La copia del provvedimento e del messaggio PEC sono insufficienti se manca «qualsivoglia attestazione di conformità»

In tema di ricorso per cassazione, è ormai consolidato principio della Suprema Corte che, in caso di notificazione a mezzo PEC della sentenza, il difensore deve depositare in cancelleria la copia analogica del messaggio PEC e della relata di notifica del provvedimento impugnato con le necessarie attestazioni di conformità.

Lo ha ribadito la Cassazione con ordinanza n. 9199/18, depositata il 13 aprile. Il caso. Il ricorso proposto davanti alla Corte di Cassazione traeva origine dalla domanda del ricorrente volta ad ottenere la risoluzione contrattuale di una polizza di investimento per il comportamento del sub-agente, il quale aveva ritirato alcune somme di denaro senza l’attivazione effettiva dell’assicurazione con la compagnia. Il Tribunale accoglieva la domanda, ma il Giudice d’Appello, accogliendo a sua volta il gravame promosso dalla compagnia assicuratrice, riteneva che detta compagnia non poteva essere ritenuta responsabile dell’operato del sub-agente. Nel corso del giudizio di legittimità, in via preliminare, la Suprema Corte si è occupata della questione pregiudiziale relativa all’improcedibilità del ricorso per mancanza del deposito della relata della notificazione. L’indispensabile attestazione di conformità. Il Supremo Collegio ha osservato che il ricorrente, in violazione dell’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. Deposito del ricorso non ha depositato, unitamente alla copia autentica della sentenza impugnata, la relata della notificazione, che si affermava essere stata effettuata a mezzo PEC. In tema di ricorso per cassazione, ricorda la Corte, nel caso in cui la notificazione della sentenza impugnata sia eseguita a mezzo PEC, l’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c. prescrive che, a pena di improcedibilità, il difensore, in qualità di colui che propone il ricorso contro il provvedimento notificatogli con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di Cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi dei comma 1- bis e 1- ter dell’art. 9 l. n. 53/1994, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio Cass. n. 26520/18 Cass. n. 28473/17 . Nella fattispecie, precisano gli Ermellini, il ricorrente ha prodotto sia la copia del provvedimento in questione che la copia cartacea del messaggio PEC e dei relativi allegati, ma senza qualsivoglia attestazione di conformità . In ragione di ciò la Cassazione ha dichiarato il ricorso improcedibile con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 27 febbraio – 13 aprile 2018, n. 9199 Presidente Vivadi – Relatore Iannello Rilevato in fatto 1. B.F. conveniva in giudizio INA S.p.A. davanti al Tribunale di Padova per ottenere la risoluzione contrattuale dell’estensione assicurativa di una polizza di investimento, in relazione alla quale aveva consegnato, a mani di S.V. , sub-agente della sede di omissis , con assegni tratti in data 6/4/2001, la somma di 40 milioni di lire senza che questi avesse effettivamente attivato alcuna copertura assicurativa aggiuntiva. Costituitasi volontariamente in giudizio, quale effettiva legittimata passiva, Ina Vita S.p.a. cui succedeva Ina Assitalia S.p.a. aveva chiamato in causa l’agente, G.R. e quest’ultimo il sub-agente S. . Il Tribunale, in accoglimento della domanda, condannava - Ina Assitalia S.p.A. al pagamento della somma di Euro 20.658,28, oltre interessi legali dalla 4/4/2001 al saldo - l’agente G. a tenere indenne la predetta di quanto la stessa dovrà pagare in conseguenza della sentenza - S.V. a tenere indenne, a propria volta, il G. . 2. Avverso tale decisione proponeva appello Ina Assitalia S.p.A. rilevando che la compagnia non poteva essere ritenuta responsabile dell’operato del sub-agente non trovando applicazione la disciplina riferibile, invece, alla posizione dell’agente e difettando pertanto il rapporto di occasionalità necessaria per l’assenza di ogni qualificata relazione tra la compagnia e il sub-agente. Condivise tali considerazioni la Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello e, in riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda proposta dal B. . 3. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione quest’ultimo sulla base di un unico motivo, cui resiste Generali Italia S.p.A. già Ina Assitalia S.p.A. depositando controricorso. Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ Considerato in diritto 1. Con l’unico motivo di ricorso B.F. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2049 e 2697 cod. civ Sostiene che unico onere del contraente era quello di provare di avere concluso il contratto con il sub-agente Ina che, da tempo e pubblicamente, rivestiva tale qualifica, costituendo ciò il nesso di occasionalità necessaria per la sottoscrizione del contratto , e che al contrario, non compete al ricorrente dimostrare l’esistenza di un rapporto tra la società e tale soggetto. Lamenta che la Corte territoriale erroneamente ha ritenuto necessaria la prova dell’assenza di colpa, presumendola sussistente in colui che fa affidamento sull’esistenza di un reale rapporto tra sub-agente e compagnia senza verificare che la proposta contrattuale proveniva da un soggetto effettivamente legittimato. Ciò sebbene la compagnia fosse a conoscenza che il S. operasse ed utilizzasse strumenti provenienti dall’assicurazione, come la carta intestata e i locali della sede di omissis . Inoltre, sarebbe errata la differenziazione degli oneri probatori a carico della parte per dimostrare la sussistenza della responsabilità dell’agente, rispetto a quella del subagente. 2. È pregiudiziale - in quanto attinente alla procedibilità del ricorso - il rilievo del mancato deposito, da parte del ricorrente, unitamente a copia autentica della sentenza impugnata, della relata, in copia anch’essa autentica, della notificazione che si afferma essere stata effettuata a mezzo p.e.c. in data 3 febbraio 2016 , in violazione dell’art. 369, comma secondo, num. 2, cod. proc. civ Secondo principio incontrastato nella giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, ai fini del rispetto di quanto imposto, a pena d’improcedibilità, dall’art. 369, comma secondo, num. 2, cod. proc. civ., il difensore che propone ricorso per cassazione contro un provvedimento che gli è stato notificato con modalità telematiche, deve depositare nella cancelleria della Corte di cassazione copia analogica, con attestazione di conformità ai sensi dei commi 1-bis e 1-ter dell’art. 9 legge 21 gennaio 1994, n. 53, del messaggio di posta elettronica certificata ricevuto, nonché della relazione di notifica e del provvedimento impugnato, allegati al messaggio Cass. 22/12/2017, n. 30765 v. anche Cass. n. 657 del 2017 n. 17450 del 2017 n. 23668 del 2017 n. 24292 del 2017 n. 24347 del 2017 n. 24422 del 2017 n. 25429 del 2017 n. 26520 del 2017 n. 26606 del 2017 n. 26612 del 2017 n. 26613 del 2017 n. 28473 del 2017 . Nel caso di specie risulta prodotta, oltre alla copia del provvedimento in questione, copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata e dei relativi allegati tra cui provvedimento e relazione di notifica manca però qualsivoglia attestazione di conformità. Non è stata aliunde acquisita la copia autentica della relazione di notifica della gravata sentenza, non avendo la controricorrente allegato tale documento, né risultando lo stesso presente agli atti del fascicolo di ufficio. La notifica del ricorso non supera la c.d. prova di resistenza Cass. n. 17066 del 2013 , essendo stata effettuata in data 4/4/2016, oltre 60 giorni dopo la data di pubblicazione della sentenza 9/12/2015 . Il ricorso va pertanto dichiarato improcedibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. Ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. Dichiara improcedibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore antistatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.