IVA: la società extra UE che acquista beni tramite rappresentante fiscale in Italia non può cedere beni direttamente dall’estero

La Cassazione si è occupata del caso in cui il rappresentante fiscale di una società non residente extra UE, in proprio e nella qualità, impugni gli avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria abbia recuperato l’IVA a credito esposta nelle dichiarazioni.

Il caso. Il rappresentante fiscale di una società non residente extra UE, in proprio e nella qualità, impugna gli avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione finanziaria ha recuperato l’IVA a credito esposta nelle dichiarazioni relative ai periodi di imposta 2004 e 2005. La fattispecie può essere così sintetizzata. La società estera stipula un contratto di subappalto per la costruzione di una piattaforma petrolifera su commissione di una associazione temporanea di alcune società italiane. La società estera da un lato emette fatture passive per il tramite del rappresentante fiscale in relazione all’acquisto del materiale necessario per l’esecuzione dell’appalto, dall’altro fornisce beni lavorati direttamente alle società italiane senza avvalersi del rappresentante fiscale nominato. Dalla lettura della sentenza in rassegna si apprende che i beni lavorati si trovano in Italia e vengono consegnati direttamente ai clienti italiani da fornitori italiani. Inoltre le società italiane acquirenti emettono autofattura. A sua volta la società estera, non maturando un debito dal quale detrarre l’IVA assolta sugli acquisti, risulta creditrice dell’IVA versata alle società italiane e ne chiede il rimborso. L’Agenzia delle Entrate ritiene elusivo tale comportamento. I Giudici di merito accolgono i ricorsi del contribuente. In particolare la Commissione Tributaria Regionale richiama l’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui la società straniera, senza stabile organizzazione in Italia, ha diritto alla detrazione, secondo il regime ordinario, dell’IVA sulle operazioni effettuate tramite il proprio rappresentante fiscale, senza che questo sia tenuto ad esercitare l’opzione per il regime ordinario Cass., sez. trib., n. 9449/2001, in CED Cass., Rv. 548115 , al fine di sostenere che la società estera può nominare il rappresentante fiscale soltanto per alcune operazioni effettuate in Italia, vale a dire solo per gli acquisti di beni e non anche per le cessioni poste in essere direttamente dal soggetto non residente sul territorio nazionale. Con ordinanza n. 19482/2016 la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite dei ricorsi presentati dall’Amministrazione finanziaria. Nella sentenza n. 3872/2018 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno cassato le sentenze impugnate e rigettato i ricorsi introduttivi del contribuente, statuendo che il contribuente non residente, una volta avvalsosi del rappresentante fiscale nominato ex art. 17, d.p.r. n. 633/1972 nel testo anteriore alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 18/2010, con le quali il meccanismo dell’inversione contabile è stato reso obbligatorio per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da soggetto non residente, pur se identificato ai fini IVA mediante rappresentante fiscale, in favore di soggetto passivo residente e stabilito nel territorio nazionale, il quale deve assolvere l’imposta mediante emissione di autofattura per l’acquisto di beni costituente il primo segmento di una complessa ma oggettivamente unitaria operazione economica, e quindi optato, in ordine a questa, per l’applicazione dell’IVA secondo il regime ordinario, non può poi agire direttamente, con applicazione del regime dell’inversione contabile reverse charge , in relazione ad altri atti o prestazioni inerenti alla medesima unica operazione, attuandone in tal modo un artificioso frazionamento. L’operazione economicamente unitaria non deve essere artificialmente divisa per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA. La fattispecie esaminata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione consiste nell’esecuzione di un contratto qualificato dalle parti come contratto di appalto o subappalto relativo alla costruzione di una piattaforma petrolifera, alla cui realizzazione ha partecipato la società estera attraverso lo svolgimento di attività di varia natura acquisto di materiali, assemblaggio, montaggio et cetera . Secondo il Collegio, a prescindere dalla esatta qualificazione giuridica del negozio, si è in presenza di una operazione economica complessa, ma oggettivamente unitaria, giacché i singoli atti compiuti dalla società contribuente [sono] strettamente connessi e riconducibili ad una prestazione unica, sotto il profilo – che è quel che rileva in materia – della sua sostanza economica . Il Supremo Consesso ritiene che dalla unitarietà dell’operazione debba derivare che essa non possa essere oggetto di scomposizione o scissione ai fini della individuazione del regime IVA Cass., sez. I Civ., n. 2643/1999, in CED Cass., Rv. 524401 . Il Collegio richiama il consolidato indirizzo della giurisprudenza europea secondo cui l’operazione costituita da un’unica prestazione sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA. Ad esempio, nella sentenza del 27 ottobre 2005, causa C-41/04, Levob Verzekeringen BV e OV Bank NV contro Staatssecretaris van Financiën, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha statuito quanto segue § 20. Tenuto conto della duplice circostanza che dall’art. 2, n. 1, della sesta direttiva discende che ciascuna operazione dev’essere considerata di regola come autonoma e indipendente e che l’operazione costituita da un’unica prestazione sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA, occorre quindi, in primo luogo, individuare gli elementi caratteristici dell’operazione di cui trattasi per stabilire se il soggetto passivo fornisca al consumatore, considerato come consumatore medio, più prestazioni principali distinte o un’unica prestazione. § 21. In proposito, la Corte ha statuito che si tratta di una prestazione unica, in particolare nel caso in cui uno o più elementi debbano essere considerati nel senso che costituiscono la prestazione principale, quando invece uno o più elementi devono essere considerati come una o più prestazioni accessorie cui si applica la stessa disciplina tributaria della prestazione principale cfr. sentenza del 10 marzo 2011, cause C-497/09, C-499/09, C-501/09 e C-502/09, § 53 sentenza del 10 novembre 2016, causa C-432/15, § 70 . Nella sentenza del 18 gennaio 2018, causa C-463/16, Stadion Amsterdam CV contro Staatssecretaris van Financiën, la Corte del Lussemburgo ha dichiarato che, da un lato, dall’art. 2 della sesta direttiva discende che ciascuna operazione dev’essere considerata di regola come autonoma e indipendente e che, dall’altro, l’operazione costituita da un’unica prestazione sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA. Si deve considerare che si è in presenza di un’unica prestazione quando due o più elementi o atti forniti dal soggetto passivo al cliente sono a tal punto strettamente connessi da formare, oggettivamente, una sola prestazione economica indissociabile la cui scomposizione avrebbe carattere artificiale . Le Sezioni Unite non affrontano la questione sollevata dalla Sezione Tributaria con l’ordinanza di rimessione. Alla luce di tali considerazioni le Sezioni Unite della Corte di Cassazione ritengono priva di rilievo la questione, di più vasta portata, sollevata dalla Sezione Tributaria con l’ordinanza di rimessione n. 19482/2016 è stato chiesto se, in forza di quanto previsto dall’art. 17, d.p.r. n. 633/1972, nella versione applicabile ratione temporis , e quindi anteriormente alla promulgazione del d.lgs. n. 18/2010, il soggetto non residente che abbia effettuato la nomina di un rappresentante fiscale abbia l’obbligo o meno di utilizzare tale rappresentante per tutte le operazioni che effettua sul territorio nazionale e se, quindi, gli sia preclusa la possibilità di compiere direttamente le operazioni di cessione nei confronti di soggetto residente nel territorio nazionale obbligato ad emettere autofattura, in applicazione del meccanismo del reverse charge , una volta che abbia provveduto alla nomina di rappresentante fiscale o che si fosse identificato ai fini IVA ai sensi dell’art. 35- ter , d.p.r. n. 633/1972 .

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 9 maggio 2017 – 16 febbraio 2018, n. 3872 Presidente Rordorf – Relatore Virgilio Fatti di causa 1. L’Agenzia delle entrate di La Spezia, con avviso di accertamento emesso nei confronti di C.A. , quale rappresentante fiscale della Brodo More D.o.o., società di nazionalità croata, recuperò l’IVA di cui la società risultava a credito per l’anno di imposta 2004 e di cui aveva chiesto il rimborso. Analogo avviso di accertamento venne emesso per l’IVA a credito esposta nella dichiarazione relativa all’anno 2005. L’Agenzia delle entrate ritenne elusivo il comportamento tenuto dalla società croata, soggetto non residente extra UE, che, in relazione a contratto di subappalto per la costruzione di una piattaforma petrolifera commissionata da quattro società italiane riunite in associazione temporanea di imprese, pur avendo proceduto alla nomina di un rappresentante fiscale ex art. 17, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, aveva provveduto alla fatturazione passiva di acquisto del materiale necessario per l’esecuzione dell’appalto per il tramite del rappresentante fiscale, mentre la fornitura dei beni - una volta lavorati - alle società italiane beni che, come emergente dalla fatturazione di vendita, si trovavano in Italia e sarebbero stati consegnati direttamente ai clienti italiani dai fornitori italiani era stata realizzata direttamente dalla società non residente senza utilizzare il rappresentante fiscale nominato. Le società acquirenti dei beni avevano quindi emesso autofattura e la società Brodo More, non avendo imposta a debito alla quale sottrarre quella assolta sugli acquisiti, era risultata creditrice dell’IVA versata alle società italiane, della quale aveva poi chiesto il rimborso. La Commissione tributaria provinciale di La Spezia accolse i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento e gli appelli dell’Agenzia delle entrate sono stati rigettati dalla Commissione tributaria regionale della Liguria con sentenze, di identico contenuto, depositate il 13 ottobre 2011. Il giudice d’appello, in particolare, ha richiamato la sentenza di questa Corte n. 9449 del 2001, secondo la quale il rappresentante fiscale IVA poteva essere nominato dalla società estera soltanto per alcune delle operazioni da essa effettuate nello Stato italiano, e dunque solo per gli acquisti di beni e non anche per le cessioni poste in essere direttamente dal soggetto non residente sul territorio nazionale, come avvenuto nella fattispecie. Tale principio trova conferma, ad avviso del giudice a quo, nelle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 1, lett. h , del d.lgs. n. 18 del 2010, che ha reso obbligatorio il meccanismo dell’inversione contabile per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da soggetto non residente, pur se identificato ai fini IVA mediante rappresentante fiscale, in favore di soggetto passivo residente e stabilito nel territorio nazionale, il quale deve assolvere l’imposta mediante emissione di autofattura. Ha aggiunto che non appare sussistere un vantaggio fiscale in quanto l’IVA detratta viene versata dal cessionario. 2. Avverso le dette sentenze l’Agenzia delle entrate ha proposto separati ricorsi per cassazione, ai quali il Conti, in proprio e in qualità di legale rappresentante della Brodo More, ha resistito con controricorsi e memorie. 3. La quinta sezione civile, con ordinanza n. 19482 depositata il 30 settembre 2016, riuniti i ricorsi, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione degli stessi alla Sezioni unite, al fine di risolvere la questione, di particolare importanza e oggetto di un non pacifico orientamento della giurisprudenza della Corte, se, in forza di quanto previsto dall’art. 17 d.P.R. n. 633 del 1972, nella versione applicabile ratione temporis , e quindi anteriormente alla promulgazione del d.lgs. n. 18 del 2010, il soggetto non residente che abbia effettuato la nomina di un rappresentante fiscale abbia l’obbligo o meno di utilizzare tale rappresentante per tutte le operazioni che effettua sul territorio nazionale e se, quindi, gli sia preclusa la possibilità di compiere direttamente le operazioni di cessione nei confronti di soggetto residente nel territorio nazionale obbligato ad emettere autofattura, in applicazione del meccanismo del reverse charge , una volta che abbia provveduto alla nomina di rappresentante fiscale o che si fosse identificato ai fini IVA ai sensi dell’art. 35 ter d.P.R. n. 633 del 1972 . 4. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1.1. In relazione al primo ricorso n. 27375 del 2012 , l’Agenzia delle entrate, con il primo motivo, denuncia l’omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, costituito dalla natura elusiva dell’operazione posta in essere dalla società contribuente, conseguente alla scissione tra soggetto che effettua le cessioni e soggetto che provvede agli acquisti e a ricevere le fatturazioni, in relazione ad operazioni commerciali poste in essere con soggetti residenti, con conseguimento di illegittimo risparmio d’imposta e indebito vantaggio rispetto a concorrenti operatori residenti. Col secondo motivo la ricorrente ripropone la medesima questione sotto il profilo della omessa pronuncia, ex art. 112 cod. proc. civ Con il terzo motivo, infine, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 17 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nella formulazione vigente ratione temporis derivante dalle modifiche apportate dal d.lgs. 19 giugno 2002, n. 191 , che prevedeva che l’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri in materia di IVA potessero essere effettuati direttamente dal soggetto non residente o per il tramite del rappresentante fiscale osserva che non è corretta l’interpretazione secondo la quale il rappresentante fiscale della società non residente non divenga punto di riferimento di tutte le operazioni effettuate dal mandante estero nello Stato italiano, anche perché, scindendo l’operazione di acquisto, effettuata tramite il rappresentante fiscale, dall’operazione di cessione, effettuata direttamente dal soggetto estero in relazione a beni ubicati in Italia, indebitamente quest’ultimo finisce con il fruire del credito IVA senza versare l’IVA a debito allo Stato italiano. 1.2. Quanto al secondo ricorso n. 27501 del 2012 , l’Agenzia delle entrate ripropone sostanzialmente le medesime censure denuncia, con il primo motivo, la violazione dell’art. 17 del d.P.R. n. 633/72, evidenziando che la regolarità, affermata dal giudice a quo, del meccanismo dell’inversione contabile applicato nel caso concreto contrasta con la disciplina all’epoca vigente, la quale consentiva tale possibilità solo nel caso in cui il soggetto residente non si fosse identificato o non avesse nominato un rappresentante fiscale deduce, col secondo motivo, la falsa applicazione dell’art. 1, comma 1, lett. h , del d.lgs. 11 febbraio 2010, n. 18 - il quale, nel sostituire il secondo, il terzo e il quarto comma dell’art. 17 cit., ha reso obbligatorio il meccanismo del reverse charge per i soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione -, rilevandone l’inapplicabilità al caso di specie poiché entrato in vigore in epoca successiva denuncia infine il vizio di insufficiente motivazione in relazione al comportamento elusivo contestato. 2.1. I ricorsi, già riuniti - come detto - con l’ordinanza di rimessione sopra citata, sono fondati nei sensi appresso indicati. 2.2. È pacifico che le controversie in esame si riferiscano ad una medesima fattispecie, consistita nella esecuzione di un contratto qualificato di appalto, o subappalto relativo alla costruzione di una piattaforma petrolifera, alla cui realizzazione ha partecipato la società contribuente, con sede in Croazia, attraverso lo svolgimento di attività di varia natura acquisto dei materiali, assemblaggio, montaggio, ecc. . Si è in presenza, pertanto, a prescindere dalla esatta qualificazione giuridica del negozio, di una operazione economica complessa, ma oggettivamente unitaria non vi è dubbio, infatti, che i singoli atti compiuti dalla società contribuente siano strettamente connessi e riconducibili ad una prestazione unica, sotto il profilo - che è quel che rileva in materia - della sua sostanza economica. Dalla unitarietà dell’operazione deriva che la stessa non può essere oggetto, ai fini del regime dell’imposta sul valore aggiunto, di scomposizione o scissione cfr. Cass. n. 2643 del 1999 . La giurisprudenza della Corte di giustizia è consolidata in tal senso, avendo più volte affermato che, per il diritto unionale, ciascuna operazione dev’essere considerata di regola come autonoma e indipendente, ma che l’operazione costituita da un’unica prestazione sotto il profilo economico non dev’essere artificialmente divisa in più parti per non alterare la funzionalità del sistema dell’IVA tra altre, sentenze 27 ottobre 2005, Levob Verzekeringen e OV Bank, C-41/04, punti 20 e 22 10 marzo 2011, Bog e a., C-497/09, C-499/09, C-501-/09 e C-502/09, punto 53 10 novembre 2016, Bagtovè, C-432/15, punto 70 18 gennaio 2018, Stadion Amsterdam, C-463/16, punto 22 . 2.3. In base alle esposte considerazioni, deve ritenersi che il contribuente non residente, una volta avvalsosi del rappresentante fiscale nominato ai sensi dell’art. 17 del d.P.R. n. 633 del 1972 nel testo applicabile ratione temporis , anteriore alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 18 del 2010 per l’acquisto di beni costituente il primo segmento di una complessa ma oggettivamente unitaria operazione economica, e quindi optato, in ordine a questa, per l’applicazione dell’IVA secondo il regime ordinario, non può poi agire direttamente, con applicazione del regime dell’inversione contabile reverse charge , in relazione ad altri atti o prestazioni inerenti alla medesima unica operazione, attuandone in tal modo un artificioso frazionamento. 2.4. Resta priva di rilievo, pertanto, la questione, di più vasta portata, sollevata con l’ordinanza di rimessione. 3. In conclusione, vanno accolti, nei sensi indicati, il terzo motivo del ricorso n. 27375/12 ed il primo motivo del ricorso n. 27501/12, assorbiti i restanti le sentenze impugnate devono essere cassate e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, i ricorsi introduttivi della contribuente devono essere rigettati. 4. La peculiarità e novità della questione inducono a disporre la compensazione delle spese degli interi processi. P.Q.M. La Corte, a sezioni unite, accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il terzo motivo del ricorso n. 27375/12 e il primo motivo del ricorso n. 27501/12, dichiara assorbiti i restanti, cassa le sentenze impugnate e, decidendo nel merito, rigetta i ricorsi introduttivi della contribuente. Compensa le spese degli interi processi.