Il creditore procedente non può chiedere gli interessi di mora al giudice dell’esecuzione

Quale che sia la sede in cui si discuta dell’opponibilità o meno al creditore procedente del vincolo eccepito dal terzo pignorato, è però certo che gli interessi di mora – ai sensi dell’art. 1219, secondo comma, n. 2, cod. civ. – non possono essere richiesti direttamente al giudice dell’esecuzione al momento dell’emissione dell’ordinanza di assegnazione, poiché il loro riconoscimento implica un accertamento di merito sulla sussistenza dei presupposti della responsabilità del dichiarante il terzo pignorato che non può svolgersi in sede esecutiva

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26962/17, depositata il 15 novembre. Il fatto. Il creditore procedente agiva nei confronti della debitrice, sottoponendo a pignoramento mobiliare presso terzi quanto alla stessa dovuto da un Istituto bancario il quale rendeva la dichiarazione prevista dall’art. 347 c.p.c. dichiarando l’esistenza di due depositi titoli, nonché di un libretto di risparmio al portatore, nonché di un pegno su tali rapporti a garanzia di un debito della medesima debitrice per il quale la Banca stessa interveniva nella procedura esecutiva in questione. In sede distributiva il Giudice dell’esecuzione riconosceva il pegno in favore della Banca solo su parte dei depositi titoli, assegnando la restante parte e l’intero saldo del libretto di risparmio al creditore procedente. Avverso tale ordinanza la Banca proponeva opposizione. La procedura veniva così, sospesa ex art 512 c.p.c., e la Corte d’Appello, decidendo nel merito, accoglieva solo parzialmente la domanda della Banca, lasciando comunque escluso dall’oggetto del pegno il saldo del libretto al portatore. Il creditore procedente riassumeva la procedura esecutiva chiedendo l’assegnazione dell’importo originariamente presente sul libretto al portatore, maggiorato degli interessi legali. Il Giudice dell’esecuzione riconosceva al creditore la somma di denaro corrispondente al saldo apparente del libretto di risparmio, nonché l’ulteriore importo a titolo di interessi legali maturati dalla data del pignoramento a quella di pubblicazione dell’ordinanza di assegnazione somme. Tale ordinanza veniva opposta dall’Istituto bancario ai sensi degli artt. 512 e 617 c.p.c In seguito, il Tribunale adito dichiarava con sentenza non dovuti gli interessi legali osservando che al creditore procedente spettano solo i frutti civili prodotti dalla somma pignorata secondo le regole che regolano il rapporto contrattuale tra debitrice esecutata e Banca depositaria, non già gli interessi al saggio legale su quegli stessi importi. Avverso la sentenza del Tribunale il creditore procedente proponeva ricorso per Cassazione straordinario. Pignoramento. Gli Ermellini, hanno ritenuto infondato, tra l’altro, il primo motivo di ricorso formulato dal ricorrente per violazione di norme di diritto nella quale sarebbe incorso il Tribunale quando ha negato al creditore procedente gli interessi legali maturati dalla data del pignoramento a quella di pubblicazione dell’ordinanza di assegnazione somme. I Giudici di legittimità spiegano che il pignoramento comprende sì anche i frutti della cosa pignorata ex art. 2912 c.c. , ma è anche vero che a norma dell’art. 820, comma 3, c.c. se l’oggetto del pignoramento è costituito, come nel caso di specie, da una somma di denaro, gli interessi del capitale ne costituiscono i frutti. Quindi, non vi è dubbio che il pignoramento eseguito dal creditore procedente sulle somme depositate nel libretto di risparmio al portatore si estenda anche agli interessi attivi nel frattempo maturati secondo le regole del rapporto contrattuale. Non sono invece dovuti gli interessi al tasso legale. La tesi contraria, sostenuta da parte ricorrente, si palesa infondata anzitutto perché il terzo pignorato non è debitore del creditore procedente, bensì del debitore esecutato, quest’ultimo diviene debitore giudizialmente ceduto del creditore procedente solo nel momento in cui l’ordinanza di assegnazione è portata a sua conoscenza. Pertanto, la dichiarazione scritta di non voler adempiere produrrebbe gli effetti dell’automatica costituzione in mora solamente se resa dal terzo pignorato in data successiva alla comunicazione o notificazione dell’ordinanza di assegnazione. Piuttosto la dichiarazione con cui il terzo pignorato pur dando atto dell’esistenza del credito deduce l’esistenza di vincoli opponibili al creditore procedente è equiparabile ad una dichiarazione negativa. Con la stessa infatti, se da un lato si confessa l’esistenza del credito pignorato, dall’altro si afferma l’indisponibilità delle somme per il soddisfacimento del creditore procedente. Qualora il contenuto di una dichiarazione di tal fatta non sia condiviso, la stessa deve essere contestata mediante l’accertamento dell’obbligo del terzo. I Giudici, pertanto, in rigetto del ricorso, concludono affermando che, nel caso di specie, poiché il contenuto negativo della dichiarazione del terzo pignorato è dipeso dall’esistenza di un privilegio a tutela di un credito per il quale questi è intervenuto nella stessa procedura, la questione è stata spostata in sede distributiva senza però che ciò muti la sostanza delle cose.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 giugno – 15 novembre 2017, n. 2962 Presidente Chiarini – Relatore D'Arrigo Fatti di causa T.G. agì esecutivamente nei confronti di F.M. , sottoponendo a pignoramento ai sensi degli artt. 543 ss. cod. proc. civ. - quanto alla stessa dovuto dalla Banca di Roma nella cui posizione processuale, dopo vari passaggi, è subentrata infine Arena NPL One s.r.1. . La banca, rendendo la dichiarazione prevista dall’art. 547 cod. proc. civ., dichiarò l’esistenza di due depositi titoli, nonché di un libretto di risparmio al portatore, ma eccepì contestualmente l’esistenza di un pegno su tali rapporti a garanzia di un debito della medesima F. , per il quale intervenne nella stessa procedura esecutiva. In sede distributiva il giudice dell’esecuzione riconobbe il pegno a favore della banca solo su parte dei depositi titoli, assegnando la restante parte e l’intero saldo del libretto di risparmio al T. . Avverso tale ordinanza la banca propose opposizione. La procedura venne sospesa ex art. 512 cod. proc. civ. e la Corte d’appello di L’Aquila, decidendo nel merito, accolse solo parzialmente la domanda della banca, lasciando comunque escluso dall’oggetto del pegno - per quanto qui d’interesse - il saldo del libretto al portatore. Il T. riassunse la procedura esecutiva, chiedendo l’assegnazione l’importo originariamente presente sul libretto al portatore, maggiorato degli interessi legali. Il giudice dell’esecuzione riconobbe al creditore la somma di 5.599,43 per spese legali in prededuzione, la somma di Euro 161.113,59, corrispondente al saldo apparente di lire 311.959.408 del libretto di risparmio, nonché l’ulteriore importo di Euro 111.711,31 a titolo di interessi legali maturati dalla data del pignoramento a quella di pubblicazione dell’ordinanza di assegnazione. Tale ordinanza di assegnazione è stata opposta dalla banca nel frattempo divenuta UniCredit Credit Management Bank s.p.a., quale mandataria di Aspra Finance s.p.a. ai sensi degli artt. 512 e 617 cod. proc. civ. Il Tribunale di Teramo, con sentenza pubblicata il 6 novembre 2014, ha dichiarato non dovuta la somma di Euro 111.711,31 a titolo di interessi legali, osservando che al T. spettano solamente i frutti civili prodotti dalla somma pignorata secondo le regole che governano il rapporto contrattuale fra la debitrice esecutata e la banca depositaria, ma non gli interessi al saggio legale su quegli stessi importi. Avverso tale sentenza il T. propone ricorso straordinario, ex art. 111 Cost., articolato in due motivi. Resiste con controricorso UniCredit CreditManagement Bank s.p.a., quale mandataria di Arena NPL One s.r.l., che ha altresì depositato una memoria difensiva. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo si deduce la violazione degli artt. 1219, secondo comma, n. 2, e 1224, primo comma, cod. civ., nonché l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia. In particolare, il ricorrente sostiene che sul saldo del libretto di risparmio sarebbero dovuti, da parte della banca terzo pignorato, gli interessi legali il cui saggio - a quanto pare sarebbe superiore a quello convenzionale , in quanto la dichiarazione di terzo contenente l’eccezione di esistenza del pegno sulle somme pignorate avrebbe gli stessi effetti della dichiarazione scritta del debitore di non voler adempiere prevista dall’art. 1219, secondo comma, n. 2, cod. civ Pertanto, senza necessità di costituzione in mora, da quella data sarebbero decorsi gli interessi al saggio legale di cui all’art. 1224, comma primo, cod. civ L’omessa motivazione sulla predetta dichiarazione è censurata anche ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ 2. Il motivo è infondato. 3. Come correttamente posto in evidenza dalla sentenza di merito, il pignoramento comprende anche frutti della cosa pignorata art. 2912 cod. civ. A norma dell’art. 820, comma terzo, cod. civ., se l’oggetto del pignoramento è costituito da una somma di denaro, gli interessi del capitale ne costituiscono i frutti. Quindi, non vi è dubbio che il pignoramento eseguito nel 1994 dal T. sulle somme depositate nel libretto di risparmio al portatore si estende anche agli interessi attivi nel frattempo maturati secondo le regole del rapporto contrattuale. Non sono invece dovuti gli interessi al tasso legale. 4. La tesi sostenuta dal ricorrente è infondata anzitutto perché il terzo pignorato non è debitore del creditore procedente, bensì del debitore esecutato. Egli diviene debitore giudizialmente ceduto del creditore procedente solo nel momento in cui l’ordinanza di assegnazione è portata a sua conoscenza Sez. 3, Sentenza n. 9390 del 10/05/2016, Rv. 639898 . Pertanto, la dichiarazione scritta di non voler adempiere produrrebbe gli effetti dell’automatica costituzione in mora solamente se resa dal terzo pignorato in data successiva alla comunicazione o alla notificazione dell’ordinanza di assegnazione. 5. Piuttosto, la dichiarazione ex art. 547 cod. proc. civ. con cui il terzo pignorato, pur dando atto dell’esistenza del credito, deduce l’esistenza di vincoli opponibili al creditore procedente è equiparabile ad una dichiarazione negativa. Con la stessa, infatti, se da un lato si confessa l’esistenza del credito pignorato, dall’altro si afferma l’indisponibilità delle somme per il soddisfacimento del creditore procedente. Qualora il contenuto di una dichiarazione di tal fatta non sia condiviso, la stessa deve essere contestata - di regola - mediante l’accertamento dell’obbligo del terzo pignorato, che oggi si svolge nelle forme della cognizione sommaria previste dal nuovo art. 549 cod. proc. civ. e all’epoca invece avrebbe dato luogo ad un giudizio incidentale a cognizione piena, ai sensi dell’art. 548 cod. proc. civ. nella versione applicabile ratione temporis. Nel caso di specie, poiché il contenuto negativo della dichiarazione del terzo pignorato è dipeso dall’esistenza di un privilegio a tutela di un credito per il quale questi è intervenuto nella stessa procedura, la questione è stata spostata in sede distributiva, senza però che ciò muti la sostanza delle cose. Quale che sia la sede in cui si discuta dell’opponibilità meno al creditore procedente del vincolo eccepito dal terzo pignorato, è però certo che gli interessi di mora - ai sensi dell’art. 1219, secondo comma, n. 2, cod. civ. - non possono essere richiesti direttamente al giudice dell’esecuzione al momento dell’emissione dell’ordinanza di assegnazione, poiché il loro riconoscimento implica un accertamento di merito sulla sussistenza dei presupposti della responsabilità del dichiarante che non può svolgersi in sede esecutiva. 6. Un simile accertamento è certamente riservato al giudice di merito, restando semmai controverso se sia dapprima necessario esercitare, con esito vittorioso, l’azione di accertamento dell’obbligo del terzo pignorato come sembra ritenere la risalente Sez. U, Sentenza n. 9407 del 18/12/1987, Rv. 456542 , ovvero se il carattere reticente o elusivo della dichiarazione del terzo pignorato, tale da favorire se stesso o il debitore ed arrecare pregiudizio al creditore istante, possa essere accertato incidentalmente in altro giudizio Sez. 3, Sentenza n. 5037 del 28/02/2017, Rv. 643141, secondo cui l’instaurazione del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo non costituisce condizione di proponibilità della domanda risarcitoria da parte del creditore procedente che assuma di aver subito danni per la dichiarazione falsa o reticente resa dal terzo pignorato . In ogni caso deve altresì escludersi che a carico del terzo sia configurabile un’ipotesi di responsabilità processuale aggravata, si sensi dell’art. 96 cod. proc. civ., dato che egli, al momento di quella dichiarazione, non aveva ancora la qualità di parte. Semmai, avuto riguardo al dovere di collaborare nell’interesse della giustizia, che al terzo incombe quale ausiliario del giudice, dalla dichiarazione falsa o reticente può discendere la responsabilità del dichiarante per illecito aquiliano, a norma dell’art. 2043 cod. civ., in relazione alla lesione del credito altrui per il ritardo nel conseguimento del suo soddisfacimento provocato con quel comportamento doloso o colposo ancora Sez. U, Sentenza n. 9407 del 18/12/1987, Rv. 456542 . 7. Non sussiste neppure l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Infatti, l’oggetto dell’omesso esame indicato dal ricorrente non è un fatto discusso fra le parti, bensì - per usare le sue stesse parole - le conseguenze giuridiche di un fatto, ravvisate nell’idea secondo cui la dichiarazione del terzo pignorato contenente l’eccezione di esistenza del pegno avrebbe gli stessi effetti che l’art. 1219, secondo comma, n 2, cod. civ. assegna alla dichiarazione scritta del debitore di non voler adempiere. Una simile doglianza non è ascrivibile al paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Per il resto, si è già detto di come tale ricostruzione sia erronea in punto di diritto. 8 In conclusione, gli eventuali obblighi risarcitori del terzo pignorato nei confronti del creditore procedente vanno accertati in apposito giudizio ex art. 2043 cod. civ. e non possono trovare ristoro mediante l’applicazione diretta, nel processo esecutivo, degli artt. 1219, secondo comma, n. 2, e 1224 cod. civ 9. Con il secondo motivo si deduce che l’ordinanza di assegnazione sarebbe stata resa in misura conforme a quanto richiesto dalla stessa banca, la quale quindi non avrebbe ragione per dolersi del contenuto del provvedimento. Il ricorrente, in particolare, fa riferimento al contenuto di quanto dedotto dal difensore di Unicredit Banca di Roma s.p.a. denominazione all’epoca corrente , il quale avrebbe dichiarato che il conteggio degli interessi andava effettuato applicando il saggio legale. Anche tale motivo è infondato. Infatti, a una simile dichiarazione non può essere accordato valore di acquiescenza, confessione riconoscimento della fondatezza della domanda di controparte non vi è alcuna prova, infatti, che il difensore della banca avesse mandato a compiere atti dispositivi,in senso lato, del diritto controverso impegnativi per la parte rappresentata in giudizio. 10. Pertanto, il ricorso deve essere rigettato e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma primo, cod. proc. civ., nella misura indicata nel dispositivo. Sussistono presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché va disposto il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550 . P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.