I confini del potere decisionale del Giudice d’Appello

In tema di appello, all’appellante spetta il compito di definire, con specificità, i confini dell’impugnazione e gli aspetti, della pronuncia di primo grado, sui quali essa si deve concentrare, mentre al Giudice spetta il compito di statuire, nel rigoroso rispetto di detti confini, il cui superamento conduce, inevitabilmente, alla violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., in tema di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ovvero ad una pronuncia ultra petita.

Questo è il principio affermato dalla Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Civile, con l’ordinanza n. 7469/18 depositata il 26 marzo 2018. Il caso. La vicenda nasce da un procedimento per il risarcimento dei danni patrimoniali, instaurato dai clienti di un istituto bancario, che avevano contratto un mutuo ipotecario, le cui rate dovevano essere pagate presso gli sportelli della stessa banca mutuante. I contraenti, invece, avevano scelto di pagare regolarmente tutte le rate, servendosi di un’altra banca. Nonostante il regolare saldo delle rate, la banca mutuante, che non aveva mai ricevuto la comunicazione concernente il pagamento di una di esse, aveva inoltrato segnalazione alla Centrale dei rischi interbancaria, la qual cosa, secondo gli attori, gli aveva impedito di ottenere un ulteriore mutuo da altri istituti di credito o società finanziarie e conseguentemente, di perfezionare l’acquisto di un immobile. Essi, pertanto, agivano in giudizio per ottenere l’accertamento della responsabilità della banca mutuante, la cancellazione della segnalazione ed il rimborso del danno patrimoniale sofferto. In primo grado il Tribunale, accertata la responsabilità per inadempimento contrattuale, della banca mutuante, accoglieva le domande attoree, liquidando il danno patrimoniale in via equitativa. Detta pronuncia, impugnata innanzi alla Corte d’Appello, veniva parzialmente riformata, in quanto, pur confermandosi la responsabilità della banca mutuante, si censurava il ricorso ai criteri equitativi, per la liquidazione del danno patrimoniale. Avverso tale ultima decisione, gli attori proponevano ricorso per Cassazione. I confini del potere decisionale del Giudice di secondo grado. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in esame, definisce, ancora una volta, i limiti del potere decisionale del Giudice d’Appello, in relazione alle censure mosse dagli appellanti. Partendo da principi della specificità dei motivi di appello, di cui all’art. 342 c.p.c., della rinuncia alle eccezioni non riproposte, di cui all’art 346 c.p.c., nonché dell’efficacia devolutiva dell’appello, la Suprema Corte definisce un quadro nel quale, mentre all’appellante spetta il compito di definire, con specificità, i confini dell’impugnazione e gli aspetti, della pronuncia di primo grado, sui quali essa si deve concentrare, al Giudice spetta il compito di statuire, nel rigoroso rispetto di detti confini, il cui superamento conduce, inevitabilmente, alla violazione del disposto dell’art. 112 c.p.c., in tema di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ovvero ad una pronuncia ultra petita . Il giudicato interno come limite invalicabile. Nella vicenda processuale esaminata, la banca mutuante, in sede di appello, aveva impugnato il solo aspetto inerente all’eccessiva quantificazione del danno patrimoniale sofferto dagli attori, mentre non aveva avanzato alcuna doglianza sull’utilizzo, da parte del giudice di primo grado, dei criteri equitativi, per giungere alla detta quantificazione. La contestazione, pertanto, riguardava la sola misura del danno patrimoniale liquidato e non anche i criteri utilizzati per determinarlo. Diversamente, la Corte d’Appello, pur confermando le responsabilità della banca mutuante, come presupposto da cui far scaturire il risarcimento, in favore degli attori, era erroneamente intervenuta proprio sul punto inerente all’utilizzo dei criteri equitativi e così facendo, aveva statuito su una questione intorno alla quale si era ormai formato il giudicato interno.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 11 gennaio – 26 marzo 2018, n. 7469 Presidente Matera – Relatore Dongiacomo Fatti di causa R.L. e P.C., con citazione del 5/3/2003, hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, la Banca Intesa BCI nella qualità di società incorporante la s.p.a. Banca Commerciale Italiana , esponendo che con atto del 27/7/1993, gli attori avevano contratto un mutuo ipotecario con la Banca Commerciale Italiana gli attori provvedevano al pagamento delle rate mutuo tramite la Banca di Credito Cooperativo di Roma la Banca Commerciale Italiana chiedeva agli attori il pagamento della rata di mutuo n. 14 dell’importo di Euro 2.037,27, scaduta il 31/12/2000, nonostante tale pagamento fosse già stato effettuato il 22/12/2000 la banca comunicava, inoltre, alla Centrale rischi interbancaria il mancato pagamento da parte degli attori della rata in questione a causa di tale segnalazione, gli attori non potevano concludere, nell’estate del 2002, un altro mutuo dell’importo di Euro 40.000,00, con la Banca Woolwich, necessario per l’acquisto di un immobile a omissis più in generale, gli attori si sono trovati nella sostanziale impossibilità di accedere a qualsiasi forma di credito presso istituti bancari o società finanziarie. Gli attori hanno, quindi, chiesto che il tribunale, accertato l’avvenuto pagamento entro la scadenza prestabilita della rata di mutuo n. 14 dell’importo di Euro 2.037,27, ordinasse alla banca convenuta di comunicare alla Centrale rischi interbancaria l’avvenuto pagamento, al fine di ottenere la cancellazione della relativa segnalazione, e condannare la Banca Intesa BCI al risarcimento dei danni liquidati in misura di Euro 22.000,00, o in quella eventualmente diversa, ritenuta di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria. La s.p.a. Banca Intesa, quale società incorporante la Banca Intesa BCI s.p.a., si è costituita in giudizio, contestando il fondamento della pretesa gli attori, infatti, pur avendo assunto l’impegno di eseguire il pagamento delle rate presso gli sportelli della banca mutuante, in realtà, avevano provveduto ad effettuare i relativi pagamenti tramite un’altra banca, assumendo i rischi del ritardo o dei disguidi inoltre, la banca presso la quale gli attori effettuavano il pagamento aveva omesso di inviare la documentazione giustificativa del bonifico, impedendo così alla mutuante di provvedere alla imputazione del pagamento alla rata di mutuo dovuta dagli attori la convenuta in ogni caso, ha evidenziato la carenza del nesso causale tra la condotta addebitata alla banca ed il pregiudizio lamentato dagli attori, in quanto la segnalazione del mancato pagamento alla Centrale rischi non è in sé idonea a impedire la concessione di finanziamenti da parte di altre banche, chiedendo, quindi, il rigetto delle domande proposte. Il tribunale, con sentenza del 2007, ha condannato la banca convenuta al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 20.000,00, oltre interessi dalla data della sentenza al saldo. La s.p.a. Intesa Sanpaolo ha proposto appello ed ha chiesto, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto di tutte le domande proposte dagli attori ed, in subordine, di ridurre nella misura ritenuta opportuna l’importo deì danni effettivamente riconosciuti agli attori, condannando, in ogni caso, gli attori alla restituzione delle somme corrisposte dalla banca in esecuzione della sentenza impugnata. R.L. e P.C. hanno resistito all’appello, chiedendone il rigetto. La corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 9/6/2014, ha accolto l’appello ed, in riforma dell’impugnata sentenza, ha rigettato la domanda proposta da R.L. e P.C. e condannato gli appellati alla restituzione della somma di Euro 25.124,00, con interessi dal 5/6/2007 al saldo. La corte, in particolare, dopo aver evidenziato che - come deduce la stessa banca appellante, la segnalazione alla CRIF S.p.A. è fondata sul mero fatto del mancato pagamento della rata di mutuo, di talché, nel caso in questione, tale presupposto deve ritenersi insussistente, non risultando contestato dalla banca appellante che il pagamento sia realmente intervenuto, come emerge dalla ricevuta relativa al pagamento della rata n. 14 di cui è giudizio, riguardando, le contestazioni della banca, solo la non conformità delle modalità del pagamento rispetto alle previsioni contrattuali - tale aspetto, peraltro, non vale certo ad escludere la responsabilità della banca è ben vero che la rata di mutuo, in ossequio al principio generale, andava pagata presso la banca creditrice alla scadenza, e, tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, la clausola non escludeva affatto che il pagamento potesse essere effettuato tramite altra banca, così come pacificamente era avvenuto per le rate antecedenti e quelle successive a quella in questione, nelle quali il pagamento risultava effettuato dagli attori attraverso la Banca di Credito Cooperativo di Roma, di talché, per quanto riguarda il pagamento della rata n. 14, deve ritenersi che gli attori avessero tempestivamente adempiuto l’obbligazione di pagamento, a mezzo del versamento della somma dovuta in data 22 dicembre 2000, presso la Banca di Credito Cooperativo di Roma Agenzia , a fronte della scadenza prevista per il 31 dicembre 2000 - come risulta dalla comunicazione della Banca di Credito Cooperativo di Roma, il pagamento effettuato dagli attori era stato trasmesso in data 27 dicembre 2000 alla Banca Commerciale Italiana a mezzo del Sistema interbancario - pertanto, versandosi in ipotesi di responsabilità derivante da inadempimento contrattuale fondato sul rapporto di mutuo intercorrente tra la banca appellante e gli appellati, spettava alla banca dimostrare di non aver violato i doveri di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto - tale prova, invero, non è stata fornita ha osservato che, pur accertata la responsabilità della banca appellante per la segnalazione in esame , la sentenza impugnata va, , riformata con riguardo alla liquidazione del danno effettuata dal Tribunale . Il tribunale, infatti, ha rilevato la corte, ha fatto ricorso al criterio equitativo di determinazione del danno risultando riconosciuta l’effettiva esistenza dello stesso, sebbene fosse completamente mancata la prova del suo ammontare, a causa dell’impossibilità di fornire congrui e idonei elementi a riguardo e, comunque, per la notevole difficoltà di una precisa quantificazione . Pertanto, ai fini della valutazione equitativa, il Tribunale ha tenuto conto della durata di permanenza della illegittima segnalazione e di possibili impieghi produttivi del credito richiesto e non ottenuto dalle parti attrici, senza peraltro considerare che, in relazione agli indicati elementi, tutti riconducibili ad un danno di natura patrimoniale, ben potevano gli attori individuare i criteri attraverso i quali pervenire ad una quantificazione realmente corrispondente al danno subito, senza ricorrere alla valutazione equitativa , specie con riguardo alla mancata concessione del mutuo di Euro 40.000 per l’acquisto di un immobile in montagna ben avrebbero potuto, gli attori stessi, quantificare il danno derivante dalla mancata realizzazione degli impieghi produttivi del credito richiesto deducendo, prima ancora di provare, l’impossibilità di trovare altre fonti di finanziamento al di fuori del circuito bancario o la maggiore onerosità delle stesse, al fine di consentire al giudice di apprezzare la reale impossibilità di procedere all’acquisto desiderato a causa del maggior costo che gli attori avrebbero potuto sostenere per l’acquisto della casa in questione, non potendo accedere al finanziamento bancario , rigorosamente dimostrando, in particolare, che dopo la cancellazione della segnalazione in esame, avvenuta solo nel corso del giudizio di primo grado, lo stesso immobile, o un immobile di analoga tipologia e ubicazione, aveva subito un aumento del prezzo, ovvero il tasso applicato dalle banche per la concessione di analogo prestito aveva, nel frattempo, subito un aumento . Né - ha aggiunto la corte - sembra prospettabile il danno derivante dall’impossibilità dei coniugi R. di poter trascorrere periodi di vacanza con il figlio D., di anni quattro, in una località di montagna, stante la mancata allegazione di un’impossibilità assoluta per gli attori di godere, negli stessi luoghi, della desiderata vacanza . Quanto, poi, alla lesione della qualità della vita consistente nell’ansia, nello stress, nell’insicurezza che gli istanti hanno sopportato nel sapere di non poter accedere ad alcuna forma di credito o finanziamento, la corte, dopo aver premesso che gli attori hanno avuto la consapevolezza dell’esistenza della segnalazione a partire dall’estate del 2002, avendo appreso la circostanza in occasione della richiesta di mutuo alla Banca Woolwich, e che tale segnalazione è risultata presente presso la banca dati sino al 2004, e, comunque, fino all’instaurazione della lite, ha osservato che anche in relazione a tale aspetto, potenzialmente produttivo di un danno risarcibile, fosse onere degli attori allegare e, quindi, provare, le ricadute concrete che l’impossibilità di accedere al credito aveva avuto sulla loro esistenza nel periodo in questione, non potendosi ritenere che la temporanea impossibilità di accedere a forme di prestito bancario o di credito al consumo possa costituire, di per sé, un danno risarcibile . La corte, quindi, ha ritenuto che la domanda formulata dagli attori, in quanto carente dell’allegazione dei sopra indicati elementi, che avrebbero consentito una più precisa quantificazione del danno economico subito, deve essere respinta e che, per effetto della riforma della sentenza, dev’essere disposta la restituzione della somma di Euro 25.124,00 pagata dalla banca appellata agli attori il 5/6/2007 in esecuzione della sentenza impugnata, oltre agli interessi. R.L. e P.C., con ricorso notificato l’8/10/2014 e depositato il 16/10/2014, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, dichiaratamente notificata l’1/7/2014. La s.p.a. Intesa Sanpaolo ha resistito con controricorso notificato in data 6/11/2014. I ricorrenti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1.Con il primo motivo, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., nella parte in cui la corte d’appello, nell’accogliere l’appello proposto da Intesa San Paolo s.p.a. e riformando la sentenza appellata sul rilievo che il tribunale aveva erroneamente fatto ricorso al criterio equitativo per la liquidazione dei danni, ha pronunciato ultra petita , violando il disposto dell’art. 112 c.p.c. nonché il principio di cui agli artt. 342 e 346 c.p.c., in ordine all’efficacia devolutiva dell’appello, alla specificità dei motivi ed alla rinuncia delle eccezioni non riproposte. La banca appellante, infatti, hanno osservato i ricorrenti, aveva censurato la sentenza di primo grado solo ed esclusivamente per aver liquidato a titolo risarcitorio danni per un importo assolutamente ingiustificato e sproporzionato in relazione all’unico pregiudizio che gli attori hanno assunto di aver subito, e cioè la mancata concessione di un mutuo di Euro 40.000,00, da parte della Banca Woolwich nel luglio del 2002, concludendo, in subordine, per la riduzione, nella misura ritenuta opportuna, l’importo dei danni equitativamente riconosciuti dal tribunale e liquidati in Euro 20.000,00. La banca appellante, quindi, hanno aggiunto i ricorrenti, non ha contestato al tribunale di aver indebitamente fatto ricorso al criterio equitativo per la liquidazione del danno, per cui la corte d’appello avrebbe dovuto limitarsi ad effettuare una nuova valutazione equitativa del danno, laddove, al contrario, ha riformato la sentenza appellata sul rilievo che il tribunale aveva erroneamente fatto ricorso al criterio equitativo per la liquidazione dei danni, pur essendosi, sul punto, formato il giudicato. 2. Con il secondo motivo, i ricorrenti, a norma dell’art. 360 n. 3 c.p.c., hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, in violazione dell’art. 1226 c.c. e con motivazione erronea e contraddittoria, pur non avendo negato che la condotta della banca fosse fonte di responsabilità risarcitoria e pur non avendo negato la sussistenza dei danni, ha ritenuto che il tribunale non potesse fare ricorso, nella fattispecie, al criterio equitativo di liquidazione del danno di cui all’art. 1226 c.c., per non avere gli attori fornito elementi per la loro concreta determinazione, così confondendo tra gli elementi per la determinazione del danno, che spettano alla parte, e i criteri per la sua liquidazione, che spettano al giudice, tant’è che l’art. 1226 c.c. prevede che, se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa, come è accaduto nel caso di specie, in cui la prova del danno è di tale difficoltà, da consentire il ricorso al criterio equitativo. 3. Il primo motivo è fondato. La s.p.a. Intesa Sanpaolo, infatti, con l’atto di appello notificato il 14/9/2007 - che la Corte ha direttamente esaminato, a fronte della natura di error in procedendo del vizio denunciato - ha contestato, con il quarto motivo d’appello, la sentenza pronunciata dal tribunale nella parte in cui il giudice ha ritenuto di poter liquidare in via equitativa il danno asseritamente subito dagli attori in ben Euro 20.000,00 deducendo che, nel determinare in tale abnorme misura in danno da difficoltà di accesso al credito , il tribunale ha evidentemente trascurato di considerare che gli attori erano stati messi a conoscenza dalla banca mutuante della circostanza relativa al mancato pagamento della rata n. 14, già con la notazione apposta sulla ricevuta che gli attori hanno utilizzato per il pagamento della rata immediatamente successiva, la n. 15, pagata in data 28 giugno 2001 e che, di conseguenza, appare sicuramente contestabile il fatto che controparte abbia lamentato di aver subito danni per Euro 22.000,00 e riconosciuti dal Primo Giudice, in via equitativa, per ben Euro 20.000,00 ed infatti, ha aggiunto l’appellante, l’importo liquidato è assolutamente ingiustificato e sproporzionato in relazione all’unico dedotto e nemmeno provato pregiudizio che gli attori hanno assunto di avere subito la mancata concessione di un mutuo di soli Euro 40.000,00, da parte della Banca Woolwich nel luglio del 2002 , concludendo che, nell’ipotesi in cui la corte d’appello avesse ritenuto la sussistenza di una qualche responsabilità della banca appellante per le vicende di causa , - considerato che la valutazione equitativa non fa assolutamente venir meno l’esigenza di un’effettiva rispondenza del risarcimento all’entità del danno - l’importo dei danni ingiustamente e non certo equitativamente liquidati dal Tribunale di Roma, in favore degli attori, in Euro 20.000,00, venga ridotto in maniera netta e significativa . Risulta, dunque, evidente che, così facendo, l’appellante non ha in alcun modo censurato la sentenza, nell’ipotesi in cui fosse stata ritenuta la sussistenza di una qualche responsabilità della banca appellante per le vicende di causa , per aver liquidato i danni ad essa conseguenti in via equitativa, essendosi, piuttosto, limitata ad contestare la misura determinata dal tribunale. La corte d’appello, invece, pur avendo accertato la responsabilità della banca appellante per la segnalazione in esame , ha, nondimeno, ritenuto che la sentenza impugnata dovesse essere riformata con riguardo alla liquidazione del danno effettuata dal Tribunale , giudicando, così, su una questione intorno alla quale si era, ormai, formato il giudicato interno. 4. Il secondo motivo resta assorbito. 5. Il ricorso dev’essere, quindi, accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, anche al fine di provvedere sulle spese del presente giudizio. P.Q.M. la Corte così provvede accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo cassa, in relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Roma, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.