Sanzioni amministrative: è sufficiente la condotta consapevole, non già colpevole

In tema di sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 3 l. n. 689/1981, per violazioni colpite da sanzione amministrativa è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26306/17, depositata l’11 novembre. Il fatto. La ricorrente proponeva opposizione avverso una cartella di pagamento notificatale dall’agente della riscossione Equitalia Polis spa, oggi Equitalia Nord spa , avente ad oggetto crediti per sanzioni amministrative di titolarità della Prefettura territorialmente competente sanzioni irrogate per l’illecita emissione di assegni senza provvista e/o senza autorizzazione . L’opposizione veniva rigettata dal Tribunale adito mentre la Corte territoriale confermava la decisione resa in primo grado. La ricorrente proponeva, pertanto, ricorso per Cassazione. Elemento soggettivo. Gli Ermellini, hanno ritenuto infondati ambedue i motivi di ricorso proposti, di questi due il secondo per violazione di norme di diritto violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, l. 689/81, 1 e 2, l. n. 386/90 in relazione al capo della sentenza in cui il Collegio di merito ha ritenuto la sussistenza dell’elemento soggettivo legittimante l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie amministrative. In particolare, i Giudici di legittimità considerano la decisione impugnata conforme al principio di diritto secondo il quale in tema di sanzioni amministrative è sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che l’ha commesso, fatta salva l’eventuale prova contraria. Nella specie, il Collegio di legittimità esclude che la ricorrente potesse aver incolpevolmente ignorato che la propria condotta attiva avrebbe dato luogo ad un illecito amministrativo. La condotta dell’agente, infatti, era consistita nel aver emesso degli assegni bancari in difetto della relativa provvista e/o della relativa autorizzazione a nulla rilavando l’avvenuta condanna in sede penale, per truffa ai suoi danni, del datore di lavoro che l’aveva indotta ad emettere gli assegni in questione per sopperire ad una situazione di carenza di liquidità dell’azienda. Era evidente che l’accertamento effettuato in sede penale, in relazione al suddetto reato di truffa, aveva un oggetto del tutto differente da quello relativo all’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo di emissione di assegni senza provvista e/o autorizzazione. In concludendo. I Giudici, pertanto, concludono affermando che nel caso in questione, va esclusa la violazione delle norme di diritto richiamate dalla ricorrente, ed il motivo di ricorso finisce per risolversi nell’inammissibile contestazione di accertamenti di fatto, incensurabilmente operati dai Giudici del merito ed adeguatamente motivati.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 12 ottobre – 7 novembre 2017, n. 26306 Presidente Vivaldi – Relatore Tatangelo Fatti di causa A.C.F. ha proposto opposizione avverso una cartella di pagamento notificatale dall’agente della riscossione Equitalia Polis S.p.A., oggi Equitalia Nord S.p.A. , avente ad oggetto crediti per sanzioni amministrative di titolarità della Prefettura di Genova sanzioni irrogate per l’illecita emissione di assegni senza provvista e/o senza autorizzazione . L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Genova. La Corte di Appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado. Ricorre la A. , sulla base di due motivi. Resiste con controricorso la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo di Genova. Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’altro intimato. Il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380-bis.1 c.p.c Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo si denunzia violazione e/o falsa applicazione degli articoli 140, 148 c.p.c. e 48 disp. att. c.p.c. in relazione al capo della sentenza in cui è stata ritenuta la ritualità della notifica degli atti di accertamento ex art. 14 L. 689/81 la cui relata di notifica non reca l’indicazione del luogo di tentata notifica . 1.1 Non può trovare accoglimento l’eccezione di giudicato interno formulata dall’amministrazione in relazione al motivo di ricorso in esame. Anche se con una formula sintetica, la corte di appello ha dato atto che era stata proposta in sede di gravame l’eccezione di novità della contestazione relativa al difetto di notifica dei verbali di contestazione degli illeciti amministrativi questione che implica e assorbe quella in relazione alla quale si assume intervenuto il giudicato interno , e l’ha rigettata. E l’amministrazione controricorrente non richiama specificamente il contenuto dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, né quello del gravame, in ordine alla suddetta questione, onde non è possibile verificare la fondatezza della sua eccezione di giudicato. 1.2 In ogni caso, il motivo di ricorso è in parte inammissibile ed in parte infondato, il che assorbe ogni altra considerazione. La corte di appello ha adeguatamente motivato il suo convincimento in ordine all’accertamento di fatto avente ad oggetto la regolarità delle relazioni di notificazione degli atti di contestazione degli illeciti amministrativi, anche sotto il profilo della sufficiente indicazione del luogo di ricerca del destinatario. Ha in primo luogo osservato che la destinataria aveva regolarmente ricevuto tutte le raccomandate contenenti la comunicazione di deposito dell’atto presso la casa comunale, inviate ai sensi dell’art. 140 c.p.c., sottoscrivendo i relativi avvisi di ricevimento, e aveva quindi avuto notizia sia delle notifiche che del deposito degli atti presso la casa comunale. Ha poi precisato che le relazioni di notificazione potevano ritenersi complete, pur non recando l’espressa indicazione dell’indirizzo presso il quale era stata tentata vanamente la notifica e dove il destinatario era risultato temporaneamente assente per cui, in mancanza di soggetti autorizzati al ritiro, si era proceduto ai sensi dell’art. 140 c.p.c. . Tale indirizzo era infatti comunque desumibile sulla base alle indicazioni contenute nelle stesse relazioni in esse si dava atto dell’invio delle raccomandate con avviso di ricevimento contenenti la comunicazione di deposito dell’atto presso la casa comunale, con l’esatta specificazione del numero di ciascuna raccomandata, la quale a sua volta conteneva l’indirizzo completo presso il quale era stato spedito l’avviso, da presumersi coincidente con quello dove era stata originariamente tentata la notificazione. La ricorrente sostiene, in contrario, che, nel procedimento di notifica di cui all’art. 140 c.p.c., l’indirizzo presso il quale viene tentata la notificazione e quello presso il quale viene inviata la raccomandata con l’avviso di deposito dell’atto, non coincidono necessariamente, onde a suo avviso dall’espressa indicazione del primo nella relazione di notificazione non potrebbe prescindersi. Ma l’art. 140 c.p.c. prevede in realtà che l’avviso di deposito dell’atto sia affisso alla porta dell’indirizzo dove non si è reperito perché temporaneamente assente il destinatario, e che a quest’ultimo sia inviata la raccomandata con l’avviso di deposito. Deve quindi ritenersi che la raccomandata debba essere inviata al medesimo indirizzo, e quanto meno ciò deve di fatto presumersi, salva espressa indicazione in senso contrario dell’ufficiale giudiziario in conseguenza di eventuali situazioni del tutto eccezionali, come correttamente ritenuto dalla corte di appello. Del tutto nuove, e come tali inammissibili, sono poi le questioni in ordine ad ulteriori irregolarità delle notificazioni di cui si discute, di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata e che la ricorrente neanche deduce di aver già posto in sede di merito. Può in ogni caso ritenersi assorbente, con riguardo al motivo di ricorso in esame, la mancata censura della autonoma ratio decidendi, espressa dalla corte di merito in merito alla regolarità delle notificazioni in questione con la considerazione della avvenuta ricezione, da parte della A. , degli avvisi di deposito degli atti. In definitiva, va esclusa la violazione delle disposizioni normative richiamate dalla ricorrente il motivo di ricorso finisce per risolversi nell’inammissibile contestazione di accertamenti di fatto incensurabilmente operati dai giudici del merito e adeguatamente motivati, e comunque non attinge integralmente le ragioni della decisione. 2. Con il secondo motivo si denunzia Art. 360 n. 3 cpc - violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3, L. 689/81, 1 e 2, L. 386/90 in relazione al capo della sentenza in cui è stata ritenuta la sussistenza dell’elemento soggettivo legittimante l’irrogazione delle sanzioni pecuniarie amministrativa . Anche questo motivo è infondato. La decisione impugnata è conforme al principio di diritto costantemente affermato da questa Corte, per cui in tema di sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 689 del 1981, per le violazioni colpite da sanzione amministrativa è necessaria e al tempo stesso sufficiente la coscienza e volontà della condotta attiva o omissiva, senza che occorra la concreta dimostrazione del dolo o della colpa, giacché la norma pone una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, riservando poi a questi l’onere di provare di aver agito senza colpa cfr. ad es, ex multis, Cass., Sez. U, Sentenza n. 10508 del 06/10/1995, Rv. 494184 - 01 Sez. 1, Sentenza n. 3065 del 09/04/1997, Rv. 503591 - 01 Sez. L, Sentenza n. 11473 del 18/11/1997, Rv. 510115 - 01 Sez. 1, Sentenza n. 3491 del 04/04/1998, Rv. 514220 - 01 Sez. 1, Sentenza n. 12865 del 04/09/2002, Rv. 557249 - 01 Sez. 2, Sentenza n. 13610 del 11/06/2007, Rv. 597317 - 01 Sez. U, Sentenza n. 20930 del 30/09/2009, Rv. 610512 - 01 . Applicando tale principio di diritto, ed escluso, in fatto, sulla base di ampia e adeguata motivazione, che la A. potesse avere incolpevolmente ignorato, all’atto della emissione degli assegni bancari, che difettasse la relativa provvista e/o che non sussistesse la relativa autorizzazione, la corte di appello ha correttamente respinto la sua opposizione alle sanzioni irrogate, ritenendo irrilevante l’avvenuta condanna in sede penale, per truffa ai suoi danni, del datore di lavoro che l’aveva indotta ad emettere gli assegni in questione per sopperire ad una situazione di carenza di liquidità dell’azienda. È del resto evidente che l’accertamento effettuato in sede penale, in relazione al suddetto reato di truffa, ha oggetto del tutto differente da quello relativo all’elemento soggettivo dell’illecito amministrativo di emissione di assegni senza provvista e/o autorizzazione. Anche sotto questo aspetto, dunque, va esclusa la violazione delle norme di diritto richiamate dalla ricorrente, ed il motivo di ricorso finisce per risolversi nell’inammissibile contestazione di accertamenti di fatto, incensurabilmente operati dai giudici del merito e adeguatamente motivati. 3. Il ricorso è rigettato. Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012. P.Q.M. La Corte - rigetta il ricorso - condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 7.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.