Nel procedimento per l’equo indennizzo la prova di erede si desume «da tutti gli elementi ritualmente prodotti»

La Suprema Corte fissa un principio di diritto in tema di allegazione della prova di erede ai fini del procedimento volto all’ottenimento dell’equo indennizzo per irragionevole durata di un giudizio amministrativo.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 7195/18, depositata il 22 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Perugia rigettava con decreto la domanda volta al riconoscimento dell’equo indennizzo per l’irragionevole durata di un giudizio amministrativo rilevando che i soggetti istanti non fossero successori delle parti nel cui interesse la domanda era stata proposta. Avverso la sentenza della Corte distrettuale gli istanti ricorrono per cassazione dolendosi del mancato riconoscimento della loro qualità di eredi, nonché dell’errore circa la mancata allegazione di prova a tal riguardo. Infine, i ricorrenti si lamentano del mancato riconoscimento dell’equo indennizzo. La prova della qualità di eredi. Il Supremo Collegio riconosce l’errore in cui il Giudice d’Appello è incorso. Difatti, la qualità di eredi, da parte dei ricorrenti, oltre ad essere già evincibile dalle intervenute sentenze nel giudizio amministrativo presupposto, era stata riscontrata con le dichiarazioni di atto notorio confortate dall’allegazione del certificato di morte del padre e delle sorelle , per come puntualmente riscontrato dalla difesa dei ricorrenti . Tali circostanze, rilevano i Giudici di legittimità, sono state del tutto omesse dalla Corte distrettuale, pur essendo stati i relativi documenti ritualmente prodotti in giudizio . Il principio di diritto. Ciò posto, la Corte, nel cassare il decreto impugnato con rinvio, fissa il seguente principio di diritto. La prova della qualità di erede nel procedimento disciplinato dalla l. n. 89/2001 deve essere desunta da tutti gli elementi ritualmente prodotti dalla parti ricorrenti, avendosi riguardo anche agli atti notori corredati dai certificati di morte dei danti causa e alle inequivoche risultanze documentali desumibili dagli atti del giudizio presupposto ove gli stessi si siano in esso costituiti in proprio per effetto del sopravvenuto decesso delle parti originarie, così agendo nel suddetto procedimento per l’ottenimento dell’equo indennizzo sia iure successionis ” che iure proprio ” .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 21 febbraio – 22 marzo 2018, n. 7195 Presidente Petitti – Relatore Carrato Ragioni di fatto e di diritto della decisione Con decreto n. 358/2016, la Corte di appello di Perugia, decidendo su vari ricorsi riuniti per il riconoscimento dell’equo indennizzo in favore di diversi istanti per la durata irragionevole di un giudizio amministrativo, oltre all’accoglimento delle domande in favore di tutti gli altri ricorrenti, rigettava, invece, il ricorso formulato nell’interesse M.M.G., M.P., M.E., nell’assunta qualità di eredi di M.V., nonché di F.G., nella spesa qualità di erede di Fe.Gi., sul presupposto della mancata prova della loro dedotta qualità di successori delle anzidette parti del giudizio presupposto. Avverso questo decreto formulavano tempestivo ricorso per cassazione le predette M.M.G., P. ed E., nonché il F.G., riferito a due motivi, in ordine al quale resisteva con controricorso l’intimato Ministero dell’economia e delle finanze. Il difensore dei ricorrenti ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c Con il primo motivo - dedotto ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. - i ricorrenti hanno censurato il decreto impugnato per violazione e, comunque, falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 117 Cost. e dell’art. 6 paragrafo 1 della CEDU, nonché dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001 e degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c., in ordine alla ritenuta mancata allegazione della prova della loro qualità di eredi. Con la seconda doglianza i ricorrenti hanno prospettato - con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. - la violazione e, comunque, falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 117 Cost. e degli artt. 13 e 6 paragrafo 1 della CEDU, congiuntamente alla violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., oltre che dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001, avuto riguardo al negato riconoscimento dell’equo indennizzo in loro favore. Rileva il collegio che il primo motivo è fondato e deve, perciò essere accolto. Invero la Corte perugina, malgrado fosse desumibile ex actis il riscontro probatorio della qualità di eredi delle parti del giudizio presupposto degli attuali ricorrenti, ha illegittimamente ritenuto che essi non avevano offerto idonea prova in proposito, escludendo addirittura che fosse certa anche la data del decesso dei loro rispettivi danti causa iure successionis . Senonché, tale qualità comprovante la loro legittimazione ad agire in giudizio ai sensi della legge n. 89/2001 , oltre ad essere già evincibile dalle intervenute sentenze nel giudizio amministrativo presupposto in cui erano stati nominativamente indicati con questo titolo, per effetto della sopraggiunta morte delle parti originarie , era stata riscontrata con le dichiarazioni di atto notorio confortate dall’allegazione del certificato di morte del padre delle sorelle M. e della moglie del F.G. cfr. Cass. Sez. U. n. 12065/2014 , per come puntualmente riscontrato dalla difesa dei ricorrenti. La valorizzazione di tali circostanze decisive in funzione della prova della legittimazione ad agire dei ricorrenti iure successionis e anche iure proprio , una volta intervenuta la loro diretta costituzione in pendenza del giudizio presupposto è stata del tutto omessa dalla Corte umbra, pur essendo stati i relativi documenti ritualmente prodotti in giudizio a tale scopo, così incorrendo nella denunciata violazione degli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c. oltre che nell’omessa rilevazione in positivo - con il conseguente mancato dovuto esame - del suddetto fatto decisivo di cui al novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ratione temporis applicabile . Deve, pertanto, pervenirsi all’accoglimento del primo motivo, cui consegue l’assorbimento del secondo riguardante il riconoscimento in concreto della misura dell’invocato indennizzo , con derivante cassazione del decreto impugnato ed il rinvio della causa alla stessa Corte di appello, ma in diversa composizione, che nel regolare anche le spese della presente fase di legittimità, si conformerà al principio di diritto secondo cui la prova della qualità di erede nel procedimento disciplinato dalla legge n. 89/2001 deve essere desunta da tutti gli elementi ritualmente prodotti dalle parti ricorrenti, avendosi riguardo anche agli atti notori corredati dai certificati di morte dei danti causa e alle inequivoche risultanze documentali desumibili dagli atti del giudizio presupposto ove gli stessi ricorrenti si siano in esso costituiti in proprio per effetto del sopravvenuto decesso delle parti originarie, così agendo nel suddetto procedimento per l’ottenimento dell’equo indennizzo sia iure successionis che iure proprio . P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbito il secondo cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese della presente fase di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione.