il caso. Il Giudice di Pace di Erba rigettava l’opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione emessa nei confronti di un automobilista, per aver questi attraversato un incrocio nonostante il semaforo proiettasse la luce rossa. L’appello del conducente veniva respinto dal Tribunale, pertanto, il medesimo propone ricorso per cassazione denunciando l’errata interpretazione delle norme del codice della strada circa il superamento della linea di arresto durante il periodo di accensione della luce rossa del semaforo. Il superamento della linea di arresto. Il Supremo Collegio evidenza che l’art. 41, comma 11, c.d.s. prescrive che durante il periodo di accensione della luce rossa, i veicoli non devono superare la striscia di arresto , pertanto il Tribunale ha dato, correttamente, peso determinante alla circostanza dell’avvenuto superamento della linea di arresto . La Suprema Corte ritiene, inoltre, ininfluenti e superflue le contestazioni mosse dal ricorrente, volte ad affermare che le segnalazioni del semaforo non vietavano la marcia in senso rettilineo, ma solo la prosecuzione nella direzione indicata dalla freccia vale a dire la svolta a sinistra , ciò in quanto l’art. 141, comma 3, c.d.s. dispone la sanzione amministrativa per il conducente del veicolo che prosegue la marcia, nonostante che le segnalazioni del semaforo o dell’agente del traffico vietino la marcia stessa . Difatti, la Suprema Corte precisa, che nel caso di specie, il problema non è quello della direzione successivamente imboccata dal conducente, quanto piuttosto il superamento, a semaforo rosso, della linea di arresto nella corsia in concreto impegnata dal veicolo e tale circostanza non è contestata . La Corte, dunque, nel negare rilevanza all'ulteriore contestazione circa la scarsa visibilità della segnaletica orizzontale in quanto attinente a questioni di fatto già esaminate nei giudizi di merito, rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 2 febbraio – 16 aprile 2018, n. 9276 Presidente Petitti – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1 Con sentenza 24.6.2011 il Giudice di Pace di Erba rigettò l’opposizione di B.C. contro l’ordinanza ingiunzione n. 1383/10 emessa nei suoi confronti dal Prefetto di Como per violazione dell’art. 41 comma 11 e 146 comma 3 CDS per avere attraversato l’incrocio con via con semaforo proiettante luce rossa. 2 L’appello del contravventore è stato respinto dal Tribunale che, con sentenza 6.2.2014, ha confermato la decisione di primo grado condannando l’appellante al pagamento delle spese del gravame liquidandole in complessivi Euro 1.550,00 di cui Euro 550,00 per la fase di studio, Euro 300,00 per la fase introduttiva ed Euro 700,00 per la fase decisoria. 3 Contro tale pronuncia il B. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi illustrati da memoria. Il Comune di Erba non ha svolto difese in questa sede. Considerato in diritto Va premesso che a norma dell’art. 23 della legge n. 689 del 1981 - applicabile alle sanzioni amministrative irrogate per violazioni relative alla circolazione stradale a norma dell’art. 205 del codice della strada - legittimata passiva nel giudizio, quale è quello in oggetto, di opposizione all’ordinanza-ingiunzione irrogativa della sanzione, è unicamente l’Autorità amministrativa che l’ha irrogata tra le varie Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 8344 del 04/04/2013 Rv. 625580 Sez. 1, Sentenza n. 1502 del 25/01/2005 Rv. 578971 Sez. U, Sentenza n. 21624 del 06/10/2006 Rv. 592353 nel caso di specie, legittimato passivo era dunque il Prefetto di Como e non certo il Comune di Erba. Considerato però che come si vedrà a breve il ricorso appare assolutamente infondato, il principio costituzionale della ragionevole durata del processo art. 111 Cost. impone di procedere ugualmente alla trattazione del ricorso Sez. 1 -, Sentenza n. 4917 del 27/02/2017 Rv. 644315 Sez. U, Sentenza n. 21670 del 23/09/2013 Rv. 627449 Sez. U, Ordinanza n. 23542 del 18/11/2015 Rv. 637243 ed altre . 1.2 Col primo motivo si denunzia violazione dell’art. 41 comma 3 CDS in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc dopo aver analizzato il contenuto della norma, il ricorrente rimprovera al giudice di appello di avere vistosamente ignorato e violato la predetta disposizione tanto da non riuscire neppure a menzionarla in motivazione benché formasse oggetto di contestazione nel verbale di contravvenzione e costituisse motivo di appello nonché argomento di confutazione e dunque ineludibile oggetto del contendere. Il motivo è infondato l’art. 41 comma 11 CDS prescrive testualmente che durante il periodo di accensione della luce rossa, i veicoli non devono superare la striscia di arresto . Il legislatore considera quindi in infrazione il veicolo che oltrepassa tale limite e il Tribunale, che ha dato peso determinante alla circostanza dell’avvenuto superamento della linea di arresto pag. 4 , ha quindi considerato la disposizione che disciplina i segnali luminosi art. 41 CDS , a nulla rilevando la mancanza di un formale richiamo al relativo articolo di legge in ogni caso riportato a pag. 3 della sentenza nella parte riassuntiva dei motivi di appello . 2 Col secondo motivo si deduce falsa applicazione dell’art. 146 comma 3 CDS in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc rilevandosi che le segnalazioni del semaforo non vietavano la marcia in senso rettilineo ma solo la prosecuzione nella direzione indicata dalla freccia vale a dire la svolta a sinistra . Anche tale motivo è infondato. L’art. 141 CDS al comma 3 prevede la sanzione amministrativa per il conducente del veicolo che prosegue la marcia, nonostante che le segnalazioni del semaforo o dell’agente del traffico vietino la marcia stessa nel caso in esame il giudice di merito, attraverso un tipico apprezzamento in fatto, ha evidenziato l’avvenuto superamento della linea di arresto e quindi la dedotta violazione di legge non sussiste. Il problema allora non è quello della direzione successivamente imboccata dal conducente, quanto piuttosto il superamento, a semaforo rosso, della linea di arresto nella corsia in concreto impegnata dal veicolo e tale circostanza non è contestata. 3 Col terzo motivo si deduce ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 5 cpc. l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla invisibilità della segnaletica orizzontale che, a dire del ricorrente, lo avrebbe indotto all’incolonnamento nella corsia di svolta a sinistra. Anche tale censura è priva di fondamento. Fatti decisivi sono l’esistenza di un semaforo che proiettava la luce rossa e di una corrispondente linea di arresto non rispettata v. sotto quest’ultimo profilo, Sez. 2, Sentenza n. 460 del 2017 non massimata che ha cassato con rinvio la pronuncia dei giudice di merito proprio perché non era stato adeguatamente valutato il superamento della linea di arresto entrambi i fatti sono adeguatamente stati esaminati dal giudice di appello e le conclusioni a cui è pervenuto non sono qui censurabili, anche se non gradite al ricorrente. La mancanza di un approfondimento sullo stato di manutenzione della segnaletica orizzontale solo oggi definita dal ricorrente invisibile e, come tale, causa esclusiva dell’erroneo incolonnamento nella corsia dei veicoli diretti a sinistra potrebbe, al più, configurare un vizio di motivazione sotto il profilo della sufficienza ma l’articolo 360 n. 5 cpc nella sua nuova formulazione ne preclude ormai la denunzia in sede di legittimità. Del resto il ricorrente nel ricorso introduttivo non ha mai negato che la linea di arresto esistesse, essendosi limitato solo a dolersi dello stato di manutenzione. 4 Col quarto motivo il B. deduce infine la violazione del DM n. 140 del 2012 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 cpc, dolendosi dell’ammontare delle spese di lite. Rileva che nel caso di specie non vi è stata fase istruttoria e, da parte della difesa avversaria, neppure decisoria, evidenziando la condotta singolare del Tribunale che ha potuto valutare fatti e diritto in assenza del fascicolo dell’appellato. Questo motivo è infondato al pari dei precedenti perché la dedotta assenza di attività difensiva dell’appellato nella fase decisoria costituente il nucleo della censura, visto che gli importi per la fase di studio e per quella introduttiva non sono criticati e la fase istruttoria non è stata neppure considerata dal Tribunale ai fini della liquidazione è smentita dalla sentenza impugnata che, nell’epigrafe, riporta le conclusioni della parte appellata e tale attività è compresa nella fase decisoria v. art. 11 comma 6 DM n. 140/2012 . Della mancanza di altre attività tipiche della fase decisoria, era preciso onere del ricorrente di fornire la relativa prova, mediante apposita certificazione di cancelleria. Consegue il rigetto del ricorso. La mancanza di attività difensiva da parte del Comune di Erba esonera la Corte dal provvedere sulle spese del presente giudizio. Considerato però che il ricorso per cassazione è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1 - quater all’art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 - quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso art. 13.